Gli investitori farebbero meglio ad aumentare la quota di aziende non quotate in portafoglio e a non fidarsi soltanto di quelle quotate. E’ questo il consiglio che emerge da uno studio condotto da Bocconi, Università di Bolzano e Stern School of Business. La ricerca ha confrontato imprese con strutture organizzative paragonabili, notando che le società quotate sono portate a sovrastimare i guadagni al fine di aumentare i risultati di breve termine, in molti casi preferendo questa impostazione alla disciplina di mercato.
Il risultato è che gli investitori istituzionali tendono a investire soprattutto in società quotate, convinti invece che la disciplina di mercato renda i loro conti più affidabili di quelli delle imprese non quotate, in quanto oltretutto la maggior parte della letteratura finanziaria conferma questa convinzione. Ma lo studio presentato dalla Bocconi dimostra al contrario che se si circoscrive il confronto ad aziende quotate e non quotate con strutture organizzative simili, i conti delle non quotate risultano più attendibili.
E questo non vale solo per l’Italia. Considerando un campione di 397.386 osservazioni relative agli anni 2005-2014 in 11 paesi europei (Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Italia, Norvegia, Paesi Bassi, Spagna, Regno Unito e Svezia), gli studiosi osservano che tutte le quotate sono gruppi di imprese, mentre più di due terzi delle imprese non quotate sono società indipendenti. Mentre nelle società indipendenti i bilanci individuali sono utilizzati sia per la rendicontazione fiscale che per la rendicontazione finanziaria, i bilanci consolidati dei gruppi di imprese sono utilizzati solo per la rendicontazione finanziaria, il che implica che le società indipendenti sono incentivate a sottostimare gli utili per pagare meno tasse, mentre i gruppi non subiscono questa pressione.
Tra le imprese non quotate, quindi, la qualità degli utili delle imprese indipendenti risulta inferiore a quella dei gruppi di imprese. Ma se invece si confrontano solo i gruppi aziendali, le imprese non quotate presentano conti più affidabili, vale a dire che la loro valutazione delle poste non strettamente monetarie è più in linea con i principi contabili internazionali. Le società quotate invece, come detto, hanno un forte incentivo a sovrastimare gli utili per migliorare le loro prestazioni di mercato di breve termine e nell’Unione europea questo incentivo è più forte della disciplina di mercato nella determinazione della qualità dei conti.
L’unica eccezione degna di nota è quella del Regno Unito, dove le società quotate presentano conti più affidabili di quelle non quotate. “Il mercato britannico è il più sviluppato in Europa – commenta Antonio Marra dell’Università Bocconi -, con la migliore protezione per gli investitori. Quando le regole sono effettivamente applicate, la qualità degli utili migliora”.