Due piccole bandierine ai lati della scrivania. Così la scena a Tokyo, dove il premier giapponese Suga ha firmato domenica mattina in videoconferenza, giusto prima del collega cinese Li Kequiang, circondato dalle bandiere rosse. Ma anche gli altri 13 leader asiatici hanno scelto di firmare a modo loro il Recp, ovvero il Regional Comprehensive Economic Partnership, il più grande accordo di libero scambio del mondo, che rappresenterà il 30% dell’economia globale, il 30% della popolazione mondiale e raggiungerà 2,2 miliardi di consumatori, come ha sottolineato con orgoglio il Vietnam, il paese organizzatore.
La risposta dei mercati non è fatta attendere: l’indice Msci Asia-Pacific stamane è salito ai massimi dal 1987, in crescita di oltre l’1% sui massimi dal 1987, anno di nascita del benchmark, che peraltro rappresenta solo in parte la forza della finanza d’Oriente, visto il peso ancora modesto delle azioni cinesi nei vari fondi. Senza dimenticare che l’indice non comprende le azioni del Giappone, il terzo grande dell’economia mondiale che, dopo decenni di letargo, si è ormai risvegliata: il Pil del Sol Levante è rimbalzato del 21,4% annuo nel terzo trimestre 2020, dopo il crollo del 28,8% del secondo e sopra alla crescita del 18,9% del consensus di Reuters. Su base sequenziale l’economia nipponica ha segnato un’espansione del 5,0% contro la precedente flessione dell’8,2% e l’incremento del 4,4% atteso dagli economisti. In entrambi i casi si tratta della performance migliore dal 1980, quando si iniziò a elaborare l’attuale statistica. E a questo punto, vista l’evoluzione del Covid-19 praticamente scomparso a Taiwan, in Cina, Australia e Nuova Zelanda, è lecito sperare che ad ottobre si possano tenere a Tokyo i Giochi Olimpici.
I listini azionari festeggiano un po’ ovunque. Sale l’auto nipponica: Nissan che è cresciuta di oltre il 5% e Mazda che ha registrato un balzo del 6,82%. Mitsubishi ha guadagnato il 2,54% e Honda quasi il 5%. Anche le azioni tecnologiche sono state scambiate al rialzo. Tokyo Electron e Panasonic sono aumentate di quasi il 5%. Softbank Group è cresciuto dell’1,83%. Si sono messi in evidenza anche i titoli tech quotati in Corea del Sud si sono messi in evidenza. Samsung Electronics ha guadagnato il 4,91% e SK Hynix ha superato il 9%.
Eppure l’accordo, che non comprende l’India, è qualcosa di meno di un’intesa a tutto campo capace di allargarsi alla tutela del lavoro. Ma il suo valore politico è enorme. Finora tutti gli accordi stipulati dai Paesi asiatici erano legati ad un allargamento dei commerci verso gli Usa. Il Recp, al contrario, ignora il partner Usa ma si qualifica come un embrione del “made in Asia” da contrapporre a Usa ed Europa cui partecipano paesi finora in forte contrapposizione, come Giappone e Corea del Sud.
Ma sono numerosi i numeri che stanno a confermare la stagione d’oro dell’Oriente, in aperto contrasto con le difficoltà economiche e geopolitico dell’Occidente, ammaccato tra l’altro dalle scelte sovraniste dell’America, che oggi prende atto del fallimento della politica di contenimento della Cina attraverso l’arma dei dazi. In ottobre la produzione industriale è salita in Cina del 6,9% annuo, come in settembre. Ma quel che impressiona è la rapidità della trasformazione della struttura economica del gigante. Dieci anni fa, ad esempio, l’export rappresentava il 30 % dell’output della repubblica popolare, una percentuale simile a quella dell’Italia. Oggi solo il 18%, a conferma della minor dipendenza del Drago dalle altre economie, Usa compresi.
Ancor più impressionante l’ascesa della finanza: i listini di Shanghai e Shenzhen hanno superato il tetto dei diecimila titoli. Alibaba, regina incontrastata dell’e-commerce, ha superato senza troppi danni l’infortunio della mancata quotazione di Ant Group, la matricola fintech ritirata dalla quotazione all’ultimo momento su richiesta dello stesso presidente Xi Jingping che ha così punito l’indipendenza di Jack Ma, il Jeff Bezos d’Asia. Un atto imprevisto ed imprevedibile, che getta un’ombra sulla solidità di un mercato finanziario strettamente subordinato alla politica. Un limite che, però, suona come una garanzia per gli investitori. Lo stop di Pechino ha messo l’indice al riparo dei pericoli di un’esplosione della speculazione finanziaria sulle banche, a conferma della prudenza della finanza di Xi che trova conferma nella stabilità del cambio che oscilla intorno a 7 renminbi contro dollaro ormai da dieci anni, e, dalla prudenza delle borse cinesi, molto composte durante la pandemia e meno euforiche, ma comunque in buon rialzo rispetto all’inizio dell’anno, durante il recupero. Senza trascurare il rendimento elevato dei titoli di stato cinesi, acquistabili anche attraverso Etf, su tutte le scadenze. Il decennale rende attorno al 3.10 per cento.
Insomma, Trump ha consegnato a Joe Biden un avversario assai più temibile.