Riedizione dei bonus per l’assunzione dei giovani e aumento degli assegni ai pensionati più poveri. Sono queste le novità più importanti che il governo progetta d’inserire nella nuova legge di Bilancio. I contorni delle misure sono ancora da definire, ma visti i limitati spazi di manovra sui conti pubblici sembra improbabile che i due progetti possano coesistere, a meno che la portata degli interventi non cali sensibilmente rispetto alle attese. Nel frattempo bisogna fare i conti anche con una spesa obbligata: la rivalutazione delle pensioni all’inflazione.
BONUS DI 3 ANNI PER NEOASSUNTI E TAGLIO CONTRIBUTI
Gli sgravi per l’assunzione dei giovani varati nel 2014 si esauriscono definitivamente nel 2018 e il governo teme che le aziende possano dare il via a un’ondata di licenziamenti. Per scongiurare il pericolo è necessario riproporre le agevolazioni, anche se in una versione meno ricca rispetto passato.
In un’intervista al Corriere della Sera, il viceministro dell’Economia Enrico Morando ha parlato di due interventi possibili: un bonus contributivo del 50% di due o tre anni per i giovani neoassunti a tempo indeterminato e un taglio permanente dei contributi dal 33 al 29%, due punti a favore del lavoratore e due per le imprese.
“Considerata anche la decontribuzione iniziale al 50%, dopo quattro anni il costo complessivo sarebbe di oltre 4 miliardi – sottolinea Morando – E salirebbe con l’ampliamento della platea dei lavoratori cui si applica la nuova aliquota. Ma aiuterebbe le imprese, porterebbe più soldi in tasca ai lavoratori e ridurrebbe il cuneo fiscale in pochi anni a livello di quello tedesco”.
Quanto all’età per accedere al bonus contributivo, “ragioniamo su una forchetta di 29-32 anni – spiega ancora il viceministro – Decideremo in funzione delle risorse disponibili, ma ancora non sappiamo quante saranno”.
Per evitare che le aziende utilizzino i nuovi assunti in sostituzione dei vecchi dipendenti “a contribuzione piena”, è probabile che gli incentivi saranno garantiti solo ai datori di lavoro che non hanno licenziato nei sei mesi precedenti. Inoltre, dovrebbe essere previsto anche il divieto di licenziare i neoassunti interessati dallo sgravio, almeno per i primi 6 mesi di lavoro.
AUMENTO DELLE PENSIONI PIÙ BASSE
Sul fronte pensioni, nel Pd circola l’ipotesi di rispolverare un bonus progettato anni fa dal governo Renzi: 40 euro in più ogni mese ai quattro milioni di pensionati “incapienti”, quelli che non superano gli 8mila euro di reddito annuo. In questi termini la misura, secondo le stime dell’epoca, costerebbe due miliardi. Una spesa che al momento sembra insostenibile e che probabilmente sarà varata solo se nella legge di Bilancio spunteranno tesoretti inattesi.
ADEGUAMENTO DELLE PENSIONI ALL’INFLAZIONE
Nessuna discussione invece sull’adeguamento delle pensioni al costo della vita. Il meccanismo (automatico) è già previsto dalla legge e si applicherà su un’inflazione che nel 2018 potrebbe raggiungere l’1,5 percento. Ma i sindacati, che incontreranno il governo mercoledì, chiedono che venga preso a riferimento un paniere diverso da quello dell’Istat, perché gli anziani lamentano un rincaro del costo della vita superiore a quello che emerge dai dati nazionali.
In ogni caso, la rivalutazione degli assegni risolverà uno stallo che dura ormai da anni. Nel 2011 il governo Berlusconi bloccò l’adeguamento delle pensioni medio-alte e l’anno seguente la riforma Fornero estese lo stop a tutti i pensionati. L’esecutivo guidato da Enrico Letta riportò in vita il meccanismo soltanto per gli importi più bassi, una discriminazione che fu poi bocciata dalla Corte Costituzionale. Il governo Renzi fu costretto quindi a un intervento d’emergenza e varò un esborso una tantum a titolo di risarcimento per i pensionati che erano rimasti esclusi dall’adeguamento. Una misura molto contestata per gli importi, ritenuti da molti troppo bassi.