Come sempre, alla fine il primo è lui. Per la terza Olimpiade di fila Usain Bolt vince l’oro sia nei 100 che nei duecento metri. Con un tempo normale, almeno per lui (19”78), ma con quella sensazione diffusa che, ancora una volta, Bolt corra da solo, contro se stesso e i propri limiti, più che contro gli avversari.
Le immagini in questo senso sono eloquenti. Nella gara, così come è successo nei cento metri, ci sono state due gare. Da un lato quella tra gli altri, per il primo posto tra gli umani. Una corsa combattuta e tesa, vinta dal canadese De Grasse, argento, davanti al francese Lemaitre, che si porta a casa il bronzo. Dall’altra c’è la corsa solitaria del marziano Bolt contro se stesso. E infatti alla fine, mentre si accingeva a mettersi al collo il suo ottavo oro olimpico, il giamaicano sembrava quasi scontento, insoddisfatto di se stesso e della sua corsa. Come se l’oro non potesse più bastargli.
Dopo, le sue prime parole sono per il suo pantheon personale, nel quale ormai ritiene di avere un posto d’onore: “Non devo dimostrare nient’altro, cos’altro potrei fare per dimostrare al mondo di essere il più grande? Sto provando a essere uno dei più grandi, come Muhammad Ali e Pelé – spiega il giamaicano – Spero dopo questi Giochi di essere assieme a loro”.
In attesa del nono oro, e per quanto sia difficile paragonare sportivi di epoche e discipline diverse, la risposta non può che essere sì. Bolt è esattamente come Pelè e Ali, un simbolo della sua disciplina sportiva che trascende le vittorie, i titoli mondiali, i gol e i record.
Una star del gotha dell’atletica, che è riuscito nella stessa impresa in cui sono riusciti, a loro tempo, Ali e Pele, quella di diventare i protagonisti del film del loro sport, riducendo tutti gli altri al ruolo di antagonisti, aiutanti o comparse.
Liston e Foreman, pur essendo due grandi pugili, sono ricordati, a distanza di anni, quasi solo per i loro incontri con Ali. Del grande Brasile che tra il ’58 e il ’70 vinse tre mondiali ci si ricorda di Pelè. I nomi degli altri fenomeni, da Garrincha a Rivelinho, passando per Djalma e Nilton Santos e Didì e Vavà, fanno parte più che altro del folklore e della mitologia. Solo Pelè rimane perfettamente definito e reale, anche a distanza di anni.
Probabilmente, se tra una decina di anni chiederete a un profano di dirvi il nome di un altro corridore di quest’epoca, lui non saprebbe dirvelo. Quello che abbiamo visto, da Pechino ad oggi, è stato il film di Bolt, l’epopea del più grande corridore del suo tempo e forse di sempre. Da un punto di vista del racconto sportivo, sempre in cerca di rivalità da raccontare ed esplodere, il giamaicano è riuscito nella più difficile delle imprese: annullare tutti gli altri. Come solo i più grandi hanno saputo fare.