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BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Occhio agli Emerging: sono volatili ma non sono tutti uguali

È una fase, questa, in cui i mercati ritengono di avere elaborato a sufficienza il lutto per il rialzo dei tassi americani. Il ribasso di agosto e settembre ha purgato i portafogli non solo dei timori sulla Cina ma anche di quelli di una stretta monetaria da parte della Fed, per quanto modesta. Di nuovo in salute, quantomeno apparente, borse e crediti si sentono ora in grado di superare l’ostacolo di dicembre, quando il Fomc, verosimilmente, alzerà i tassi. Si comincia addirittura ad avvertire un senso di leggera euforia e di disponibilità alla sfida. Nuovi massimi sulla borsa americana sono a portata di mano, i ribassisti e i sottopesati sono in affanno e all’eccesso di pessimismo di agosto può subentrare ora un eccesso di ottimismo.

In questo clima si ritorna a guardare agli emergenti, gli intoccabili, i paria, quelli che in questi anni di fine del superciclo del credito e del superciclo delle materie prime si è imparato a detestare e comunque evitare. Il rischio, come sempre, è che lo si faccia con approssimazione, come quei turisti avventati che partono per costose spedizioni andine o himalaiane in scarpe da ginnastica, salvo poi rientrare precipitosamente a casa al primo temporale.

La prima cosa che bisognerebbe cercare di non fare è acquistare Etf generici di settore, azionari o obbligazionari che siano. È vero che si diversifica il rischio, ma si vanno a comprare mele sane e mele marce o seriamente avariate tutte insieme.

Meglio distinguere, dunque, ma come? Forniamo qui qualche criterio di classificazione e speriamo in questo modo di dare un’idea della complessità di questo universo. Non parliamo della Cina, che fa categoria a parte, né dei debitori corporate, che a loro volta vanno considerati singolarmente. Parliamo invece di cambi, borse e bond sovrani, restando su strumenti accessibili e non troppo complicati. Niente repubblica di Gibuti, quindi, niente Abcasia e niente Transnistria, con tutto il rispetto per la loro economia e per il loro sistema finanziario.

Cominciamo con qualche classificazione inusuale. La prima domanda da porsi quando si comprano dei bond è se il paese che li ha emessi esisterà ancora fra cinque o dieci anni. In questi giorni, complice la leggera euforia dei mercati, sono state lanciate emissioni di bond in dollari di Giordania e Libano. Anche l’Iraq è sul mercato da molti anni. Si tratta però di tre paesi che non esistevano prima del 1916 e chi ha visto Lawrence d’Arabia ricorderà la scena in cui in cui l’idealista Peter O’Toole assiste allibito al cinismo con cui tre vecchi signori, il diplomatico inglese Sykes, il francese Picot e il principe della casa di Saud li creano dal nulla. La geografia di SykesPicot è però fortemente contestata dall’Isis, che come è noto estende i suoi dubbi anche alla legittimità della casa di Saud e della Siria. È vero, Giordania e Libano hanno conti abbastanza in ordine e godono di protezioni internazionali. L’Iraq, dal canto suo, galleggia sul petrolio più a buon mercato del pianeta e sarà competitivo anche con il greggio a 20 dollari. Però, insomma, ci siamo capiti. Chi compra questa carta deve anche abbonarsi a qualche rivista di studi mediorientali e seguire con la massima attenzione quello che succede.

Come dicevamo, l’Arabia Saudita è un grande finanziatore del Libano, ma aiuta molto anche l’Egitto, che ha in giro alcuni bond in dollari. L’Arabia è però a sua volta destinata a un rapido deterioramento dei suoi conti, visto che spende come prima incassando la metà dal suo petrolio. La vedremo sempre più spesso sui mercati a chiedere soldi. Per adesso il rischio è poco, ma è poco anche il rendimento.

Come si vede, la seconda domanda da porsi è se il paese che si va comprare, indipendentemente dai suoi conti, è protetto da qualcuno più forte di lui. A parte Cina e Russia, che ogni tanto aiutano qualche paese sudamericano in cambio di petrolio, gli unici veri lord protettori sono gli Stati Uniti e l’Europa, sia in prima persona sia tramite il Fondo Monetario. Ecco quindi la categoria dei paesi in rianimazione per volontà politica altrui. In questa lista è ospite fisso il Pakistan. Ospite ormai abituale è anche l’Ucraina, che gode di straordinarie attenzioni americane in funzione antirussa. Grecia e Cipro sono invece nella sala di rianimazione europea. Sono paesi interessanti per chi investe, soprattutto nelle fasi immediatamente successive alle periodiche ristrutturazioni del debito. Dopodiché, liberi tutti.

