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Bolla o pausa? Al Nasdaq sboom di prezzi e Ipo e guadagni più difficili

FIRSTonline

“Che c’è di strano nel mare di denaro che circola attorno alle start up?”, è la domanda  che apre il servizio che stamane il New York Times dedica ad uno degli argomenti più caldi: fino a che punto è ancora giustificata la corsa del Nasdaq, sinonimo dell’avanzata della new economy, ovvero, come emerge dall’andamento dei listini, è l’ora di tirarsi indietro? 

Il quesito è di grande attualità: mercoledì il mercato di Times Square ha vissuto una nuova giornata difficile, scivolando sotto il 10 per cento del massimo di periodo, il che per i parametri dei graficisti fa scattare l’allarme “correzione”. L’ultima volta che è successo, marzo 2021, la frana si è rivelata un’ottima occasione d’acquisto. Nel corso degli ultimi anni, comprare sulla correzione (“buying the dip” nel gergo del mercato)  si è rivelata una buona occasione; già si sapeva, del resto, che il 2022 sarebbe stato un anno di grande volatilità, percorso da alti e bassi difficili da prevedere. Ma stavolta potrebbe essere diverso: l’aumento del costo del denaro annunciato dalla Fed è di suo un buon argomento per rivedere i prezzi dei titoli che hanno goduto della stagione dei tassi bassi. Diversi fattori, dalla crisi della logistica all’aumento delle materie prime, contribuiscono a far pensare ad un tasso di inflazione in crescita. Le tensioni geopolitiche consigliano di moderare l’appetito per il rischio. E così via. Potremmo trovarci di fronte ad un’inversione di tendenza ben più marcata, una di quelle che anticipano l’arrivo del mercato orso: dal 1971 ad oggi, è stato così nel 37 per cento dei casi. Ma adesso?

  1. Va detto, innanzitutto, che la discesa dell’indice negli ultimi giorni spiega solo in parte la frana che ha investito i titoli dalla metà di dicembre in poi, da quando cioè la Fed ha cambiato il suo atteggiamento sull’inflazione. La solidità dei giganti del digitale, da Apple (solida oltre i 3 mila miliardi di valore) a Microsoft, che ha appena impegnato una parte della liquidità in cassa (130 miliardi di dollari) per comprare il colosso dei videogiochi Activision, ha fatto da muro contro l’avanzata dell’Orso, anche se si sono allontanati dai massimi, colossi come Amazon. Ma dietro la facciata emerge un quadro inquietante: almeno 250 società con un fatturato superiore ai 10 miliardi di dollari distano più del 20 per cento dai massimi. E tra questi spiccano alcuni nomi nobili della cavalcata dell’economia digitale. Sia Walt Disney che Netflix, i campioni dello streaming cresciuto a tassi geometrici nella lunga stagione della pandemia, fanno parte di questa schiera. Netflix, arrivata ad un picco di 700 dollari, è addirittura scivolata sotto i 500 per poi recuperare a 515 (-24%). “Barron’s”, a poche ore dai conti dell’ultimo trimestre, si mostra pessimista: nel settore ormai giocano troppi campioni che si contendono l’audience del pubblico globale.
  2. Il calo ha investito alcuni dei grandi protagonisti del rialzo. Prima fra tutti Cathie Wood, alla guida dei fondi Ark, leader assoluti della corsa del 2020. Al contrario Ark Innovation Etf, lanciato con grande enfasi e boom di raccolta, viaggia sotto il 15% dai massimi, su valori più o meno dimezzati rispetto ad un anno fa. E non è certo andata meglio a PayPal, sotto del 40%, piuttosto che ad alcuni pharma tra i più speculati, da Moderna a Biogen.
  3. Perfino la corsa ai grandi affari è vissuta con un certo scetticismo: la decisione di Meta (ex Facebook) di allargarsi nella realtà virtuale così come gli investimenti in nuove aree di business (vedi l’auto elettrica Rivian per Amazon) tradiscono la volontà di compensare con nuove attività la prospettiva di una minor espansione nei settori in cui sono leader. Comincia, del resto, a farsi sentire l’azione di governi e regolatori che, sia in Usa che in Europa, tendono a ridimensionare la spinta dei “nuovi baroni”.  
  4. In questa cornice, per tornare all’inchiesta del New York Times, non sarà facile sostenere l’afflusso di matricole e capitali che hanno sostenuto i mercati negli ultimi anni. Nel 2021 sono affluiti sulle start up 330 miliardi dollari, circa il doppio dei 167 miliardi dell’anno prima. Un ottimo affare perché i titoli, a fine anno, valevano complessivamente 774 miliardi. Ma il fenomeno, come dimostra il calo delle Spac (il veicolo che ha accelerato la corsa alla quotazione nello scorso anno) è in rapida frenata. Così come i prezzi delle matricole più pubblicizzate, dalle auto Rivian a Coinbase, il listino dei Bitcoin in caduta sotto i 40 mila dollari.

I segnali negativi, insomma, non mancano. La corsa di Ford e Gm, titoli principe del mercato di dicembre o dei petroliferi, leaders da gennaio, segnano la rivincita dell’economia value, la più tradizionale e fisica. Ma non è il caso di esagerare. Buona parte della correzione, infatti, è ormai alle spalle. E non mancano le eccezioni di successo: Mmmhmmm, ad esempio, un servizio di arruolamento per lavoratori free in smartworking che ha raccolto finanziamenti per 136 milioni in pochi giorni. 

Ma la sensazione è che la “Nasdaq put”, cioè la garanzia di guadagni su quasi tutto il listino tecnologico dalle Ipo in su, non abita più in Times Square. D’ora in poi guadagnare sarà assai più difficile. 

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