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Borsa 13 settembre pomeriggio: il ceo di Bp lascia, una sconfitta per il fronte verde. Il petrolio sale, listini giù

Open Gate Italia

“Una volta che dici una bugia al board, la tua credibilità sarà compromessa per sempre”. La dura legge del business non ha lasciato scampo a Bernard Looney, ceo di Bp, colosso petrolifero da 111 miliardi di valore di Borsa, già orgoglio dell’impero. Colpevole di aver taciuto sulla passata relazione con una collega d’ufficio, martedì notte, dopo una tempestosa riunione del consiglio di amministrazione, il manager ha dato seduta stante le dimissioni dall’incarico che ricopriva da tre anni.

Bp tra rosa e nero: il boss si dimette per ragioni di cuore

Un colpo di scena che, a quanto si dice, non ha riferimento con l’impennata dei prezzi del petrolio, arrivati ad un soffio dai 93 dollari al barile, massimo da dieci mese, sull’onda dei tagli alla produzione imposti dall’Opec +. Ma le dimissioni di Looney, accolte dalla City con un modesto calo di poco più di un punto percentuale, cadono in un momento particolare, all’insegna del ripensamento dell’onda verde che ha investito nel recente passato le Big Oil a partire dalla Bp di Looney, uno dei veterani della compagnia che lui, figlio di contadini irlandesi (nessuno in famiglia prima di lui era andato a scuola oltre gli 11 anni d’età), intendeva traghettare nell’età dell’energia pulita. Entro il 2050, aveva promesso, Bp uscirà dall’energia fossile. Un obiettivo poi parzialmente corretto sotto le pressioni degli azionisti, comunque tacitati dai ricchi dividendi resi possibili dal rialzo del greggio. Ma Looney ha comunque rispettato la scelta di dirottare la maggior parte degli investimenti, 9 miliardi di dollari su 14, dai giacimenti oil alle turbine dell’eolico (pagate a caro prezzo, accusano gli analisti) e ad altre fonti di energia verde.

Bp verso un ripensamento sulle rinnovabili?

Una svolta repentina, forse troppo perché, complice il conflitto in Ucraina, l’economia occidentale ha preso atto che la transizione ecologica, per quanto urgente e necessaria, rischia di lasciare industria e consumi sguarniti nella fase di transizione, E così sta prendendo quota un certo ripensamento: Shell, il colosso anglo-olandese, ha abbandonato a gennaio la politica di acquisti dei certificati CO2 (i cosiddetti diritti a inquinare) limitando l’azione ambientale ai progetti seguiti in prima persona in Asia ed Africa. E per quel che riguarda i Big americani da Chevron ad Exxon che stanno festeggiando utili mostruosi, il ripensamento verde appartiene ormai al recente passato. 

E così, anche se le dimissioni di mister Looney (10 milioni di sterline il suo stipendio) dipendono dalla cronaca rosa e non dalle vicende dell’oro nero, l’uscita di scena del boss cade in un momento particolare, segnato dal rallentamento della spinta alla transizione (troppo) rapida dal petrolio alle energie pulite. La domanda di petrolio, prevede Opec, è destinata a crescere nel 2023 e nel 2024, nonostante i fattori sfavorevoli come tassi di interesse e inflazione elevati.  E così, in linea con l’aumento del greggio, alla vigilia della riunione della Bce, sale la pressione sulle banche centrali, a scapito dei mercati azionari, Piazza Affari -1%  compresa.

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