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BLOG DI ALESSANDRO FUGNOLI (Kairos) – I mercati stanno cambiando: occhio a tassi, petrolio e dollaro

Tentiamo di trovare una logica di fondo nel polverone che si è levato sui mercati nelle ultime due settimane e avanziamo qualche ipotesi sul futuro. I sei anni seguiti alla primavera del 2009, il punto più basso della Grande Recessione, hanno visto nei mercati il prevalere di movimenti lineari, lunghi e ampi. I tassi hanno continuato a scendere, i bond e le azioni a salire. Le valute hanno avuto due ampi movimenti. La prima fase, quella che ha visto l’America adottare le politiche monetarie e fiscali più espansive, ha avuto un dollaro sostanzialmente stabile e debole. Nella seconda, che ha visto il passaggio delle politiche più espansive prima al Giappone (2012) e poi all’Europa (2014), il dollaro ha preso a rafforzarsi con una progressione costante. Le materie prime, dal canto loro, hanno avuto anch’esse due fasi lineari.

La prima ha visto un consistente rafforzamento, causato dal dollaro debole e dalla forte domanda cinese. La seconda fase, discendente, ha avuto come cause il dollaro forte, l’indebolimento della domanda cinese e la rivoluzione del fracking, che ha portato a un’esplosione dell’offerta di petrolio e gas non convenzionali. Anche sul piano macroeconomico le tendenze sono state lunghe e, a modo loro, regolari. L’America ha avuto una crescita debole ma costante che ha permesso una riduzione lineare del tasso di disoccupazione. L’Europa ha avuto una Francia perfettamente stagnante e una Germania che, con la sua crescita, ha compensato le recessioni a singhiozzo della periferia. L’inflazione globale ha continuato lentamente a scendere, senza però trasformarsi in deflazione conclamata. Sulla borsa americana, infine, i margini si sono mantenuti costanti su livelli record, gli utili hanno continuato a crescere e i multipli si sono progressivamente espansi. Tutto molto liscio e regolare. La fase che si sta aprendo, che teoricamente potrebbe anche essere lunga, si profila più complicata, nervosa e volatile. La navigazione per i gestori di portafogli, guidata in questi anni da correnti maestose e tranquille, si farà progressivamente più difficile. Le correnti si frammenteranno e si incroceranno, confondendosi, dividendosi e formando progressivamente dei vortici.

Alcuni movimenti, finora lineari, diverranno circolari. Facciamo tre esempi, dollaro, tassi e petrolio. Sul dollaro il movimento circolare è già iniziato. Con il dollaro che torna a indebolirsi non passerà molto tempo prima che l’economia americana riprenda un po’ di colore e si torni a parlare di un rialzo dei tassi. Ma l’idea di un rialzo dei tassi tornerà a fare salire il dollaro, indebolendo le prospettive per la crescita americana fino a quando non si smetterà di parlare di rialzo o lo si rinvierà a data da destinarsi. Jeffrey Gundlach parla in proposito di una giostra che continuerà a girare su se stessa, con il dollaro e il tasso che si rincorreranno l’uno con l’altro. Lo stesso fenomeno, aggiungiamo noi, sta iniziando a formarsi sui tassi di mercato. La linea di pensiero dominante è lineare. C’è stata una lunghissima discesa e ora inizia una lunga risalita. Con i rendimenti negativi, una bizzarria da Alice nel paese delle meraviglie, si è toccato il limite fisico e il mercato, vedendo che le banche centrali non si decidono ad alzare i tassi, ha pensato bene di cominciare ad alzarseli da solo.

Le banche centrali, secondo il pensiero dominante, arriveranno più avanti, confermando la scelta del mercato una volta che la crescita economica si sarà consolidata. Poiché il ciclo di crescita sarà lungo, sarà lungo anche quello del rialzo progressivo dei tassi. I rendimenti reali rimarranno magari a zero, ma il corso dei bond scenderà, scenderà e poi scenderà ancora. Questa tesi è sostenuta, naturalmente con sfumature e toni diversi, da personalità autorevoli come Bill Gross e Warren Buffett. La Yellen stessa, che fino a ieri spingeva il mercato a prendere rischi, ammette ora che i rendimenti a lungo termine sono anormalmente bassi e si mostra preoccupata per la brusca caduta dei bond che si potrà verificare quando la Fed abbandonerà la politica dei tassi a zero. Tutto questo è vero e giusto, anche se è bizzarro che il mercato perda la pazienza e venda i bond proprio in un momento in cui la crescita globale sta rallentando (con la sola eccezione europea). C’è però un presupposto di fondo, quello per cui starebbe partendo una riaccelerazione globale, che appare corretto se si guarda ai prossimi 6-12 mesi, ma che resta tutto da provare nel medio-lungo periodo.

