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BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – Le Borse fuori dall’Eden: ecco che cosa succederà

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Et timui, eo quod nudus essem, et abscondi me. Ho avuto paura perché ero ignudo, dice Adamo al Signore che lo va cercando, e mi sono nascosto. Prima, quando erano in stato di grazia, l’uomo e la donna non conoscevano vergogna. Ora, dopo la Caduta, si sentono improvvisamente impuri, cercano di coprirsi come possono e si nascondono alla vista. 

La Cina, come vedremo, è un’ottima scusa, così come sono scuse, più o meno buone, il petrolio, gli emergenti, le mattane tardoestive o autunnali. Ma il vero motivo per cui le borse si stanno contorcendo e faticano a ritrovare un equilibrio non è la sofferenza per qualche colpo arrivato all’improvviso, ma la vergogna per essere salite troppo in questi anni. Le borse non conoscevano vergogna quando erano in stato di grazia, quando cioè erano in comunione piena con le banche centrali, che le guardavano con occhio benevolo e le incoraggiavano a crescere. 

Come animali finalmente addomesticati, i mercati, un tempo fieri e selvaggi, avevano preso a dipendere sempre di più dal padrone che li nutriva con il Quantitative easing e li proteggeva da ogni caduta correndo prontamente in soccorso. In cambio della libertà e dello spirito critico avevano avuto la calda sicurezza della quasi scomparsa della volatilità e la possibilità di avventurarsi ogni giorno più lontano lungo la strada del rialzo. 

Ma il 6 maggio, con la famosa frase della Yellen sui mercati azionari piuttosto cari, il padrone ha fischiato la fine della ricreazione. I mercati si sono accucciati subito, con le orecchie basse, cominciando a giocherellare sul posto. Certo, era più bello quando si saliva di corsa, ma anche le rotazioni tra un settore e l’altro con gli indici fermi possono dare soddisfazione e senso alla vita. Da quel 6 maggio è però successo che le banche centrali hanno mostrato sempre più indifferenza verso i mercati azionari. 

Con le economie più stabili, quanto meno nei paesi sviluppati, il bisogno di borse particolarmente forti è venuto meno, mentre il ricordo ancora fresco dei danni prodotti alle economie dalle bolle del 1999- 2000 e del 2004-2007 ha indotto a guardare con qualche preoccupazione, se non con fastidio, a livelli così alti. Gli umani, del resto, hanno inaugurato il Neolitico addomesticando gli animali non per farne compagni di giochi ma per mangiarseli o quanto meno, per farli faticare trascinando l’aratro o il calesse. 

Le banche centrali avevano nutrito e protetto le borse pensando che queste avrebbero ricambiato lavorando per loro e facendo percolare ricchezza sull’insieme dell’economia, ma questo è avvenuto poco. Deluse e indifferenti, le banche centrali hanno assistito alla correzione di questi giorni con un silenzio tanto gelido quanto era stata calda e premurosa, lo scorso ottobre, la loro risposta a una discesa più modesta di quella in corso. 

L’influente Dudley, tempestato di domande sull’atteggiamento della Fed nei confronti della borsa, ha quasi alzato le spalle. La borsa sale e scende, ha detto in sostanza, è il suo mestiere. Noi ci occupiamo dell’economia, che in fin dei conti continua ad andar bene. La perdita dello stato di grazia verrà col tempo metabolizzata dalle borse, così come l’umanità ha imparato ad arrangiarsi anche una volta cacciata dal giardino dell’Eden. 

Al momento produce però una comprensibile ansia abbandonica, blocca ogni velleità di rialzo automatico e, soprattutto, costringe a confrontare seriamente i dati della realtà con il livello delle quotazioni. Ed è da quest’ultimo fronte che sono arrivati spunti un po’ spiacevoli. Ruota oggi, ruota domani, si è scoperto che era più facile trovare settori da vendere che settori da comprare. 

