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Boris Johnson, quanto costa ai britannici la sua insostenibile idiozia pro Brexit?

Imagoeconomica

Sono passati sette anni dal referendum sulla Brexit che, con una maggioranza risicata, segnò la vittoria dei britannici che volevano uscire dall’Europa e di cui l’intero Regno Unito non si pentirà mai abbastanza. Tutto cominciò nel febbraio del 2016 con l’allora Primo ministro conservatore David Cameron che, per rafforzare la propria leadership nel partito, ebbe l’imprudenza di indire il referendum sulla permanenza o meno del Regno Unito nell’Unione europea. Cameron era convinto che la maggioranza dei suoi concittadini avrebbe votato come lui per restare nella Ue ma si sbagliava. Perse il referendum e finì la sua carriera politica. Ma, ancor più di Cameron, chi si rivelò decisivo nelle file dei conservatori per far vincere la Brexit fu quel buffone, inutilmente colto, di Boris Johnson destinato in seguito a diventare Primo ministro. Il corrispondente di “la Repubblica” da Londra, Antonello Guerrera, ha ricordato nell’ultimo numero del “Venerdì”, le fasi concitate del febbraio 2016 nelle quali la sorella di Johnson telefonò al suo capo della comunicazione implorandolo di convincere suo fratello a “non fare la cavolata di appoggiare la Brexit”. Johnson finse di non aver ancora deciso ma bluffava e in cuor suo aveva già scelto di diventare il condottiero della Brexit per poi spiccare il salto verso Downing Street. “La Brexit – racconta oggi il suo ex capo della comunicazione – cambiò la storia del Regno Unito ma senza di lui non ci sarebbe mai stata”. E pensare che il 99% del corpo diplomatico britannico era contro la Brexit.

Visti i risultati, Johnson dovrebbe chiedere scusa ai britannici ma non è il tipo. A sette anni dal referendum il bilancio dell’uscita del Regno Unito dalla Ue è impietoso. Altro che benessere e ricchezza, Brexit è stata un vero “fallimento”, ci ricorda sul “Sole 24 Ore” il fine politologo Sergio Fabbrini che documenta con precisione il suo inappellabile giudizio. Secondo il Wall Street Journal la Brexit è costata alle famiglie britanniche 6,95 miliardi di sterline in più, ma il Paese cresce meno della media europea (sola la Russia ha fatto peggio) ed è addirittura sotto il livello pre-pandemico, ha un’inflazione più alta (dal 2019 al 2023 i prezzi dei beni alimentari sono cresciuti del 25% mentre senza Brexit la crescita sarebbe stata dell’8%) e ha più poveri di prima (entro la fine del 2023 ammonteranno a 5 milioni i bambini poveri del Regno Unito). Il Financial Times riferisce che “è unanime il consenso tra i maggiori economisti che la Brexit abbia notevolmente peggiorato la performance economica del Paese”. C’era da aspettarselo. Solo l’ignoranza e il cieco furore anti-europeo potevano spingere a favore della Brexit e il disastro è arrivato puntuale.

Ma – si domanda argutamente Fabbrini – dove sono finiti i leader nazionalisti europei e anche italiani della destra radicale che inneggiavano alla Brexit? Matteo Salvini, per esempio, affermava trionfante dopo il referendum britannico che “è finalmente giunto il momento di riprendere il controllo della nostra sovranità”. Gliene chiederemo conto durante la prossima campagna elettorale per l’elezione del Parlamento europeo. Conclusione: Boris Johnson giù dalla torre, ma Salvini con lui.

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Categories: Politica