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Borsa, il portafoglio di primavera: banche, energia e ciclici

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Anche in Borsa spesso è questione di moda. Settori trascurati per anni, a partire dalle banche o dai titoli oil, possono quasi all’improvviso recuperare appeal, laddove i vincitori del 2020, tecnologia e utilities, rischiano di finire in uno scomodo cono d’ombra, snobbati dai portafogli suggeriti.

Nel gergo tecnico si parla in quei casi di rotazione, tanto per sottolineare il cambio di passo che, naturalmente, non avviene per un semplice capriccio. Il presidente della Fed, Jerome Powell, è stato assai esplicito giovedì nell’illustrate la nuova scala dei valori: l’inflazione, almeno per ora, non è considerata alla stregua di un pericolo; gli operatori, a questo punto, devono prendere atto che i mercati non sono più propensi a finanziare qualsiasi puntata a qualsiasi prezzo sui titoli “growth”, com’è avvenuto nel corso dell’inarrestabile ascesa di Tesla o dei Big del Nasdaq: il listino entrato in fase di correzione al ribasso, senza che la banca centrale od il Tesoro Usa si preoccupi più di tanto.

Un cambio di passo repentino, come senz’altro non piace ai registi della politica economica Usa, che di sicuro avrebbero preferito una staffetta soft, come dimostrano i richiami alla “pazienza” e alla moderazione più volte evocati da Powell, che ce l’ha messa tutta per convincere gli operatori. Ma anche per lui non è facile tenere a bada un mercato del debito che vale 21 mila miliardi di dollari: il rendimento del Treasury Note a dieci anni è schizzato stanotte a 1,57%, un nuovo massimo di periodo che si traduce in un generalizzata riduzione della propensione al rischio. Al contrario, il movimento dei tassi in Usa (con il Treasury Bond 10 anni vicino adesso al 1,54% di rendimento) continua a determinare violenti riposizionamenti sul mercato a favore dei settori “value” ed “economic sensitive” (finanziari, industriali, energia, consumer e operatori tlc) a sfavore dei settori “growth” (tech, pharma) e dei settori sensibili ai tassi (utilities in particolare).

Insomma, sui mercati qualcosa è cambiato e gli operatori hanno rivisto i propri gusti. Ma in quale direzione? E con quale intensità? Non si corre il rischio di anticipare troppo i tempi? Una preoccupazione che sembra sia condivisa dai vertici della Cina. Il premier Li Kequiang, parlando a Shanghai poche ore dopo Powell, ha annunciato che Pechino intende perseguire l’obiettivo di crescita del Pil nel 2021 del +6%, tenendo a freno i bollenti spiriti della ripresa post pandemia grazie ad una crescita “salutare”, senza eccessi e con la “moderazione” che serve a evitare il formarsi di bolle sui mercati. Un atteggiamento abbastanza simile a quello del grande nemico yankee, ma con un’importante differenza: l’America stenta a far ripartire l’occupazione mentre la Cina ha già arruolato, rispetto ai giorni peggiori della pandemia, 11 milioni di lavoratori in più e può consentirsi perciò più tempo rispetto alla terapia d’urto che intende praticare il nuovo presidente Usa.

Che fare in questa cornice? Nel prossimo futuro tira brutta aria per i titoli obbligazionari a lungo e lunghissimo termine e per la tecnologia, almeno quella che non fa utili o non ne farà in tempi ragionevolmente brevi. Al contrario, è l’ora di puntare sulle obbligazioni bancarie, le grandi vittime del denaro vicino allo zero, e sui settori ciclici nell’azionario, con un occhio di riguardo per la ripresa dell’auto. Oliver Rakau di Oxford Economics scrive su Twitter stamattina di numeri “incoraggianti nell’immediato: la forza dell’industria potrebbe coprire ancora una volta la debolezza dei servizi in questa prima parte dell’anno” a proposito della crescita degli ordinativi dell’industria tedesca.

E l’Italia? La nostra Borsa tiene piuttosto bene da inizio anno, con un guadagno del 3%, grazie alla composizione dell’indice FtseMib italiano più sbilanciata verso i settori “value” e grazie alla nomina del governo Draghi visto dagli operatori come un’occasione quasi unica di estrarre valore dalle obbligazioni. La rotazione delle ultime settimane potrebbe così proseguire specie nel settore finanziario e nel campo dell’energia. Almeno finché le banche centrali riusciranno a convincere gli investitori ad “avere pazienza”.

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Categories: Finanza e Mercati