Nell’ultimo episodio del podcast “Al 4° Piano”, Alessandro Fugnoli, strategist di Kairos Partners, affronta una domanda cruciale per gli investitori: “Che succede ai bond?”. Il mercato obbligazionario, che da ormai cinque anni soffre di una discesa costante, ha scatenato il dibattito tra chi vede l’opportunità di un recupero e chi teme che la tempesta non sia ancora passata. Fugnoli esplora le ragioni di questa continua discesa e le implicazioni per gli investitori.
Il lungo declino dei bond
Gli investitori, fino a tre mesi fa, si aspettavano finalmente un’inversione di tendenza nel 2025, dopo quattro anni di sofferenza. Ma no, la realtà è un’altra: la discesa dei bond continua, e quelli lunghi, in particolare i bond in dollari, sembrano non volersi fermare. Anche se le cedole generose degli ultimi due anni hanno attutito il colpo, il risultato finale è negativo, soprattutto per i bond a lunga scadenza (dai 10 anni in su). Insomma, i portafogli obbligazionari stanno soffrendo, ma non è tutto perduto.
Le cause di questo bear market: l’inflazione è la regina della festa
Le cause di questo bear market sono chiare secondo Fugnoli. “L’inflazione, prima di tutto” che continua a pesare come un macigno. Poi c’è la crescente offerta di bond da parte di governi e aziende, che si trova di fronte a una domanda che, pur avendo liquidità, non è disposta a comprare a qualsiasi prezzo. “Ecco allora il ripristino dei rendimenti reali positivi, quando nel decennio scorso e negli anni del Covid il mercato era rassegnato a comprare a rendimenti inferiori all’inflazione. Ecco anche ricomparire il term premium, ovvero quel rendimento aggiuntivo che nei bond lunghi cerca di compensare la volatilità dei tassi nel corso del tempo”.
Fed, un’istituzione in crisi di identità
Una delle fasi più difficili da interpretare è stata quella in cui la Federal Reserve ha iniziato a tagliare i tassi. Nonostante un abbassamento di 50 punti base a settembre, seguito da altri due tagli da 25 punti nei mesi successivi, i rendimenti dei bond lunghi sono aumentati invece di diminuire, come ci si sarebbe aspettati. Fugnoli paragona questa situazione a quella dei tardi anni Settanta, “quando il mercato diffidava della Fed che tagliava perché sapeva che l’inflazione covava sotto la cenere e sarebbe presto tornata a crescere”.
Fugnoli, inoltre, nota una mancanza di sintonia tra il mercato e la Fed, che ha cambiato direzione più volte. Il taglio dei tassi a settembre è stato visto da molti come “esagerato e politicamente determinato”, ma, sebbene la Fed fosse preoccupata per il mercato del lavoro, queste paure si sono rivelate infondate, dato che l’economia americana è cresciuta senza cedimenti: “l’America va a pieno regime e l’occupazione si mantiene su livelli molto alti”. Attualmente, sottolinea lo strategist, la Fed sta segnalando al mercato che i tagli saranno più moderati di quanto inizialmente previsto, dando così una pausa di riflessione, che potrebbe ridurre le ansie.
A complicare ulteriormente il quadro, però, ci sono le emissioni del Tesoro “che tornerà presto a finanziarsi sulla parte lunga della curva dopo una fase in cui le emissioni sono state concentrate sul breve”. Inoltre, non mancano le incertezze sulle politiche della nuova amministrazione americana, che potrebbero, sebbene non certo, “spingere l’inflazione verso l’alto”, creando nuove turbolenze sui mercati obbligazionari.
I bond americani ed europei come opportunità d’acquisto?
A questo punto, però, Fugnoli non esita a rispondere alla domanda che tutti si pongono: i bond americani sono un’opportunità? La risposta è sì, ma con cautela. “La domanda coinvolge anche i bond europei, che sono stati trascinati nella recente discesa dai ribassi americani”, specifica Fugnoli. Nonostante l’inflazione resti alta, le attese di inflazione si sono mosse poco, e la Cina continuerà a esportare deflazione. La combinazione di tassi alti e una crescita più lenta potrebbe portare a una discesa dell’inflazione, creando, nel lungo periodo, le condizioni per un abbassamento dei tassi.
La vera sfida è capire se valga la pena investire nei bond a lunga scadenza, quando quelli a breve termine offrono rendimenti molto allettanti con un rischio decisamente inferiore. “Si può certamente dedicare una parte del portafoglio obbligazionario ai titoli lunghi, ma più come assicurazione contro una recessione che come occasione per capital gain”, spiega Fugnoli.
Borse e bond: il dilemma della crescita
L’ultimo capitolo della storia riguarda le borse, che già iniziano a risentire dell’aumento dei rendimenti obbligazionari. Storicamente, quando i tassi salgono, i multipli azionari si comprimono. Tuttavia, come sottolinea Fugnoli, “le borse hanno però dalla loro economie in buona salute e utili in crescita”. Questo mix tra tassi alti e utili in crescita porterà a un 2025 con borse sicuramente “meno effervescenti rispetto ai due anni passati”. Tuttavia, in uno scenario in cui la tecnologia sta dominando il mercato, “le borse europee, che di tecnologia ne hanno meno, potrebbero per qualche tempo fare meglio di quella americana”.