Cadute in disgrazia da tempo l’energia, ridimensionate le attese sui ciclici, bloccate le utilities dal rialzo imminente dei tassi, depresse le banche dalla possibilità che il rialzo venga invece rimandato, penalizzata la tecnologia dalle paure sulla Cina, visti con sospetto i social network e il biotech per i multipli spesso elevati, il mondo è sembrato scivolare da sotto i piedi quando l’ultimo settore che sembrava invulnerabile, i media, ha mandato qualche segnale di stress. 

Non bastasse, le aspettative di vita del ciclo economico si sono accorciate e la vita residua appare in ogni caso più grama. La fine del superciclo globale del credito significa che si dovrà andare avanti con le sole nostre forze, senza stimolanti. E queste forze, come mostra la bassa crescita della produttività, non sono certo spettacolari. Ci sono però anche aspetti positivi. L’impossibilità di ricorrere agli stimolanti (che non siano blandi caffè al Qe) rende il ciclo più piatto ma anche più stabile. 

Non è poi detto, anche se c’è in giro più debito che nel 2008, che la prossima recessione sia devastante come quella che ci siamo faticosamente lasciati alle spalle. C’è stato un tempo, basti pensare agli anni Cinquanta e primi Sessanta, in cui le recessioni erano brevi e superficiali. Un’economia che cresce e investe poco difficilmente produce eccessi. Chi ha investito troppo, come l’energia e il minerario, ora paga dazio e serve da lezione a tutti gli altri. 

Gli eccessi finanziari, dal canto loro, vanno governati. Lo sgonfiamento dei bond europei nei mesi scorsi e quello azionario degli ultimi giorni vanno in questa direzione. La maggiore volatilità porta il mercato a una maggiore prudenza e previene mali peggiori. La leva, nella finanza, non è più alta come un tempo e continua a scendere. Quanto alla Cina, i più tranquilli sono quelli che la seguono da tempo e che ne conoscono meglio i limiti, ma anche la forza sottostante. 

Il rapportone annuale del Fondo Monetario sulla Cina, appena pubblicato, è pieno di lodi e complimenti per le trasformazioni in corso, che vanno tutte nella direzione giusta. Chi vive invece sull’ultimo dato o daterello, o sulle fluttuazioni della borsa di Shanghai, va nel panico. In merito alla credibilità delle statistiche cinesi, che ai nostri occhi appare alta quando sono brutte e nulla quando sono belle, prepariamoci al peggio. 

A chi ha deciso di non credere, infatti, i dati dei prossimi anni appariranno ancora più contraffatti, perché il manifatturiero non crescerà più, ma i servizi esploderanno. Poiché quasi tutti i dati ad alta frequenza riguardano il prodotto materiale, chi guarda solo questo rimarrà per sempre scettico e continuerà a pensare che il famoso 7 per cento di crescita ufficiale, fatto sempre più da servizi, sia un 7 politico deciso a tavolino. 

L’altro grande aspetto positivo di una crescita globale modesta è che i tassi reali rimarranno in tutto il mondo negativi. Certo, i manuali insegnano che i tassi non sono funzione della crescita bensì dell’output gap. Quanto sia l’output gap, tuttavia, non lo sa in realtà nessuno, mentre che la crescita sia modesta è una certezza evidente. È per questo che le banche centrali proseguiranno con le politiche espansive e andranno a vedere sul posto il livello reale dell’output gap. 

In pratica, aspetteranno l’inflazione salariale vera prima di stringere troppo. Nel frattempo cercheranno di stringere, quando possibile, di quel tanto che basta per non rimanere troppo spiazzate nel caso in cui l’inflazione parta all’improvviso. Viaggeremo quindi, nei prossimi mesi, tra i massimi di borsa che abbiamo visto nei mesi scorsi e minimi ancora sconosciuti, ma probabilmente non abissali.

Nuovi massimi non saranno impossibili, ma andranno guadagnati con il sudore della fronte degli utili, non con il sorriso compiacente delle banche centrali. È questa, del resto, la condizione umana dopo il peccato originale.

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