Nel breve, infatti, è praticamente certa l’accelerazione americana (non difficile, a dire il vero, dal momento che si parte da un primo trimestre a crescita zero), così come è probabile che l’Europa, dopo un ottimo primo trimestre, abbia altri tre-sei mesi come minimo decorosi. Anche la Cina, che si è avviata con decisione verso una politica monetaria espansiva, avrà un recupero di crescita forse sorprendente nella seconda parte dell’anno. La fragilità del mondo è però strutturale e i problemi strutturali hanno il brutto vizio di ripresentarsi periodicamente. Steven Ricchiuto di Mizuho fa notare che una parte rilevante della ripresa industriale americana di questi anni ha ruotato intorno all’automobile, tipicamente acquistata a rate. Un modesto rialzo dei tassi potrebbe bloccare il settore. Più in generale, bisogna ammettere che quella dell’imminente decollo della crescita strutturale americana è una leggenda metropolitana che circola da molti anni e che non si è mai realizzata, né si vede onestamente perché debba cominciare a realizzarsi proprio adesso. Con la produttività a crescita zero e un incremento demografico molto più debole di quello di una volta le stime di crescita economica a lungo termine non possono che essere basse. Quanto all’Europa, se la ripresa in corso si dovesse tradurre in tassi oltre i livelli attuali e in un euro in ulteriore significativo recupero verrebbero presto meno i benefici del Quantitative easing e si tornerebbe alla condizione di partenza che, lo ricordiamo, non era certo esaltante.

In Cina, infine, se la riaccelerazione sarà dovuta solo a nuovi programmi di opere pubbliche e all’euforia da rialzo di borsa (l’agenzia governativa Xinhua ha confermato che il consolidamento in corso sarà breve e che il rialzo riprenderà) la qualità della crescita sarà sempre più bassa. In pratica, quindi, un rialzo globale dei tassi di mercato metterebbe un freno alla crescita in tempi più brevi rispetto a quelli che abbiamo visto in passato. Basterebbe un errore di manovra della Fed o un trimestre di crescita deludente per fare scendere i rendimenti di mercato con la stessa velocità con cui stanno salendo in questi giorni. Un’altra giostra, quindi, quella tra tassi e crescita. Infine il petrolio. Nell’era pre-fracking il tempo che trascorreva dal momento in cui una società petrolifera decideva di esplorare una zona, pianificare la produzione ed estrarre la prima goccia di greggio si misurava in anni (se non in decenni, come in Kazakhstan). Con il fracking si misura in poche settimane. Il violento recupero del greggio degli ultimi due mesi è dovuto proprio alla velocità con cui il settore del fracking ha ridotto la produzione. È però successo, in questi mesi, che oltre alla produzione è sceso notevolmente anche il costo di estrazione. Ai prezzi attuali, quindi, sta diventando di nuovo molto profittevole produrre, soprattutto in Texas. Molte società hanno già annunciato che, se questi prezzi terranno, molti pozzi verranno riaperti.

Il prezzo, se così dovesse essere, tornerà a scendere rapidamente. Ecco quindi, già in movimento, la giostra tra prezzi e produzione. Che fare, allora, nei portafogli? Il bello dei movimenti circolari è che offrono la possibilità, a chi perde un giro, di aspettare quello successivo. L’attesa è però un lusso che si possono permettere solo gli investitori individuali e quelli a lungo termine, come i fondi pensione. Per tutti gli altri la circolarità, se scambiata erroneamente per linearità, rappresenta una tentazione continua a sbagliare. Nel dubbio, quindi, è razionale ridurre l’esposizione complessiva quando se ne presenta l’occasione. E che fare adesso? L’impressione è che dollaro, tassi e petrolio abbiano corretto già parecchio nelle ultime settimane e che le aspettative di inflazione siano cresciute troppo in fretta, così come erano cresciute troppo quelle di deflazione fino a qualche tempo fa. Quanto alle borse, la stabilizzazione anche temporanea di dollaro tassi e petrolio dovrebbe essere sufficiente, Grecia permettendo, a ridare colore ai mercati europei.

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