La Banca del Giappone sottoscriverà da giugno titoli di Stato a lungo termine per 7.000 miliardi di yen in otto/dieci tranche. Tokyo risponde così alle scosse sui mercati, con il Nikkei che oggi è crollato del 5%, e alla risalita del benchmark a dieci anni al record degli ultimi tredici mesi. Una mossa che rientra nel nuovo programma di misure ultra-espansive annunciata poco tempo fa dalla Banca centrale del paese e accolta con estremo favore dagli operatori mondiali. L’attesa infatti era che il fiume di denaro giapponese si sarebbe riversato all’estero in cerca di rendimenti superiori a fronte di un costo del denaro in patria prossimi allo zero (nel range di 0-0,1%).
Ma i primi dati indicano che questo non è avvenuto. Di più. C’è chi, come fa notare Morya Longo sul Sole 24Ore di mercoledì 29 maggio, inizia a temere che questa politica monetaria ultra-espansiva possa rivelarsi un boomerang. «Il maggior rischio si materializzerebbe se i movimenti di capitali attesi dal Giappone, dopo la politica monetaria ultra-espansiva, non si verificassero», ha commentato su Bloomberg il capo della strategia valutaria globale di Royal Bank of Canada, Adam Cole di Royal Bank. Perché niente soldi, o pochi, significa niente rally delle Borse mondiali.
Anche recentemente, i dati del Ministero delle Finanze riportati da Longo indicano che gli investitori nipponici non hanno comprato, come nel corso del 2012, bensì venduto titoli esteri (per 7,9 miliardi di dollari nella settimana finita il 17 maggio). Allo stesso tempo, il Fondo monetario internazionale da Pechino rassicura che l’allentamento monetario giapponese non ha dato luogo a fughe di capitali o eccessiva liquidità nelle altre economie nonostante i timori espressi dall’Asia e dall’Europa. Se da un lato questo rassicura paesi come la Cina preoccupati che l’Abenomics possa avere un impatto destabilizzante per la propria economia (a partire dalla svalutazione dello yen), dall’altro conferma che “i fiumi di denaro” ancora non si sono visti.
C’è poi l’andamento anomalo dei titoli di Stato il cui rendimento non è sceso, come avrebbe dovuto visto la massiccia operazione di acquisti (se molti comprano, il prezzo sale e i rendimenti scendono). Ma è salito. Il che toglie terreno a chi si attendeva una fuga di capitali affamati di asset con maggiori rendimenti, dai corporate bond, alle Borse: se i rendimenti ci sono, non c’è motivo di andarli a cercare all’estero. Il che significa ancora meno soldi in uscita da Tokyo. L’aspettativa del “fiume di soldi” e della politica monetaria super-espansiva ha però ormai acceso la miccia della speculazione: gli investitori di tutto il mondo hanno già iniziato a comprare sui listini (portando le Borse ai massimi) e a prendere posizioni ribassiste sullo yen. In questa situazione basta poco per far scattare il panico.