La fase è ancora espansiva, ma l’industria europea rallenta, mentre la guerra del gas e il calo di forniture dalla Russia, inducono la Germania ad attivare l’allarme nel piano di emergenza: in questo contesto le Borse continentali si confermano volatili e faticano a trovare ragioni di ottimismo, persino dopo l’avvio intonato di Wall Street.
La Borsa Usa sta a sua volta cominciando a digerire le parole di Jerome Powell nel suo secondo giorno di testimonianza al congresso. Il numero uno della Fed ribadisce: l’economia Usa è molto forte.
L’orso invece morde in Europa e la chiusura è in rosso per Piazza Affari, -0,89%, ma ancora più per Francoforte -1,72%, Amsterdam -0,93%, Londra -1%. Limitano i danni Parigi -0,56% e Madrid -0,51%. Con cali superiori al 20% dai loro più recenti massimi il Dax tedesco, il Cac 40 francese e il Ftse Mib italiano sono effettivamente già entrati in una fase “orso”.
L’euro soffre i rallentamenti nella manifattura e nei servizi a giugno e tratta in ribasso contro dollaro, ma pur sempre in area 1,052. Il petrolio si muove con cautela, dopo le recenti perdite. Il Brent scambia intorno a 111,32 dollari al barile. Ad Amsterdam il future sul gas è salito del 5% a 133,64 euro al megawattora.
Ha preso via intanto il vertice Ue in cui l’Italia lavorerà all’introduzione di un tetto al prezzo del gas, mentre l’Unione e la Norvegia annunciano che intensificheranno la cooperazione per aumentare le forniture di gas a breve e lungo termine con l’obiettivo di abbassare i prezzi.
Contestualmente il presidente Vladimir Putin cerca una ribalta mondiale in occasione di un incontro online con gli altri leader dei paesi Brics, in cui afferma che la Russia è pronta a sviluppare ulteriormente la cooperazione multilaterale con Brasile, India, Cina e Sudafrica.
Piazza Affari, tracollo di Saipem, giù le banche
In Piazza Affari non si ferma la corsa al ribasso di Saipem, che dopo una perdita superiore al 21% ieri, oggi lascia sul terreno un altro 8,07%. A zavorrare il titolo è l’atteso aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro. Sembra improbabile che un risparmiatore possa mantenere la sua quota senza sborsare una cifra gigantesca, così molti preferiscono vendere.
Il settore oil risulta penalizzato anche dalla debolezza del greggio. Sono nuovamente in rosso Tenaris, -3,02% ed Eni, -1,97%. L’automotive arretra con Cnh -6,44%, Pirelli -5,62%, Iveco -3,95%.
A metà seduta hanno messo la retromarcia veloce anche le banche, che registrano perdite consistenti. In particolare Bper -4,81%, Unicredit -3,95%, Banco Bpm -2,93%, Mediobanca -2,25%, Intesa -2,16%. Scivola Mps, -2,99%, che dovrà raccogliere 2,5 miliardi di euro con un aumento di capitale entro l’anno per finanziare il nuovo piano strategico. Obiettivo è migliorare la redditività del Monte al 2026, riducendo anche il personale con 4mila esuberi. Per gli analisti di Intesa SP), “l’ammontare dell’aumento è in linea con quanto previsto nella precedente versione del piano ed è nella parte più bassa delle attese del mercato”.
Nella parte alta del listino trovano spazio le utility, che rimbalzano dopo le recenti perdite, a partire da Terna +3,45% e Italgas +2,72%.
A svettare sull’indice principale sono però titoli della salute come Amplifon +7,93%, Diasorin +5,87 e Recordati +3,68%. Si conferma in denaro Finecobank +278% e recupera il lusso con Moncler +2,13%.