Una terza domanda da farsi è se il paese in cui si pensa di investire è segnalato o meno nelle guide per il turismo finanziario e se è meta di flussi di denaro internazionale che arrivano e se ne vanno con la rapidità di uno stormo di uccelli. Se si vuole fare trading è ovviamente meglio seguire i grandi flussi (sperando di fare in tempo a uscire prima dei riflussi). Se si vuole rendimento è meglio invece considerare (ma non necessariamente comprare) emittenti esotici come Bielorussia, Etiopia, Armenia, Congo, Mongolia o Vietnam, poco liquidi ma più tranquilli.

Una quarta domanda è se si ha a che fare con un paese che può pagare ma non vuole o con uno che vuole ma non può. Per strano che possa sembrare il secondo gruppo è di gran lunga preferibile. Il debitore serio, che alla peggio si rimette in piedi con una modesta ristrutturazione dei suoi bond, è molto meglio del populista relativamente benestante che rinnega il debito cosiddetto iniquo e riempie di insulti chi ha avuto lo stomaco di prestargli dei soldi.

Una quinta domanda è se ci accontentiamo che il paese che stiamo studiando respiri o se vogliamo anche che cresca e diventi prospero. Nel primo caso ci limiteremo a comprare bond in dollari o in euro (sempre che lo stock di debito estero non sia già troppo elevato o non stia crescendo rapidamente), nel secondo compreremo borsa. La valuta e i bond in valuta locale vanno invece comprati, di regola, solo quando il paese ha deciso di fermare l’inflazione (generalmente imbarcata in precedenza attraverso una svalutazione). È la fase magica in cui si può guadagnare contemporaneamente sia sul cambio sia sul bond.

Venendo ora ai grandi nomi (Bric, Messico, Turchia) vediamo subito che la distinzione che è stata fatta per tutto il 2015 (vendere chi esporta materie prime, comprare chi le importa) è utile ma non è assolutamente sufficiente. Altrettanto importante, infatti, è la qualità delle politiche seguite dai rispettivi governi.

L’India è stata enormemente premiata dal mercato per tutto il 2014 e parte del 2015 non tanto perché importatore di materie prime quanto per la svolta politica rappresentata da Modi. Il Brasile, simmetricamente, è stato punito non tanto perché esportatore di ferro, soia e petrolio, quanto per le politiche della Rousseff. Il Messico, esportatore di petrolio ma con politiche stabili, è stato lasciato molto più tranquillo. La Russia, che vive di gas e di petrolio, è stata bombardata dai mercati in dicembre e gennaio, nel momento cioè in cui è sembrata sbandare politicamente, e ha navigato tranquilla quando Putin è apparso di nuovo in pieno controllo. La Turchia, che le materie prime le importa, è stata lo stesso azzannata nel cambio e in borsa quando Erdogan è sembrato debole e nervoso. Da qui in avanti, con Erdogan rafforzato, verrà verosimilmente lasciata in pace.

Cogliere i momenti di svolta politica è dunque vitale. La Russia trarrà vantaggio, nei prossimi mesi, dall’attenuazione progressiva delle sanzioni europee e dalla stabilizzazione del prezzo del petrolio. Il rublo, dice la Nabiullina, rimarrà stabile nel 2016 e i rendimenti in rubli sono interessanti. Comprare o meno, a questo punto, dipenderà più dall’idea che si ha sul futuro corso del greggio che da variabili endogene russe.

Le due speranze per il 2016 sono l’Argentina e il Brasile. Sono due paesi che nelle prossime settimane potrebbero svoltare politicamente o, in alternativa, continuare a sprofondare lentamente. L’impeachment della Rousseff è da seguire con la massima attenzione. Se andrà in porto il mercato saprà premiare generosamente il real e, ancora di più, la borsa di San Paolo.

Questa veloce rassegna non può essere completa senza considerare la componente di lusso dei paesi emergenti, l’Europa orientale e balcanica, e quella extralusso, l’Europa centrale. Stranamente si tratta di due aree poco rappresentate nei portafogli. È un peccato, perché quasi tutti i paesi offrono rendimenti interessanti rispetto al rischio che rappresentano. Pensiamo in primo luogo alla Polonia.

Due considerazioni finali. La prima è che i tassi americani saliranno una prima volta e probabilmente, a questo punto, non succederà niente di terribile. Saliranno un giorno una seconda volta e magari, di nuovo, non succederà niente. Saliranno una terza, una quarta e una quinta volta e prima o poi verrà il giorno in cui il mondo emergente sarà chiamato a un esame severo. La seconda è che gli emergenti sono volatili anche nelle fasi tranquille. Comprarli solo perché in un dato momento si ha liquidità disponibile o perché ci viene messa sul piatto una nuova emissione fresca di giornata non è necessariamente una buona scelta. Seguire con pazienza i paesi che ci interessano e aspettare un momento di debolezza del cambio o del corso obbligazionario può facilmente valere come il rendimento di un anno.

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