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Borse ad alta tensione e MO verso un maggio di fuoco

FIRSTonline

Il secondo trimestre vede la correzione delle azioni IT americane proseguire sull’ennesimo tweet di Trump che critica Amazon e si scaglia contro le reazioni cinesi ai dazi, che coinvolgono oltre 100 prodotti Usa. Così lo S&P 500 scende per il sesto giorno, portandosi sulla media a 200 giorni e accumulando una perdita del 10% rispetto al record di gennaio, e l’oro reagisce all’insù.

L’atteggiamento difensivo che ha caratterizzato il mese scorso delle Borse domina dopo i peggiori tre mesi per i mercati azionari globali degli ultimi due anni. Da febbraio la volatilità ha abbandonato le sabbie mobili dei minimi ingiustificati e i venti di guerre commerciali, unitamente alla vicenda Cambridge Analytica, hanno condizionato le azioni, che continuano anche sui ribassi ad essere l’unica soluzione di fronte ad uno scenario di tassi bassi e rendimenti negativi diffusi. Innegabilmente il dato sulla disoccupazione Usa, atteso ai minimi degli ultimi 20 anni il prossimo venerdì, genererà ulteriori riflessioni sul riposizionamento dei portafogli.

Ma le guerre commerciali sono solo lo sfondo di una politica estera americana giocata sul filo degli scambi commerciali come contropartita ad una strategia di nuova guerra fredda che ha come obiettivo Cina e Russia, che in Medio Oriente stanno muovendosi abilmente dopo i successi consolidati ottenuti in Africa. Il mese di maggio sarà certamente cruciale per vedere se gli intenti di Trump avranno esito positivo o meno, a un anno dall’annuncio della strategia anti iraniana declamata a Riad il maggio scorso di fronte a 55 Paesi islamici.

Lo spirito di quell’incontro si è ritrovato nella recente 54esima Conferenza per la Sicurezza di Monaco nelle dichiarazioni del Ministro degli Esteri saudita e del Premier israeliano ed ancora una volta l’Iran è stato additato per il suo sostegno al governo siriano di Assad e quindi alla guerra civile che in Siria ha già visto oltre 500mila morti, e nei confronti di Hezbollah e dei ribelli houti in Yemen.

12 MAGGIO: ELEZIONI IN IRAQ E DECISIONE USA SU ACCORDO SUL NUCLEARE CON L’IRAN

Le elezioni in Iraq rappresentano un appuntamento elettorale che segna la fine del periodo di conflitto contro i jihadisti di Daesh e ci si avvicina a questo importante appuntamento tra le proteste dei curdi, yazidi e cristiani e dell’altra minoranza rappresentata dai sunniti che hanno richiesto a gran voce un posticipo per permettere il completamento della fase di rientro dei combattenti contro il califfato. L’influenza di Teheran su questa elezione è fortissima e difficilmente il Premier uscente Abadi riuscirà ad arginare un’affermazione politica importante da parte delle forze paramilitari sciite che come modello hanno quello di Hezbollah. Sicuramente la nuova identità irachena post ISIS non si prospetta come una “passeggiata di salute” per il risiko mediorientale.

E, come se non bastasse, nella stessa data l’Amministrazione Usa, forte delle new entry dei due falchi John Bolton, nuovo consigliere del presidente per la sicurezza nazionale, e Mike Pompeo,neo Segretario di Stato, deciderà sul mantenimento delle sanzioni verso l’Iran archiviando probabilmente e definitivamente l’accordo sul nucleare firmato da Obama.

E se gli Emirati Arabi, grazie al Progetto sudcoreano con tecnologia Usa, sono riusciti ad intraprendere la via del nucleare sottoponendosi ad un impegno con gli Usa per evitare l’arricchimento dell’uranio e lo sviluppo del plutonio, ora anche i sauditi vogliono i loro reattori nucleari “per scopi pacifici”, come ribadito durante la visita del principe reggente saudita negli Usa, nella quale è stato firmato un accordo per acquistare armi dagli Usa per circa 700 milioni di dollari Usa.

Da qui la reazione veemente dell’Iran che non si farà attendere nella guerra asimmetrica mediorientale ove la decisione di sostenere i gruppi terroristici come Hezbollah e l’asse sciita siriano e iracheno, sino ad armare Hamas per ottenere un rafforzamento delle proprie mire territoriali e belliche, isolerà mente ulteriorl’asse Iraq-Iran. Così le ambizioni modernistiche saudite sono viste come una minaccia alle tensioni interne dei civili e dei giovani, che sotto i 30 anni rappresentano il 70% della popolazione iraniana, e che guardano a Vision 2030 con invidia crescente.

La salute economica dell’Iran non è solo il problema fondamentale che frena il cambiamento, perché il successore di Komeini, Alì Khamenei, ormai quasi ottuagenario, sente la transizione alla Guida Suprema dell’Iran e non lascia certamente spazio al Presidente Rouhani, al suo secondo mandato, per spingere sull’acceleratore delle aperture sociali. Ed è su questa transizione politica difficile che probabilmente conta Trump per mettere sotto pressione l’Iran.

