Ieri gli indici Pmi cinesi avevano confortato i mercati (istituzioni, queste, in perenne attesa di conforto, e soggetti a periodiche crisi di sconforto). Oggi, invece, l’Asia ha risentito (oltre ai ricorrenti tremori legati ai negoziati sul ‘fiscal cliff’) del dato negativo riferito all’indice Pmi Usa rilasciato dall’Ism. Questo è sceso, da ottobre a novembre, da 51,7 a 49,5. Tuttavia, si nota una divaricazione insolita rispetto all’altro indice Pmi sugli Usa, calcolato da Markit: questo, sempre a novembre, è salito da 51,0 a 52,8. I dati, quindi, sono confusi, ma è interessante notare che la JP Morgan, nel calcolo del suo Pmi mondiale, ha sostituito, per gli Stati Uniti, il dato Ism col dato Markit, reputando quest’ultimo meno volatile.
Il malumore dei mercati è stato tuttavia limitato, l’indice regionale è sceso di solo un decimo di punto. L’oro si è indebolito, e alcuni ne hanno dato la ragione allo stallo relativo al ‘fiscal cliff’, che promette recessione e debole domanda di materie prime. Se l’oro fosse salito, la colpa sarebbe stata anche qui del ‘fiscal cliff’, che promette tempi duri e quindi corsa ai beni rifugio. L’unico che tiene la testa a posto, a proposito dell’oro, è Warren Buffett, che dichiarò come l’oro fosse da evitare, perché ha usi limitati e non ha lo stesso potenziale della terra coltivabile o delle imprese nel creare ricchezza.
La Reserve Bank australiana ha abbassato i tassi di un quarto di punto. Il nuovo tasso-guida, al 3%, eguaglia il minimo raggiunto nel pieno della Grande recessione. L’euro si mantiene sopra quota 1.30 e il petrolio è sceso sotto quota 89.