Il Btp Italia chiude a 9,4 miliardi
Il finale è rosé anche per il secondario italiano, benché i rendimenti scendano. Lo spread tra Btp 10 anni e Bund di pari durata sale a 193 punti base (+0,77%) con tassi in calo rispettivamente a +3,36% (da 3,53% di ieri) e +1,43% (da +1,62%).
Sul primario si è concluso intanto il collocamento del nuovo Btp Italia, durata otto anni, indicizzato all’inflazione. Il tasso definito è 1,6% e l’importo emesso è pari a 9,44 miliardi di euro.
Wall Street cerca il riscatto
La situazione sui mercati europei resta così stressante e la voglia di acquistare appare rarefatta, nel timore che la stretta delle banche centrali, impegnate a rallentare la corsa dei prezzi, induca una recessione negli Usa, che avrebbe effetti a livello globale.
Jerome Powell, nel secondo giorno di audizione relativa al rapporto della Fed sulla politica monetaria, ribadisce che gli Stati Uniti hanno un’economia “molto forte” e che si è “ripresa pienamente”. L’inflazione negli Usa “è la conseguenza di una domanda molto forte” e la Fed “sta usando gli strumenti a disposizione” per fermarla. “È possibile avere un forte mercato del lavoro mentre si riduce l’inflazione”.
La Borsa di New York si muove così in territorio positivo dopo una sessione precedente in leggero calo. Stasera la Fed pubblicherà anche i risultati del suo stress test 2022, che valuterà l’entità del capitale di cui le banche avrebbero bisogno per resistere a una grave recessione. Salgono i prezzi dei T-Bond, mentre i rendimenti scendono. Il Treasury decennale mostra tassi in calo intorno al 3%.
La Banca centrale norvegese alza i tassi
Il focus resta sulle banche centrali anche in Europa. Oggi l’istituto norvegese ha alzato il tasso di interesse di riferimento di 50 punti base e non ha escluso ulteriori interventi per mettere sotto controllo l’inflazione. Si tratta del più grande aumento singolo dal 2002.
Nel bollettino della Bce si conferma d’altra parte l’orientamento recente. Viene ribadita l’indicazione sui tassi già data dal Consiglio direttivo: un rialzo da 25 punti base a giugno, e se le prospettive d’inflazione “permangano invariate o si deteriorino, al momento della riunione di settembre sarà opportuno un incremento superiore” Inoltre l’istituto centrale europeo prende atto che la guerra “sta incidendo pesantemente sull’economia dell’area dell’euro e le prospettive permangono caratterizzate da un alto grado di incertezza”. Tuttavia ci sono “le condizioni perché l’economia continui a crescere e segni un’ulteriore ripresa nel medio periodo”.
Rallenta l’attività delle imprese della zona euro
Il rallentamento della crescita dell’attività delle imprese della zona euro sembra rispecchiare in pieno le preoccupazioni della Bce. Il Composite Purchasing Managers’ Index (Pmi) di S&P Global, considerato un valido indicatore della salute economica, scende a 51,9 da 54,8 di maggio, ben al di sotto dei 54,0 previsti da un sondaggio Reuters e ai minimi da febbraio 2021.(50 è il limite che separa contrazione ed espansione).
“La crescita sta mostrando segni di cedimento, con l’esaurirsi della spinta della domanda repressa dovuta alla pandemia, compensata dallo shock del costo della vita e dal crollo della fiducia di imprese e consumatori”, sostiene Chris Williamson, chief business economist di S&P Global.
Il Pmi relativo ai servizi, dominante in Europa, scende a 52,8 da 56,1, mancando le aspettative di 55,5 e registrando la lettura più debole dall’aprile 2021. La crescita della domanda di servizi si è quasi esaurita e le imprese stanno affrontando un aumento dei costi dei fattori produttivi a un ritmo quasi record, trasferendo l’onere ai clienti. L’indice dei prezzi dei fattori produttivi sale a 78,3 da 77,4. Nei 24 anni di storia del sondaggio, ha toccato livelli più alti solo due volte, a marzo e ad aprile.