I casi ormai sono diversi: dal Cadbury Creme Egg (una sorta di ovetto Kinder inglese), che pubblicizzando il prodotto più su Facebook che in televisione lo ha reso più cool e più venduto; a Jimmy Choo che ha organizzato tramite Fb e Twitter una caccia al tesoro a Londra che ha fruttato nei sei mesi successivi un +35% delle vendite. Dalla sfilata virtuale di Louis Vuitton sempre su Fb a Marc Jacobs che ha messo in palio dei badge a chi si localizzava nel negozio su FourSquare; o ancora al coinvolgimento attivo dei consumatori da parte di Fanta, Pringles, Vitamin Water e Tesco, che hanno fatto scegliere il design del prodotto e la campagna pubblicitaria agli stessi utenti.
O allo stesso Facebook, capostipite dei social network e co-organizzatore in Bocconi del convegno proprio sul tema del “Fare business con i Social Network”, che con i suoi 1,19 miliardi di utenti attivi ogni mese in tutto il mondo ha guidato questa rivoluzione ed è ora in prima fila (anche attraverso il lancio del proprio smartphone) nell’ulteriore conversione al mobile. Visto che, come ha detto Nicola Mendelsohn, vice president Emea di Facebook, in apertura di lavori all’ateneo milanese, “il mobile ha superato tv e radio come penetrazione, ma non solo. Ci sono ormai nel mondo più cellulari che spazzolini: su quasi 7 miliardi di abitanti, oltre 5 possiedono un apparecchio telefonico mobile, mentre solo 4,2 uno spazzolino!”. Per l’esattezza, circa 1 cittadino su 5 (1,4 miliardi) ha un vero e proprio smartphone, mentre 1 su 15 (500 milioni) possiede un tablet, la cui diffusione però sta crescendo 5 volte più velocemente di quella dei “telefonini intelligenti”.
Ma come tutto questo, definito “Internet of things”, sta diventando un business stimato da Cisco in 15mila miliardi di dollari a pieno regime (attualmente solo l’1% delle cose è connesso)? Innanzitutto perché è cambiato l’approccio: basta azioni legali per l’utilizzo improprio del marchio su internet, ma anzi coinvolgimento dell’utente e del consumatore nel confezionamento e nella diffusione del brand stesso. Chiamiamolo crowdsourcing o co-development, fatto sta che il cliente, nell’era dei social network, ha più che mai ragione: cresce sempre di più il suo potere di marketing perché, come rileva Roberto Pedretti, country manager Italy Nielsen, “si è passati da un approccio unidirezionale (venditore/acquirente) a uno partecipativo, per cui adesso per scegliere un prodotto si guardano prima i commenti degli altri clienti che il sito internet ufficiale dell’azienda”.
“L’approccio gerarchico è un boomerang – conferma Emanuela Prandelli di SDA Bocconi -: è ormai appurato che il passaparola sia decisivo nella scelta dell’acquisto, perciò sempre più marchi puntano sul customer engagement e sulla viralizzazione perché ciò che conta non è solo raggiungere il potenziale acquirente ma anche l’opinion leader di turno nel rispettivo social, che può influenzare la scelta di altri”. Viralizzazione che poi tende anche a tradursi in risultati effettivi, tramite il fenomeno del social shopping: i fan di una pagina Facebook nel 2010 spendevano mediamente 136 dollari ciascuno per uno o più prodotti della fan page, adesso invece ne spendono 174 a testa, il 43% in più dei non-fan e soprattutto il 75% di loro condivide in rete l’esperienza positiva con quel brand.
L’Italia, una volta tanto, è ottimamente posizionata in questo fenomeno: dell’oltre il miliardo di utenti attivi su Facebook ogni mese, 10 milioni al giorno vengono dall’Italia, dove la penetrazione degli smartphone secondo i dati Nielsen è al pari dei Paesi migliori raggiungendo il 62% della popolazione (negli Usa è al 64%). Non solo: da settembre del 2012 a quello di quest’anno si è registrato un +35% di connessioni tramite smartphone, e addirittura del +160% via tablet, il che spiega anche l’enorme potenziale e l’avvicinamento di iPad e simili nella quota di e-commerce, salita a 3 milioni contro i 4,1 milioni di acquirenti online tramite cellulare e i 6,2 milioni tramite pc.
Cresce insomma la connettività: sempre secondo Nielsen si collegano a internet almeno una volta a trimestre quasi 40 milioni di italiani, di cui 21 milioni da smartphone e 6 milioni da tablet, con un accesso alla rete che è migliorato trasversamente dal 2010, con ad esempio il 40% in più nell’area Sud e Isole, il 50% in più tra la classe operaia, il 64% in più tra i pensionati. Ormai sono connessi tutti, per sempre più tempo e sempre di più all’interno del vasto ecosistema dei social network, che va dal networking puro come quello di Facebook, Google Plus e LinkedIn, allo sharing tramite Youtube e Pinterest, al semplice publishing condiviso attraverso ad esempio Twitter e Instagram. Del resto uno studio condotto da Nielsen sul pubblico del Regno Unito, ma facilmente applicabile anche all’Italia, ha rilevato che l’utilizzo medio giornaliero dello smartphone è di 83,5 minuti, di cui solo 7 in telefonate contro i 24 spesi su Facebook o altri social e i 52 in altre applicazioni, spesso giochi.
Le app interessano meno il business delle aziende, ma stanno sicuramente contribuendo a realizzare il prossimo grande sorpasso, indicativo della sempre maggiore importanza di internet e del mobile nel circuito economico: nel 2014, secondo le stime sempre dell’istituto Nielsen, Internet supererà la stampa e sarà il secondo media ad attrarre investimenti pubblicitari. Al primo posto l’intramontabile tv (anche se negli Usa oltre la metà degli intervistati dichiara di smanettare sul proprio smartphone mentre la guarda) con il 51% della quota di mercato, poi il web con il 19% e la stampa, che pure tornerà a crescere, con il 18%. Fanalino di coda la radio con il 4%. Il futuro dell’advertising, della comunicazione aziendale, dell’e-commerce e del marketing è perciò sempre di più tra i tasti di uno smartphone. O ancora di più sul touch screen di un tablet.