Che 2024 è stato per le Borse latinoamericane? Analizzando le tre principali economie dell’area, ovvero Brasile, Argentina e Messico, si potrebbe rispondere: in chiaroscuro. Infatti i tre Paesi che per motivi diversi sono maggiormente sotto la lente dei mercato hanno chiuso l’anno solare con umori differenti, anche per via delle novità politiche, dato che due di loro, Argentina e Messico, hanno salutato l’entrata in carica di nuovi presidenti: a Buenos Aires da fine 2023 c’è stato il ribaltone con Javier Milei, mentre a Città del Messico da ottobre di quest’anno ha preso le redini Claudia Sheinbaum, prima donna presidente del Paese nordamericano ma a differenza del collega argentino in perfetta continuità col predecessore Andres Manuel Lopez Obrador. In Brasile invece è nel pieno del suo terzo mandato Lula, che però non sta convincendo i mercati, anzi secondo la stampa “li ha sfidati, perdendo”, per lo meno al momento.
Un 2024 tiepido per il Brasile
Nella prima economia dell’area, che nel 2024 secondo il Fondo Monetario Internazionale supera l’Italia come Pil nominale salendo all’ottavo posto nel mondo, la Borsa ha faticato. Il governo Lula, che in Parlamento non ha una maggioranza solida, è stato costretto ad equilibrismi e riforme non proprio soddisfacenti, come quella tributaria che ha portato l’Iva ad essere la più alta del mondo al 28%, col risultato che l’indice Bovespa di San Paolo ha avuto una parabola tendenzialmente ribassista, perdendo nel corso del 2024, seppur tra alti e bassi, circa il 10%. Non solo: il cambio col dollaro ha toccato i massimi di sempre oltre i 6,2 reais e l’inflazione ha chiuso l’anno al 4,7%, deludendo le aspettative che speravano in un 4,5%. Anche il Pil rallenta e non è più il trascinatore del Sudamerica: l’Fmi stima una crescita al 3% quest’anno (in netto rialzo rispetto al 2,1% inizialmente pronosticato) ma una decelerazione al 2,2% nel 2025 (stima precedente indicata +2,4%), mentre il vicino Paraguay vola al 3,8% nel 2024 e confermerà lo stesso ritmo anche nell’anno che sta iniziando.
Il 2024 tiepido del Brasile si riflette anche nella considerazione delle agenzie di rating, che di fatto hanno certificato il sorpasso di Asuncion su Brasilia: a luglio, Moody’s ha alzato il punteggio del Paraguay da Ba1 a Baa3, con outlook stabile, riconoscendo al Paese l’investment grade. Idem aveva fatto qualche mese prima Standard & Poor’s, portando il rating a BB+, ad un passo dall’investment grade ma con il rischio Paese giudicato “accettabile” e una prospettiva stabile. Stesso punteggio ha attribuito Fitch, mentre il vicino Brasile, che tuttora è saldamente la prima economia dell’America Latina per dimensioni, ad ottobre ha ricevuto da Moody’s il punteggio Ba1, quindi ancora nella fascia speculativa e col rischio valutato “accettabile ma con attenzione”, sebbene con outlook positivo. Per il Paese lusofono inizia un 2025 sfidante, alla ricerca di un posizionamento difficile anche dal punto di vista politico, dato che Lula ha allo stesso tempo una postura occidentalista e un legame forte con i Brics, quindi con la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping.
Argentina, la cura Milei funziona
Chi invece ha assolutamente conquistato i mercati è l’Argentina di Javier Milei, che si è guadagnata non solo la fiducia del Fondo Monetario Internazionale – che le ha riconosciuto uno sconto di 800 milioni di dollari sulla restituzione del maxi credito concesso – ma anche l’endorsement della severissima stampa finanziaria, dal Financial Times all’Economist. C’è poco da fare: da un lato la terapia d’urto proposta da Milei ha fatto salire il tasso di povertà al 53%, tagliando a colpi di “motosega” la spesa pubblica e liberalizzando il mercato del lavoro, dall’altro però ha infiammato la Borsa, che prosegue nella luna di miele con la Casa Rosada iniziata un anno fa. L’indice Merval di Buenos Aires è ancora in piena fase “bull”: nel 2024 ha guadagnato circa il 170%, grazie in parte alla svalutazione del peso ma anche alla fiducia crescente degli investitori esteri, che ricominciano a scommettere sul Paese ispanofono, soprattutto su banche e titoli energetici.
