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Borsa: società poco contendibili, ma più donne in Cda

Secondo l’ultimo rapporto Consob sulla governance delle società quotate, la presenza femminile nei Cda non è mai stata così alta – Le donne Ceo, però, sono ancora una rarità – Gli investitori istituzionali detengono meno del 27% del mercato

Borsa: società poco contendibili, ma più donne in Cda

La presenza femminile ai vertici delle società quotate italiane arriva a un nuovo massimo storico, anche se la parità di genere rimane un miraggio. Secondo l’ultimo rapporto Consob sulla corporate governance delle imprese di Borsa Italiana, il 36% degli incarichi amministrativi e il 39% di quelli di controllo è attualmente occupato da donne.

La crescita è dovuta in larga parte alla legge 120 del 2011, in base alla quale, dall’agosto del 2012, al primo rinnovo degli organi sociali delle società quotate un quinto dei posti deve essere riservato “al genere meno rappresentato”, frazione che sale a un terzo per il secondo e terzo rinnovo.

D’altra parte, le donne ricoprono la carica di amministratore delegato soltanto in 15 società, che rappresentano appena il 2,5% del mercato in termini di capitalizzazione.

Va meglio nella casella della presidenza, occupata da donne in 25 emittenti, che in questo caso rappresentano circa un terzo del valore di Borsa Italiana.

Oltre il 72% delle donne sono amministratori indipendenti, percentuale in continua crescita dal 2013.

Il numero di donne nominate dalle minoranze attraverso il sistema del voto di lista ha raggiunto nel 2019 il valore massimo di 68 amministratrici, presenti nel board di 56 società di grande dimensione (quasi tre quarti della capitalizzazione complessiva del mercato).

AUMENTA L’ATTENZIONE PER LA SOSTENIBILITÀ

Sempre secondo il rapporto Consob, fra le società quotate italiane aumenta l’attenzione per la sostenibilità. A fine 2018 erano 33 le imprese che avevano collegato le remunerazioni variabili degli amministratori delegati ai parametri Esg (Environment, Social, Governance), mentre le aziende che affidano a un comitato la supervisione delle questioni di sostenibilità sono salite da 45 a 54 nel corso dell’anno.

Fra le società che prevedono compensi legati a fattori Esg, 22 appartengono al Ftse Mib (il 65% dell’indice). L’integrazione di fattori di sostenibilità nelle remunerazioni è più diffusa nelle aziende a partecipazione statale (14), mentre registra il valore minimo tra le società a controllo familiare (solo 9, cioè 6% del segmento considerato).

INVESTITORI ISTITUZIONALI NEL 27% DEL MERCATO

Per quanto riguarda la composizione dell’azionariato, gli investitori istituzionali sono presenti in 62 società quotate italiane (60 nel 2017), pari a circa il 27% del mercato, e rivestono il ruolo di azionisti rilevanti in 13 imprese, soprattutto di piccole dimensioni.

Gli investitori esteri, invece, detengono partecipazioni rilevanti in 51 emittenti, incluse società a medio-alta capitalizzazione.

Sono significative soprattutto due dinamiche: la contrazione della presenza di banche e assicurazioni (in particolare quelle italiane, che registrano nel 2018 il valore minimo di otto partecipazioni) e l’aumento delle quote di capitale riferibili a investitori attivi (soprattutto esteri) come private equity, venture capital e fondi sovrani (27 partecipazioni rilevanti, in crescita rispetto alle 19 a fine 2017).

ISTITUZIONALI IN DISSENSO SUI DIVIDENDI

Nel 2019 si è registrato il più alto tasso di dissenso degli investitori istituzionali sulle politiche di remunerazione. I voti contrari e le astensioni hanno raggiunto il 44% delle azioni detenute dagli istituzionali, 12 punti percentuali in più rispetto al 2012. Il dissenso è cresciuto soprattutto fra le società appartenenti al Ftse Mib, segnando un’inversione di tendenza rispetto alla riduzione osservata nel periodo 2012-16. In particolare, nel biennio 2018-19 il dissenso ha raggiunto il 37% dei voti istituzionali e il 12% dell’assemblea (27% e 9%, rispettivamente, nel 2016).

Benché si confermi inferiore rispetto agli altri settori, il dissenso degli investitori istituzionali è cresciuto anche fra le imprese finanziarie, raggiungendo il 10% dell’assemblea e il 39% delle azioni complessivamente detenute, in netto aumento rispetto ai valori registrati nel biennio 2017-18, quando il disaccordo con la politica di remunerazione era stato espresso, rispettivamente, per il 33% e il 26% circa delle azioni detenute.

IMPRESE ITALIANE ANCORA POCO CONTENDIBILI

Inoltre, la Consob sottolinea che fra le società quotate italiane si registra ancora elevata concentrazione e limitata contendibilità del controllo. A fine 2018, le società erano controllate in 123 casi (53% del totale e 30% della capitalizzazione) da un unico azionista, mentre in altri in 23 casi (25% del totale e 42% della capitalizzazione) il controllo era in mano a patti parasociali. Potevano essere definiti a proprietà dispersa solo 13 emittenti, prevalentemente di grandi dimensioni e con una capitalizzazione complessiva pari al 20,5% del totale del mercato.

Il modello di controllo in Italia continua a essere quello familiare: si tratta di 152 società, che pesano per il 33% della capitalizzazione di mercato (66% del totale). Le società a controllo pubblico, invece, in Italia sono il 10% del totale e pesano sulla capitalizzazione complessiva per il 38%.

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