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Borse strette fra Bernanke e la Libia. Dopo un tranquillo week-end di paura

IL GIAPPONE SCENDE IN CAMPO PER FERMARE LO YEN
APERTURA INCERTA A TOKYO. FORTI RIBASSI A HONG KONG

Il ministro delle Finanze giapponese Yoshihiko Noda ha dichiarato che non lascerà nulla di intentato pur di fermare la corsa dello yen nei confronti del dollaro che sta compromettendo l’export di Tokyo. Al traino di queste dichiarazioni riprendono quota i titoli dei grandi esportatori come Canon (+4%) ma l’atmosfera resta incerta: il Nikkei 225 apre in ribasso dello 0,17%. Assai più rilevanti le perdite dell’Hang Seng di Hong Kong -3,03% su cui pesano le voci di rallentamento dell’economia cinese.

BORSE IN ATTESA DELLE PAROLE DI BERNANKE E DEGLI SVILUPPI LIBICI
LA MERKEL INSISTE NEL NO AGLI EUROBOND

L’attenzione dei mercati finanziari, oltre che sugli ultimi sviluppi a Tripoli, si sposta al Wyoming. Sta per iniziare, infatti, il meeting di Jackson Hole a cui partecipano i principali banchieri centrali del pianeta. E l’attenzione è concentrata sul discorso che il giorno 26 verrà tenuto da Ben Bernanke. Dodici mesi fa il presidente della Fed lanciò, in questa sede, il “quantitative easing” a sostegno della ripresa che ha sostanzialmente fallito l’obiettivo.

Ora si attende quali misure di stimolo verranno annunciate dal banchiere che deve, tra l’altro, vedersela con un’opposizione interna sempre più preoccupata dalla ripresa dell’inflazione. Nell’attesa, è probabile che le Borse rallentino il ritmo del ribasso anche se i mercati fanno fatica a scrollarsi di dosso le paure accumulate nell’ultima settimana.

Per più ragioni:

1) Ormai si moltiplicano le previsioni fosche. Dopo Morgan Stanley è stata JP Morgan a tagliare le stime di crescita degli Stati Uniti, “Il calo dei prezzi dell’energia dovrebbe aiutare ad arginare alcune debolezze dell’economia – ha scritto JP Morgan – tuttavia i rischi di una recessione restano elevati”. Una sforbiciata alle stime di crescita degli States è arrivata anche da parte di Citigroup, Sotto la scure degli analisti è finita anche la Cina. Deutsche Bank ha infatti tagliato le stime di crescita del Paese asiatico. Secondo gli analisti della banca tedesca “il rallentamento e l’eventuale recessione in Europa e Stati Uniti mettono a rischio la crescita cinese più della stretta creditizia”. Nei prossimi trimestri, secondo Deutsche Bank, l’avanzata del Pil potrebbe rallentare al 7% annuo mentre il dato complessivo per il 2011 è visto all’8,9% dal 9,1% precedente;

2) nel week end ci sono state numerose interviste da parte dei leader politici europei. Tra queste spicca l’intervento alla tv belga di Hermann Van Rompuy, designato da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, a essere il primo presidente di un consiglio dei ministri europeo. Van Rompuy, come previsto, si è uniformato alla tesi tedesca sugli eurobond: non se ne parla prima di un’integrazione delle politiche fiscali dei paesi dell’Eurozona. Analoghe dichiarazioni sono arrivate dalla stessa Merkel.

SURREALE: I BOT SVIZZERI RENDONO SOTTO ZERO
I FUTURES USA APRONO IN RIBASSO A TOKYO

Non ci sono elementi nuovi, insomma, in grado di ribaltare l’atmosfera di paura della scorsa settimana in cui sono stati frantumati numerosi record:

a) il T-bond decennale è precipitato a un rendimento del 2 per cento, ai minimi dai tempi della guerra di Corea, anno 1951, presidente Harry Truman;

b) lo yen, nei confronti del dollaro, è salito a 75,95, il massimo dal 1946;

c) non solo il franco svizzero ha toccato un nuovo record nei confronti del dollaro e dell’euro (+14% dall’inizio di luglio) ma i bond a due anni della Confederazione sono scesi a un rendimento negativo. Ovvero, i capitali in fuga (aria di manovra?) sono disposti a pagare pur di approdare nel porto sicuro per eccellenza.

La conferma del clima negativo in cui inizia quella che rischia di essere la quarta settimana consecutiva in ribasso arriva dall’andamento dei futures sulla Borsa Usa. I futures sullo S&P 500 sono in calo dello 0,6% alla Borsa di Tokyo. Dal 22 luglio il calo dell’indice più rappresentativo delle corporations Usa è stato del 16 per cento.