MUHAMMAD BIN SALMAN (MBS) E VISION 2030

A ciò si aggiunga l’inesorabile azione riformatrice del principe Muhammed bin Salman che cavalca il piano detto Vision 2030 che ha come obiettivo di diversificare l’economia saudita, ampliando l’industria non petrolifera, dando spazio a maggiori libertà per le donne (dalla guida delle auto senza accompagnatore alla partecipazione agli eventi sportivi), per coinvolgerle attivamente nel mondo del lavoro. Per non parlare degli oltre due miliardi di dollari Usa che saranno concentrati su progetti per diffondere arte e cultura attraverso l’apertura di nuovi musei, sale cinematografiche, siti archeologici.

Tutte misure fatte calare dall’alto per raccogliere il consenso anche dei più conservatori e senza dimenticare come resti una censura e la necessità da parte dello stesso Mbs di agire con gradualità per permettere una redistribuzione dei benefici di un processo di modernizzazione fondamentale per evitare l’effetto fuga che in Iran è evidente tra i più giovani e talentuosi.

14 -15 MAGGIO: TRASFERIMENTO DELL’AMBASCIATA USA A GERUSALEMME E FINE DELLA “MARCIA” DE RITORNO ORGANIZZATA DA HAMAS

Passeranno pochi giorni perché gli Usa facciano fede alla promessa di trasferimento dell’ambasciata Usa a Gerusalemme ed Hamas completi la lunga scia di disordini organizzati al confine con Israele che hanno avuto inizio in concomitanza con la Pasqua ebraica e cattolica con esiti difficile da valutare, se non per un ulteriore peggioramento della situazione della popolazione ostaggio in una situazione economicamente deterioratasi in dieci anni, e criticata duramente anche dal partito al Fatah che gestisce i Territori Palestinesi. Il passaggio definitivo dell’Amministrazione della striscia di Gaza al governo ufficiale dell’Anp previsto per Dicembre è ancora troppo lontano ed anche se ne seguiranno nuove elezioni presidenziali, è difficile pensare che l’Iran si tenga fuori dai giochi.

Ed il mese di Maggio sarà anche il mese della visita di Trump in Nord Corea, che ha sempre come oggetto la lotta alla proliferazione nucleare, ma non prima di incontrare Putin che è attualmente impegnato nel primo incontro trilaterale dell’anno con Iran e Turchia sul conflitto siriano, dopo quello di Novembre a Sochi.

Il prossimo mese insomma sarà solo il preludio a ciò che ci si dovrà aspettare in vista anche dell’avvicendamento delle istituzioni europee che vedranno l’uscita dell’attuale alto rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e vicepresidente della Commissione Europea, Federica Mogherini.

Già dall’esito del vertice tra il Presidente della Commissione Europea Juncker, quello del Consiglio Europeo Tusk e il Presidente Erdogan a fine Marzo e con la garanzia dei tre miliardi di euro per finanziare l’accoglienza dei tre milioni di profughi siriani in territorio turco, si era capito che l’Ue non riesce a fare passi avanti e continua a mantenere una politica ambigua di due pesi e due misure tra Russia e Turchia.

Basta tenere conto che, in violazione dei principi europei, il 92% dell’informazione turca è sotto il controllo di Erdogan e lo stato d’emergenza permette una repressione degli oppositori senza sosta.

Sono passati gli anni della tattica del “doppio pilastro” degli americani che avevano in Arabia Saudita e nel governo dello scià Rezha Palevi due capisaldi. Sembrano passati i secoli e quell’equilibrio delicato è stato sostituito da una accesa rivalità per il dominio del mondo islamico tra un monoteismo puro saudita, immerso nel wahabismo che difende la Mecca e Medina, e un potere sciita duodecimano che vede nel potere degli Ayatollah iraniani una rivalità ed un’ambizione evidente sui luoghi sacri e sul dominio nell’Opec. Intanto quasi 30 miliardi di euro di contratti con l’Italia sono bloccati da questo braccio di ferro che tra Usa e Iran che ha congelato l’attività delle banche internazionali che non vogliono rischiare di incorrere in sanzioni Usa.

A maggio ci sarà la resa dei conti e per il Medio Oriente il processo di modernizzazione e di lotta alla corruzione e agli estremisti del nuovo giovane regnante saudita potrebbe essere un elemento importante per una nuova fase di dialogo e di vero cambiamento senza esagerazioni ma con gradualità e l’opportunità di evitare un implosione all’interno dell’eterno conflitto tra sciiti e sunniti, che invece è e resta solo l’eterna lotta alla conquista territoriale tipico di una geopolitica affollata di troppi interessi che ormai non girano più intorno al petrolio ma ad un potere economico più ampio e consolidato di un nuovo Islam politico.

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