Come molte malattie, le recessioni approfittano degli eccessi e degli stravizi ai quali ci lasciamo andare da sani, quando ci pensiamo invincibili. Come molte malattie, le recessioni non si annunciano con squilli di trombe ma lavorano inizialmente in silenzio. Anche quando producono i primi sintomi, possono facilmente essere scambiate per banali acciacchi o mali di stagione. Accade però anche il contrario e cioè che banali acciacchi o mali di stagione siano scambiati per sintomi di malattie gravi. O che malattie anche debilitanti e invalidanti, ma non fatali, siano scambiate per l’inizio della fine e che il paziente si ponga senza motivo (e ponga al suo dottore) l’interrogativo più crudele. Quanto mi resta? Nonostante i progressi della medicina, la diagnosi corretta è ancora un’arte, più che una scienza. Ma oltre alle difficoltà oggettive, ci sono molte questioni soggettive.
Un medico può esagerare la gravità della situazione perché è lui stesso ansioso, perché vuole spaventare il paziente per indurlo a curarsi di più oppure perché è in conflitto d’interesse e vuole fare spendere soldi in esami e cure inutili. Talvolta c’è un confine sottile tra l’ansia, la volontà di coprirsi le spalle e l’ambizione di farsi notare. Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito all’insorgere di numerose nuove epidemie circoscritte (la Sars, l’aviaria, l’encefalopatia spongiforme, Ebola) e tutte le volte si è alzato qualcuno, anche molto autorevole, ad annunciare una pandemia paragonabile alla Peste Nera. Ammonire per primi può essere un segno di responsabilità, ma può anche essere utile alla carriera e, nel caso la fosca previsione si avveri, procurare una citazione negli annali di storia della medicina, un monumento e la dedica al proprio nome di un ospedale, di una via o di una piazza. Per parte nostra, siamo più preoccupati per i mali strutturali del mondo e per la bassa crescita dell’economia e degli utili che si profila sull’orizzonte di medio periodo che per una ricaduta imminente in una recessione globale paragonabile a quella da cui siamo appena usciti.
Consideriamo però uno stimolo e una provocazione utile l’idea di Willem Buiter, ex banchiere centrale e capoeconomista di Citi, di una recessione guidata dalla Cina nel 2016-2017. Per quanto spesso incline al pessimismo, Buiter è un uomo brillante e di grande spessore. Buiter attribuisce un 40 per cento di probabilità a uno scenario in cui la crescita globale scende sotto il 2 per cento nel corso del prossimo anno. Il punto di partenza è un atterraggio duro della Cina, un contagio esteso a tutti i paesi emergenti e un rallentamento conseguente di tutti i paesi sviluppati. Detto questo, la previsione ufficiale di Citi per il 2016 è di una crescita globale del 2.5 (già corretto al ribasso per tenere conto delle dubbie statistiche cinesi) contro il 2.6 del 2015. Che il mondo stia ondeggiando tra forze opposte, positive e negative, è un dato di fatto e la possibilità che prevalgano quelle negative va tenuta in conto. Ci sembra però quanto meno presto per dichiararle vincenti. Facciamo un breve giro del mondo per provare a verificare la situazione. Cominciamo dalla Cina.
Qui l’osservazione più frequente tra i sinologi dedicati, quelli che cercano di raccogliere dati al di fuori delle statistiche ufficiali, è che l’aggravarsi del rallentamento è avvenuto all’inizio di quest’anno e che nel secondo e terzo trimestre è subentrata una certa stabilità. Certo, il manifatturiero cinese crescerà d’ora in avanti a una velocità simile a quella globale, ma i servizi mostrano segni di ottima salute. Gli emergenti che dipendono dalla Cina stanno in questo momento peggio della Cina stessa perché non hanno la forza di bilanciare la caduta del settore estrattivo con i servizi. Alcuni di loro, d’altra parte, continuano a seguire politiche populiste e anti-business. Altri come il Messico, che hanno politiche più equilibrate, stanno assorbendo la crisi abbastanza bene. Quanto ai paesi sviluppati esportatori di materie prime (Australia, Nuova Zelanda, Canada, Norvegia), la svalutazione e il rilancio del manifatturiero non estrattivo richiederanno del tempo per produrre i loro effetti positivi. Alla fine ne usciranno economie più equilibrate.
Venendo agli Stati Uniti, come fa notare Ethan Harris di Bank of America, nei cinque anni passati c’è stata una sistematica sopravvalutazione delle prospettive di crescita, regolarmente deluse a consuntivo, ma ora si sta passando all’eccesso opposto. La Fed alzerà i tassi anche più di quanto il mercato si aspetti ma questo non fermerà il treno in corsa dell’economia, che crescerà sopra il potenziale anche nel 2016. La forza dei consumi, dell’immobiliare e dei servizi bilancerà la decelerazione del manifatturiero Crescere sopra il potenziale non significa rovinare il motore ma fare risalire l’inflazione che l’anno prossimo, verosimilmente, raggiungerà e forse supererà il 2 per cento. Anche gli ultimi dati europei confermano che l’accelerazione impressa dal Quantitative easing non è stata effimera e lasciano tuttora sperare ragionevolmente che il 2016 sia ancora migliore. Quanto agli sviluppi recenti nel settore automobilistico, alcuni ne hanno approfittato per prospettare la fine del diesel, la crisi dell’intero settore, l’arresto dello sviluppo della Germania e quindi dell’Europa e del mondo.
Altri hanno ricordato il recente caso di General Motors, multata per un solo miliardo per un problema anche più grave di quello attribuito a Volkswagen. Onestamente ci pare presto per valutare le implicazioni dello scandalo, che saranno più probabilmente rilevanti per gli utili del settore che per le vendite finali. Nel complesso, quindi, abbiamo a oggi Europa e America in salute, una Cina in affanno ma ancora in crescita, un Giappone che cercherà di fare ripartire l’Abenomics in crisi e la maggioranza dei paesi emergenti in difficoltà piuttosto serie. Ricordiamo che l’Europa (e non la Cina come spesso si dice) è la seconda economia del mondo e che quindi sono le prime due economie ad andare bene. L’onere della prova, al momento, spetta dunque a chi paventa una recessione. Questo non significa che per le borse si profilino mesi particolarmente brillanti. Privo del sostegno esplicito delle banche centrali (anche se il rinvio del rialzo dei tassi da parte della Fed segnala che c’è ancora molta attenzione all’andamento dei mercati) l’azionario dovrà trovare un suo equilibrio tra una crescita che continua e un’inflazione che risale. Quanto ai bond, ovvi beneficiari (con l’eccezione dei crediti) di qualsiasi rallentamento, la penalizzazione dei corsi in caso di tenuta della crescita e ripresa dell’inflazione sarà contenuta dal fatto che i tassi reali diventeranno probabilmente ancora più negativi.