Il 2018 si chiude all’insegna delle tensioni sui mercati. Secondo Congiunturaref, il periodico di analisi e di previsione del centro Ref Richerche, all’origine di queste tensioni c’è un insieme di diversi fattori: le conseguenze dell’aumento dei tassi d’interesse, dopo l’avvio della “normalizzazione” delle politiche monetarie; i segnali di decelerazione della congiuntura globale; le incertezze sulle politiche economiche, legate anche all’aumento delle tensioni politiche in diversi paesi.
Le ultime settimane dell’anno non hanno visto una attenuazione della volatilità delle borse. L’eredità che l’anno trasmette al 2019 non è quindi positiva. Le incertezze sulle tendenze del prossimo anno sollevano anche dubbi sulle scelte delle banche centrali. Quello che sino a poche settimane fa era un percorso scontato, è diventato improvvisamente meno chiaro, dati i segnali di decelerazione della congiuntura e l’irrigidimento delle condizioni finanziarie a livello internazionale. Anche le tendenze dell’inflazione, dopo la recente caduta del prezzo del petrolio, sembrano consentire scelte attendiste tanto negli Usa quanto nell’area euro. Nel 2019 dovrebbe completarsi la fase di aumenti dei tassi d’interesse da parte della Fed. La Bce potrebbe non riuscire neanche ad iniziare il ciclo dei rialzi.
Mercato Orso
Sino a alcuni mesi fa le prospettive sulla congiuntura economica del 2019 apparivano moderatamente positive. La crescita sembrava destinata a protrarsi, e l’ipotesi prevalente era che il prossimo anno avrebbe visto le banche centrali impegnate nella normalizzazione della politica monetaria. In particolare, a rafforzare l’esigenza di un rientro dalle politiche straordinarie degli anni scorsi, emergevano anche i primi segnali di inversione di tendenza del costo del lavoro. L’accelerazione dei salari, per ora appena accennata, ha riflesso la caduta della disoccupazione degli ultimi anni, risultata particolarmente pronunciata soprattutto negli Stati Uniti; nell’area euro si è trattato di una tendenza circoscritta soprattutto alla Germania, dove sono stati siglati rinnovi contrattuali che comporteranno incrementi salariali relativamente sostenuti anche nel 2019.
L’avvio dopo molti anni di una fase di ripresa delle retribuzioni avrebbe potuto decretare, secondo diversi commentatori, l’uscita definitiva dai rischi di deflazione che avevano a lungo afflitto le economie avanzate durante gli ultimi dieci anni. A settembre Mario Draghi nella testimonianza trimestrale al Parlamento europeo aveva parlato di un “aumento vigoroso dell’inflazione core nel 2019”. Lo scenario di normalizzazione delle politiche monetarie contemplava altri tre o quattro aumenti dei tassi da parte della Fed nel corso del 2019, e l’inizio di una fase di graduali aumenti anche da parte della Bce, dalla metà del prossimo anno. Questo quadro, ben delineato, ha iniziato a sgretolarsi progressivamente, soprattutto perché la reazione dei mercati all’aumento dei tassi Usa è stata pesante. Le perdite si sono protratte negli ultimi mesi, anche perché l’attesa di una politica monetaria meno accomodante si è sovrapposta a un insieme di altri fattori avversi.
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