Era chiaro che i piani ultra-liberisti del nuovo presidente, che ha detto di essere entrato nell’apparato statale “per distruggerlo dal suo interno”, non potessero dispiacere al mondo finanziario: non a caso il Global X Msci Argentina Etf, ossia lo strumento finanziario che a Wall Street consente di “scommettere” sull’Argentina, ha superato a fine novembre i 750 milioni di dollari raccolti, crescendo di ben più di 600 milioni rispetto ai 104 milioni incassati fino al momento in cui Milei è entrato nella Casa Rosada. Tuttavia qualche risultato si intravede anche negli indicatori macroeconomici: l’inflazione su base mensile è scesa dal 25% di gennaio al 2,4% di novembre, mentre su base annua è attesa intorno al 100%, dopo il picco del 300% toccato ad aprile. Persino il Pil ha fatto in tempo a riprendersi: nel primo semestre 2024 l’Argentina era in recessione tecnica, ma già nel terzo trimestre si è registrato un +3,9% su base mensile. Nell’anno solare l’Fmi ha confermato una caduta del 3,5%, però nel 2025 è previsto un maxi rimbalzo al 5%.
Messico, il nuovo corso non infiamma i mercati
Il Messico, che alle urne ha invece scelto la continuità col passato, registra in Borsa un 2024 da “sell”: l’indice S&P/BMV IPC ha perso una quindicina di punti percentuali, crollando in particolare all’indomani delle elezioni del 2 giugno che hanno visto la vittoria di Claudia Sheinbaum, leader di un partito, Morena, che propone una politica di centrosinistra molto statalista. “Sarà un governo di austerità repubblicana”, aveva detto lei stessa nel discorso di insediamento. Queste formule notoriamente non piacciono ai mercati finanziari, che avevano scommesso sulla sfidante Xóchitl Gálvez: la conservatrice di origine indigena prometteva tra l’altro un atteggiamento più collaborativo con l’ingombrante “vicino di casa”, gli Stati Uniti che tra poche settimane saranno guidati da Donald Trump. I rapporti tra la Casa Bianca e il Messico si annunciano tesissimi, non solo per la nota questione dei migranti e del narcotraffico, ma anche perché dopo il nearshoring attuato da Joe Biden che ha portato il Paese latino ad essere di nuovo il primo partner commerciale di Washington davanti alla Cina, il tycoon vorrebbe invece praticare il reshoring, ovvero riportare le imprese dentro i confini a stelle e strisce.
Questo significa che il Messico non beneficerà più della sinergia con l’economia Usa, che ha permesso al suo Pil di crescere più della Cina nel terzo trimestre di quest’anno, con l’1,1%. Secondo l’Fmi, il Paese governato da Sheinbaum chiude il 2024 con una crescita dell’1,5%, in netto rallentamento rispetto al 3,2% del 2023 ma comunque meglio dell’1,3% previsto per il 2025, quando di fatto il Messico avrà uno dei trend più deboli tra le economie del G20, insieme ai Paesi europei. Per quanto riguarda la Borsa, a decretarne il flop è stata soprattutto la politica della Banca centrale sui tassi d’interesse, recentemente tagliati di 25 punti base al 10%. I titoli che stanno soffrendo di più sono proprio quelli legati all’economia statunitense, ovvero quelli del mondo automotive come ad esempio Bmw, che in Messico è presente dal 2019 col maxi polo produttivo di San Luis Potosí, e la compagnia di assicurazioni Quàlitas. Il Messico è negli ultimi anni diventato una Motor Valley che ospita colossi internazionali come Volkswagen, Audi, Mercedes, Ford, Nissan e Chevrolet, e produce 3 milioni di veicoli l’anno, di cui 2 milioni destinati al mercato Usa. Con i dazi promessi da Trump questo schema è destinato ad indebolirsi, anche se nel frattempo arrivano gli investimenti cinesi, in particolare di Byd, che punta proprio sul Messico per entrare nel mercato statunitense. Ne sapremo di più nel 2025.