Proviamo a non pensare a un elefante. Immaginiamoci un numero, un concetto, una cosa qualsiasi ma cerchiamo di evitare di pensare a un elefante. Ce la possiamo fare. Ci sono infiniti numeri o, come scriveva Giordano Bruno, infiniti mondi su cui riflettere e non si vede perché in questo momento, con tutte le cose che abbiamo da fare, ci si debba proprio mettere a pensare a un elefante. Basta concentrarsi, usare un po’ di forza di volontà, aiutarsi con tecniche di meditazione e l’elefante non comparirà nei nostri pensieri.
Facile, vero? No, per niente. Praticamente impossibile. Tanto vale cedere alla tentazione, pensare liberamente a tutti gli elefanti che ci vengono in mente e stare a vedere che cosa succede. Prima o poi, se non avremo nel frattempo deciso di fare degli elefanti la nostra ragione di vita, ci verrà in mente qualcos’altro.
L’idea della fine del grande rialzo azionario (e obbligazionario) di questi anni è per molti investitori così dolorosa che si preferisce provare a non pensarci. Più si prova però a cacciare l’idea dalla porta, più questa rientra dalla finestra. E allora proviamo a considerarla.
Si sa che gli umani, quando si trovano improvvisamente di fronte a qualcosa di molto spiacevole, prima cercano di negarne la possibilità ma poi, quando subentra in loro il principio di realtà, provano a trattare. È quello che fa il nobile cavaliere del Settimo sigillo di Bergman quando cerca di guadagnare tempo convincendo la Morte a giocare a scacchi con lui.
Per un grande rialzo azionario trattare con la Fine significa abbassare drasticamente le proprie aspettative e negoziare un lungo periodo di borsa piatta (o, come si dice in gergo, laterale). Molto meno divertente, certo, ma non disprezzabile per chi pratica lo stockpicking, per il long/short e per i cacciatori di dividendi. Qualcosa insomma in cui guadagnare sia più faticoso, ma non impossibile.
Succede però che anche gli economisti e gli strategist, con tutti i loro apparati di modelli, equazioni e nobili aspirazioni alla scientificità, siano soggetti, come tutti, a strane superstizioni. Se da 86 anni nessun economista o strategist o gestore si azzarda a prevedere borsa piatta nel lungo termine è per l’infausto precedente di Irving Fisher.
Fisher (1867-1947) fu un economista straordinariamente prolifico di idee brillanti e creative. Partito da una solida preparazione quantitativa e da un’impostazione neoclassica, divenne un precursore dell’econometria e del monetarismo, ma elaborò anche concetti, come quello di deflazione da debito, da cui partirono post-keynesiani radicali come Hyman Minsky (1919-1996) per elaborare una teoria sull’intrinseca instabilità dell’economia e dei mercati finanziari.
La grandezza di Fisher è sempre stata riconosciuta dagli addetti ai lavori. Schumpeter, Friedman e Tobin, pur partendo da impostazioni molto diverse tra loro, lo hanno definito il più grande economista americano di tutti i tempi. Nel grande pubblico, tuttavia, su Fischer è calata la damnatio memoriae per la sua infelice previsione di un mercato azionario stabile sui massimi per un lungo periodo, rilasciata pochi giorni prima del grande crash del 1929.
Queste ultime parole famose costarono a Fisher, oltre alla reputazione, gran parte della sua fortuna personale. Da allora, dicevamo, nessuno ha più il coraggio di prevedere lateralità di lungo periodo. Che, d’altra parte, non sono praticamente mai esistite in natura, nemmeno in epoche storiche relativamente stabili e con poco debito.
La lezione di Hyman Minsky, del resto, è consistita proprio nel constatare che un’economia stabile non genera una borsa stabile ma una borsa (o un mercato immobiliare) in rialzo fino al momento in cui la bolla, scoppiando, retroagisce sull’economia e la manda in recessione. È curioso, per inciso, come Minsky sia partito proprio dalla lezione di Fisher per trarne conclusioni completamente opposte sulla stabilità di lungo periodo.
Se la lateralità è dunque un’eccezione (tale è stata quella su Wall Street tra dicembre e metà agosto), bisogna allora decidere se si si può tornare ad andare su o se ci si deve preparare a scendere ancora più giù. La nostra idea è che andremo su e giù con oscillazioni sempre più ampie, con la possibilità di modesti nuovi massimi e quella di minimi di periodo asimmetricamente più bassi dei minimi recenti, ma non catastrofici, fino alla prossima recessione.
Questa, in altre parole, non è la Fine, ma semmai l’inizio di una fine che può anche essere piuttosto lunga. A 15 volte gli utili 2016, l’SP 500 non è a livelli stratosferici, soprattutto se si considera che il multiplo medio, dal 1960 a oggi, è stato di 16 volte.
A nostro avviso, però, il mercato è plafonato perché gli utili faranno fatica a crescere e perché ogni rialzo verrà sequestrato dalla Fed, che approfitterà dei momenti favorevoli di borsa per alzare i tassi. Il problema, alla fine, è sempre quello. La politica fiscale è paralizzata, quella monetaria è meno espansiva, il rubinetto del credito non è più utilizzabile su larga scala in nessuna parte del mondo e in America, Germania e Giappone siamo vicini al pieno utilizzo dei fattori produttivi.
Questo significa, nella migliore delle ipotesi, crescita bassa a perdita d’occhio e, di conseguenza, il rischio continuo, in caso di incidente, di recessione. In questo contesto è razionale che il premio per il rischio aumenti e che i multipli azionari vengano riportati su livelli più difendibili.
Detto questo, non tutto è perduto. L’Europa ha valutazioni più basse dell’America e può legittimamente attendersi un 2016 ancora migliore del 2015. La Bce ha poi fatto già intendere che, in caso di bisogno, prolungherà e renderà più aggressiva la politica di Quantitative easing. Il Giappone, dal canto suo, manterrà una politica monetaria ultraespansiva mentre la Cina, se avrà il coraggio di adottare le politiche giuste, riuscirà ad attestarsi su un livello di crescita decente e difendibile.
Il vero miracolo, il bianco cavaliere che corre in soccorso del ciclo economico e del bull market azionario, l’antiossidante che ne prolunga la vita, sarebbe la crescita della produttività, oggi malinconicamente a zero.
Provando a indossare gli occhiali rosa potremmo dire che delle due l’una. O siamo davvero in piena occupazione e allora gli investimenti in produttività stanno per ripartire. Oppure, come dicono le colombe, ci sono ancora molti disoccupati o sottoccupati occulti, per cui non siamo al vero pieno impiego e i tassi possono ancora restare bassi a lungo. Staremo a vedere. Per il momento rimaniamo investiti in azionario con l’idea che il 2015 di borsa si possa concludere un 5 per cento sopra i livelli attuali.