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Borse Emergenti, Brasile e India sorpassano Wall Street ed Eurostoxx ma resta l’incognita Fed

Pixabay

Segnano il passo le Borse dei Paesi più sviluppati, stressate dalla crisi ucraina ed ormai rassegnate ad una raffica di aumenti dei tassi Usa (sette di qui a dicembre) e di tagli, ancor più insidiosi, al bilancio della Fed per mettere sotto controllo l’inflazione. E così una buona fetta dei gestori è a caccia di nuovi sbocchi per gli investimenti riscoprendo l’appeal dei Paesi Emergenti. 

Si spiega così il ritorno in terreno positivo dell’indice Msci Emerging Markets (composto da 1422 titoli) che ha azzerato in settimana le perdite di inizio anno a differenza dell’indice globale, zavorrato dalla partenza negativa di Wall Street. 

Bovespa in cima al mondo

A far la differenza, in particolare, è la Borsa brasiliana, sui massimi da metà ottobre dopo sette rialzi di fila. Da inizio anno la performance è del +18%, al top tra i mercati del pianeta. 

A spingere i listini contribuiscono vari fattori tra cui l’andamento delle materie prime. Non meno importante l’andamento della valuta e dei bond locali: grazie ad una politica di stretta monetaria che ha anticipato le scelte della Fed, il Brasile è stata una calamita per gli investitori internazionali. Il tasso di sconto è passato dal 2 al 10,75% con la prospettiva di nuovi rialzi fio al 12 % entro l’anno per favorire la discesa dell’inflazione dal 10 % attuale al 5,5%. Il tutto a fronte di multipli in Borsa più che accettabili: il rapporto prezzo/utili è attorno a 7, 3 volte, il dividendo medio pari al 7,7%.

Tutti a Rio per il Carnevale? In realtà, a giudicare dai sondaggi, in azione sono investitori con la valigia, pronti a scappare in vista delle elezioni di ottobre che dovrebbero segnare il ritorno alla presidenza di Lula. Perché tanta paura? Il primo mandato dell’ex sindacalista che se la vedrà con Bolsonaro, l’ex showman di estrema destra che ha dato il via libera alla deforestazione dell’Amazzonia, fu una stagione felice per l’economia e i mercati. Ma da allora una cosa è cambiata: la politica della Cina. All’inizio del millennio Pechino, ammessa nel Wto, fu il grande motore dello sviluppo dell’economia carioca così come dell’Africa, assorbendo materie prime industriali ed agricole, favorendo il decollo di Petrobras o di Vale. 

Oggi, al contrario, la Cina è assai meno generosa, attenta a controllare l’inflazione ed il debito. Il comportamento di Pechino, secondo gli esperti, sarà decisivo per le sorti degli Emergenti su cui gli esperti si dividono. 

A guidare gli scettici è David Lubin, responsabile del settore per conto di Citi. “Gli Emergenti – dice – hanno sempre reso di più di mercati tradizionali perché offrivano la speranza di una crescita maggiore seppure a fronte di rischi più elevati”. Ma adesso? “Le prospettive di crescita sono più o meno le stesse, condizionate dai problemi della post pandemia. Ma i rischi sono senz’altro più elevati”.

I Paesi più in difficoltà

A giustificare lo scetticismo ci sono più esempi: l’ultimo, in ordine di tempo, riguarda lo Sri Lanka. Colpito al cuore dallo stop al turismo, il Paese si ritrova con con 7 miliardi di interessi da pagare ai creditori contro soli 3 miliardi di dollari in cassa. Inevitabile un accordo con India e Cina, già generosa nel finanziare la costruzione del porto (in funzione anto-indiana), oggi avara di nuovi fondi. 

Non è meno critica la situazione di altri Paesi sull’orlo del default: Ghana, El Salvador, al centro di un’ardita avventura nel Bitcoin, e la Tunisia. Per non menzionare l’Ucraina, sulla linea del fuoco con la Russia, possibile meta di investimenti ad alto rischio, nel caso rientri la crisi con la Nato. Sotto i cieli della pandemia hanno poi dichiarato default finora in sei: l’Argentina, che ha così difeso il triste primato di nazione numero uno in bancarotte, Belize, Ecuador, Libano, Suriname e Zambia. Altri hanno subito pesanti retrocessioni: Fitch ha decretato 45 downgrade del debito sovrano per 27 degli 80 Paesi per cui cura il rating. Tra questi spiccano i casi del Messico e del Sud Africa per non parlare della Turchia del sultano Erdogan.

La Borsa indiana 

Un campo minato, insomma. Anche perché in passato il rialzo dei tassi Usa ha avuto conseguenze rovinose per i Paesi più indebitati in dollari. Attenti alla Fed, dunque. Ma non mancano i Paesi che, ammaestrati dalle crisi precedenti, si presentano oggi con numeri più sostenibili. In cima alla lista figura la Borsa indiana che ieri ha azzerato quasi del tutto la perdita da inizio anno, ora ridotta a -1,40% (in Euro) mentre nello stesso periodo l’indice MSCI World ha perso il -7%. Mumbai può contare sull’afflusso di capitali esteri, specie da parte dei broker in cerca di alternative rispetto a Pechino, su cui grava la crisi dell’immobiliare. Oggi la Borsa indiana è al quarto posto nel paniere Msci Emerging dietro Cina (34% del totale), Taiwan (15,3%) e Corea del Sud. 

La scelta di un Etf Emerging markets (ce ne sono 14 disponibili sul mercato di Piazza Affari) è anche un modo per investire nei leader dei chips, da Tsmc e Samsung. 

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