Il mercato del lavoro italiano registra fortissime disuguaglianze in termini di età, genere, area geografica e titolo di studio. A dirlo è “Employment, Skills and Productivity in Italy”, un progetto triennale realizzato da Università Bocconi nell’ambito del più ampio progetto New Skills at Work di J.P. Morgan Chase, presentato questa mattina ad un convegno.
Nel 2015 il profilo più avvantaggiato (maschio, 40-44 anni, residente al Nord, laureato) aveva il 50,3% di possibilità di lavorare in più rispetto al profilo più svantaggiato (donna, 20-24 anni, residente al Sud, con licenza media o titolo inferiore).
La caratteristica di gran lunga più penalizzante (quella che spiega il 56% della differenza) è però l’età, secondo i risultati della ricerca. I dati presentati oggi suggeriscono la necessità di politiche rivolte ai più giovani. In Italia risulta particolarmente critica la transizione tra scuola e mondo del lavoro per due ragioni: la mancata corrispondenza tra le competenze richieste dal mercato del lavoro e quelle apprese tra i banchi e il fatto che i titoli rilasciati dal sistema scolastico non risultano informativi delle effettive competenze delle persone. Serve, dunque, una maggiore enfasi sulla necessità che le qualifiche formali corrispondano alle competenze.
Il risultato della mancata corrispondenza è che i ragazzi tra i 15 e i 24 anni costituiscono il 6,5% della forza lavoro, ma ben il 20,3% dei disoccupati di lungo periodo, mentre la differenza tra i tassi di disoccupazione dei giovani e degli adulti, tra il 2007 e il 2015, è salita dal 14% al 31%.
Mentre la percentuale di italiani che lavorano in posizioni non adatte al loro titolo di studio è molto alta, quando si analizzano le competenze anziché le qualifiche il quadro cambia. Il 76% dei sovraqualificati e il 79% dei sottoqualificati ricopre una posizione consona alle proprie reali competenze. La percentuale di over-skilled (14%) e under-skilled (9%) risulta così in linea con quella del resto del mondo.
L’over-skilling è però maggiormente diffuso tra i laureati (19,6%) e raggiunge una percentuale altissima (30%) tra i laureati in materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche, perché la struttura produttiva italiana, a causa della concentrazione nei settori tradizionali e della larga diffusione della piccola impresa, sembra offrire soprattutto impieghi poco qualificati, che non consentono l’utilizzo e il mantenimento delle competenze.
Guido Nola, senior country officer di J.P. Morgan Italia, ha commentato: “J.P. Morgan è impegnata a sostenere le comunità dove opera favorendone la crescita e lo sviluppo economico e sociale. Questa ricerca basata su dati e analisi e frutto della collaborazione con l’Università Bocconi, è fondamentale per comprendere appieno le problematiche del mercato del lavoro in Italia e informare i nostri futuri interventi filantropici in collaborazione con organizzazioni locali per sostenere, tra l’altro, la realizzazione di programmi di formazione professionale di alta qualità che possano contribuire a ridurre l’elevata disoccupazione”.
“La partnership tra J.P. Morgan Chase Foundation e Università Bocconi è un eccellente esempio di collaborazione tra accademia e business, dal momento che consente a un team di ottimi ricercatori di studiare un fenomeno rilevante come lo skill mismatch per tre anni e di presentare i risultati delle loro ricerche a policymaker e professionisti”, ha detto il prorettore per la faculty della Bocconi, Gianmario Verona.