La tempesta innescata dai dazi di Donald Trump non si placa ancora del tutto e le Borse vanno sull’ottovolante. E mentre i mercati cercano di contenere le vendite, sono sempre di più gli analisti che prevedono una possibile recessione negli Stati Uniti già nel secondo e terzo trimestre. Non solo, secondo lo stesso presidente della Federal Reserve, Jerome Powell, le tariffe potrebbero innescare un’impennata dell’inflazione, ma anche un aumento della disoccupazione, che negli Usa potrebbe superare il 5 per cento rispetto al 4.2 attuale.
La parola d’ordine sembra essere solo una: incertezza. “Si tratta di ipotesi, basate su quello che sappiamo oggi, ma tutto potrebbe cambiare in qualsiasi momento. La guerra dei dazi può diventare ancora più dura e dare luogo a ritorsioni da parte dei paesi colpiti. Ma può anche attenuarsi e dare perfino luogo a risultati inattesi, come ad esempio tariffe che, alla fine della trattativa bilaterale con questo o quel paese, vengono abbassate da entrambe le parti o addirittura azzerate”. È quanto afferma lo strategist di Kairos Alessandro Fugnoli nell’ultima puntata del suo podcast “Al 4° piano”.
L’economista ricorda inoltre che in questo conflitto tra Stati Uniti e resto del mondo, quest’ultimo non è un blocco omogeneo. C’è la Cina, che sembra aver intenzione di rispondere a Trump colpo su colpo. E c’è l’Unione Europea, che al contrario si muove su due fronti paralleli: da un lato i negoziati con gli Usa volti a scongiurare un escalation, dall’altro i controdazi da imporre nel caso in cui la trattativa fallisca.
Cosa fare in un contesto tanto incerto? “Per le prossime settimane sarà quindi opportuno, come investitori, rimanere aperti alla possibilità di esiti differenziati”, consiglia Fugnoli, che poi fa una previsione: “Probabilmente l’aliquota generale del 10 per cento rimarrà, ma l’aliquota aggiuntiva verso i singoli paesi sarà abbassata o mantenuta al livello annunciato nel Liberation Day a seconda di come andranno le varie trattative. Questo processo non sarà breve come molti si aspettano e terrà il mercato sulle spine ancora qualche tempo”.
Rivoluzione nelle alleanze globali
A prescindere da come andrà, c’è un’unica certezza: “il sistema globale delle alleanze risulterà trasformato”, sottolinea lo strategist di Kairos Partners. Per gli Stati Uniti esistono più “Paesi amici” esenti dai dazi o soggetti a tariffe più basse. Perfino lo storico alleato Israele si è visto imporre dazi al 17%. Amici, o quantomeno “simpatici conoscenti” per gli Usa diventeranno allora quei paesi che “mostreranno più disponibilità durante le trattative”.
“In pratica – aggiunge Fugnoli – ogni paese potrà scegliere quanto essere considerato un alleato che può contare sulla protezione militare americana oppure un avversario oppure ancora un paese che vuole mantenersi le mani libere”.
Fugnoli: “È presto per dare per certa la recessione”
L’economista però non vede tutto nero. Anzi. Fugnoli sottolinea che, mentre i mercati vivono giornate di fuoco, il contesto macro “presenta ancora elementi rassicuranti”. Quali? “Le stime sulla crescita americana hanno una dispersione eccezionalmente ampia in questo momento, ma i dati cosiddetti duri, quelli cioè che non riflettono attese o emozioni ma fatti concreti, indicano una buona resilienza e un’inflazione tutto sommato contenuta”, spiega. Lo stesso ragionamento vale anche per l’Europa, mentre la Cina potrebbe andare ancora meglio.
Secondo elemento rassicurante: i tassi. “Le banche centrali, sia pure senza fretta, sono orientate a tagliare i tassi. Né va poi dimenticato che la politica economica non è fatta solo da dazi e tassi, ma anche da altri fattori, che il mercato sembra essersi dimenticato, come la deregulation e i tagli di imposte in America o i programmi fiscali espansivi in Europa e in Cina”, ricorda nel suo podcast lo strategist, secondo cui “rimane verosimile che le nuove politiche commerciali danneggeranno la crescita, ma non è ancora detto che il danno arrivi a provocare una recessione, tanto meno una recessione su scala globale”.
Borsa e investimenti, parola d’ordine: “Prudenza”
Ma in un contesto del genere, la domanda degli investitori è solo una: “cosa fare?” È decisamente preferibile mantenere un profilo prudente – consiglia Fugnoli – in primo luogo perché le valutazioni azionarie, per quanto snellite e pure con interessanti eccezioni, non sono ancora così attraenti. In secondo luogo, è di regola meglio comprare quando ci sono segnali concreti di stabilizzazione e miglioramento del clima politico, piuttosto che entrare semplicemente perché il prezzo dei titoli è sceso in misura rilevante”.
Ci sono altri due fattori da considerare, diversamente dal 2022, quando azioni e obbligazioni scesero insieme, questa volta la caduta dell’azionario sembra essere almeno in parte compensata da un recupero dei bond. In secondo luogo, le aspettative sull’inflazione, benché piuttosto alte per il breve termine, sono tornate contenute sul lungo. Il merito è soprattutto della forte discesa del prezzo del petrolio che potrebbe diventare strutturale, grazie all’aumento dell’offerta a fronte di una domanda stabile.
“In conclusione, per quanto ingarbugliata, la situazione attuale non giustifica il panico. Ma per quanto buoni o discreti siano ancora i dati macro e quelli sugli utili, il quadro non giustifica nemmeno l’abbandono della prudenza. I ruggenti anni Venti di cui si è favoleggiato nei due anni passati sono terminati. La seconda metà del decennio difficilmente vedrà formarsi nuove bolle e consisterà piuttosto in un impegnativo processo di riequilibrio globale e in una grande rotazione dei mercati azionari”, prevede infine Fugnoli.