La Cina di Xi, così come emerge dal Congresso del Partito Comunista, lascia spazio a pochi dubbi sul verdetto dei mercati. Tutte in rosso le Borse Cina. Xi Jinping considera prioritaria la stabilità politica e la sicurezza anche a costo di sacrificare la crescita. Meglio la fedeltà alla linea del partito che la competenza E così, dopo aver preso atto delle nomine al vertice del Paese e del rallentamento della crescita del Pil (+3,9% nel terzo trimestre, il 3% su base annua), gli operatori hanno “votato con i piedi”, ovvero ridimensionando gli investimenti sul Drago: -1,7% sull’indice Csi 300 di Shanghai e Shenzhen, addirittura -6,36% ad Hong Kong, la più sensibile agli investitori internazionali, peggio per la tecnologia con punte di -9% per Alibaba, ma anche per i titoli immobiliari. Un disastro, insomma, con buona pace di quei gestori (quasi tutti per la verità) che avevano puntato su una ripresa nel dopo Congresso, grazie al basso livello dell’inflazione ed agli stimoli monetari.
Le Borse Cina oggi puniscono Xi: troppo controllo e bassa crescita
Ma le indicazioni in arrivo dalle scelte di Xi dimostrano che le priorità di Pechino oggi sono altre. La Cina ha archiviato una volta per tutte la politica intrapresa da Deng Xiao Ping dopo la crisi di Tien An Men che era basata su due pilastri: la libertà d’iniziativa economica, alla base della straordinaria crescita dal 1989 in poi; la dialettica ai vertici della Città Proibita, imperniata sulla collegialità del potere. Al contrario Xi, una volta preso il controllo totale della situazione, ha promosso i suoi collaboratori più stretti: Wang Huning, l’intellettuale che da trent’anni teorizza il declino della potenza americana, e Li Quiang, il segretario di partito di Shanghai, responsabile della gestione disastrosa della politica zero Covid, premiato per la sua fedeltà.
Le novità di Xi che non piacciono alle Borse Cina
Le novità stanno ad indicare la conferma di una strategia economica basata sulla supremazia dell’industria di Stato sull’iniziativa privata a costo di ridurre il tasso di sviluppo es aggravare l’aumento della disoccupazione a fronte di problemi non banali del gigante rosso. L’immenso sforzo della Cina dal 2008 in poi, promosso da Hu Jintao (cacciato con ignominia davanti alle telecamere dalla sala del Congresso), ovvero 580 miliardi di dollari dell’epoca finiti in infrastrutture, spesso inutili, o nell’espansione indiscriminata dell’immobiliare stanno pesando in maniera rilevante sulle casse di Pechino: il debito, se si tiene conto di municipalità ed altri governi locali, supera il 300 per cento.
Dopo il Congresso del Partito comunista cinese cosa cambia per Pil e Borse?
Dopo il Congresso del partito comunista cinese la sensazione è che:
- Pechino non ha né la forza né la volontà di spingere sull’aumento del consumo delle materie prime. Né si prevedono prospettive liete per l’industria, salvo quella più legata all’indipendenza: difesa, semiconduttori ed alimentare.
- Cresce la tentazione di far pesare la forza militare del Drago specie nella partita con Taiwan.
- Da definire le relazioni con l’Europa, grande partner commerciale negli anni della globalizzazione. In particolare con la Germania. Tra pochi giorni il cancelliere Olav Scholz si recherà a Pechino per salvare quel che resta del rapporto privilegiato con la Cina. Scholz ha firmato a suo tempo come sindaco di Amburgo la cessione di una porzione del porto ai cinesi. Altri tempi, spiega Politico. Cresce la pressione Usa. Ma non solo. Carlos Tavares, Pdg di Stellantis, ha aspramente criticato l’apertura della Ue (voluta dai tedeschi) all’auto elettrica cinese.
- Insomma, un’altra fetta della finanza globale è andata in fumo.