MUTUI: LA FED HA SPESO 1.200 MILIARDI
PER EVITARE IL CRACK DELLE BANCHE

Ad alimentare il risentimento degli Americani nei confronti delle grandi banche d’affari contribuiranno i risultati dell’inchiesta che Bloomberg ha condotto sulla base di documenti del Congresso ottenuti grazie al ricorso al Freedom of Information Act. Dall’inchiesta risulta che la Federal Reserve per evitare il collasso delle dieci banche più importanti coinvolte nella crisi del mercato immobiliare ha erogato loro fondi per 1.200 miliardi.

La cifra, inedita (finora erano noti solo i 690 miliardi garantiti dal Tesoro all’inizio del 2009) , è grosso modo simile all’ammontare di quanto 6 milioni e mezzo di mutuatari debbono ancora alle banche coinvolte. Tra queste spicca Morgan Stanley, che ha ricevuto 107 miliardi di dollari per evitare il crollo, mentre cifre superiori ai 90 miliardi sono state girate a Citigroup e Bank of America.

CACCIA ALLA BANCA A CORTO DI DOLLARI
GLI GNOMI HANNO CHIESTO AIUTO ALLA BCE

Il fantasma di un giallo si aggira nelle sale operative d’Europa. Riguarda l’identità della banca europea che, la settimana scorsa, è stata costretta a chiedere un finanziamento di 500 milioni in dollari alla Bce. Una notizia che ha messo in serio allarme le autorità Usa che hanno acceso un faro sulle attività delle banche europee attive sull’interbancario americano e che è stato all’origine, almeno in parte, dell’ultima ondata di vendite sulla Société Générale. Ma, con il passare del tempo, i sospetti si sono spostati verso Est: la banca incriminata, dice il tam tam dei mercati, potrebbe essere tedesca.

Oppure, voce più suggestiva, potrebbe essere una delle grandi banche svizzere. L’istituto elvetico si sarebbe rivolto alla Bce per depistare gli sguardi curiosi. E le riunioni della banca centrale di Berna con il governo, la scorsa settimana, avrebbero affrontato anche questo problema oltre a quello della rivalutazione del franco svizzero. Anche l’aumento della liquidità deciso dalle autorità monetarie elvetiche potrebbe essere legato a questo “giallo” di prossima soluzione.

BANCHE E GRUPPO FIAT: LE DUE EMERGENZE
CHE PESANO SUL RECUPERO DI PIAZZA AFFARI

Il vertice informale del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano con alcuni protagonisti dell’economia italiana al meeting di Rimini (Corrado Passera, Fulvio Conti e Sergio Marchionne tra gli altri) rappresenta un segnale di fiducia cui, probabilmente, si aggrapperà, in mancanza di meglio, anche la Borsa di Milano, affamata di indicazioni positive. In particolare, saranno sotto i riflettori i titoli bancari che stentano a riprendersi nonostante il paracadute steso dalla Bce a protezione dei Btp.

Dalla fine di luglio il settore perde il 12,1 per cento, con punte del 20,9 per cento per Banca Intesa Sanpaolo seguita a ruota da Unicredit -28%% e da Ubi -22%. Altra nota dolente è il gruppo Fiat, che ha lasciato sul terreno circa un terzo della capitalizzazione nel giro di tre settimane trascinando al ribasso altri titoli del comparto industriale, da Pirelli a Brembo e Prysmian. In attesa della manovra stanno con il fiato sospeso le utility. La nota positiva può arrivare dall’Eni: la prospettiva della fine del conflitto in Libia è senz’altro un’ottima notizia per il cane a sei zampe e altri valori petroliferi (e la stessa Finmeccanica).

IL RIALZO DI BPM ATTESO ALLA CONFERMA
SI SCALDANO I MOTORI DELL’AUMENTO

Tra i pochi gialli positivi di Piazza Affari spicca il caso della Banca Popolare di Milano, la pecora nera della prima parte del 2011. All’improvviso la banca di piazza Meda si è trasformata in una sorta di gallina dalle uova d’oro, capace di sfidare la legge di gravità del ribasso. Dopo il forte rialzo di venerdì +3,2 per cento, Bpm registra dalla fine di luglio un incremento attorno al 5 per cento contro un calo del settore del 12,5%. Un dato particolarmente stupefacente se si pensa al calo, in contemporanea del 28 per cento di Unicredit e del 29,9 per cento di Intesa Sanpaolo, cioè la banca che aveva anticipato i tempi dell’aumento di capitale.

Al contrario, Bpm si presenterà all’esame del mercato solo a settembre. Ma, al contrario di quanto è avvenuto per gli altri valori bancari, la circostanza sembra galvanizzare il titolo. Perché questo comportamento controcorrente? Di sicuro, conta l’introduzione del divieto di vendite allo scoperto che ha costretto la speculazione ad accelerare il rientro dopo la pioggia di “sell” dei mesi scorsi. Ma non è da escludere l’impatto delle grandi manovre in vista dell’operazione sul capitale che potrebbe rimettere in discussione gli equilibri della banca.

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Categories: Finanza e Mercati