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BLOG ADVISE ONLY – Stipendi e produttività non crescono in Italia: ecco perchè

Uno degli aspetti post-crisi è la deconnessione tra produttività e salari, che sono in ritardo. Lo ha detto la capo-economista dell’Ocse Catherine Mann il 18 marzo 2015 alla presentazione dell’Interim Assessment, notando che l’aumento dei salari resta molto al di sotto dell’incremento segnato dalla produttività. Non è così in Italia, dove sono in discesa sia i salari, sia la produttività. Esaminiamo meglio la situazione e le sue cause.

Produttività e salari reali: un confronto tra Italia e Paesi Ocse

Consideriamo una importante misura di produttività: il PIL per ora lavorata, noto anche come produttività del lavoro. I dati del Global Wage Report 2014-2015 dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) mostrano chiaramente che nei paesi sviluppati si sta allargando la forbice tra produttività del lavoro e salari reali (ossia gli stipendi corretti per l’inflazione, in modo da tenere conto del loro potere d’acquisto).

In Italia, invece, più che una forbice vediamo un taglio generalizzato: fra il 2007 e il 2013 la produttività del lavoro è scesa dello 0,14% (fonte: Ocse), mentre l’indice dei salari reali è calato a 94,3 punti nel 2013, dalla base di 100 punti relativa al 2007 (fonte: ILO Global Wage Report 2014-2015).

Perché i salari reali sono scesi in Italia?

La ricerca economica ha dimostrato che i salari reali sono pro-ciclici, ossia seguono il ciclo economico. Questo spiega il loro calo col peggioramento della situazione economica italiana. A ciò si aggiunge l’annoso problema del cuneo fiscale, peraltro salito tra il 2000 e il 2012. L’Italia è al sesto posto tra i paesi Ocse per peso del fisco sullo stipendio, con una tassazione che si “mangia” il 47,6% dello stipendio lordo di un single senza figli. La situazione dei lavoratori con famiglia a carico (moglie e due figli), migliora leggermente rispetto ai single, con un cuneo fiscale del 38,3% (fonte: Ocse, dati aggiornati al 2012).

Non bisogna sottovalutare poi che retribuzioni e produttività si influenzano a vicenda. Guardate il grafico: mostra una correlazione diretta tra salari e produttività nei paesi sviluppati, per cui se aumenta l’uno, aumenta l’altro e viceversa (fonte: ILO, dati relativi al 1999-2013).

Una correlazione per definizione non implica un rapporto di causalità, tuttavia gli studi di comportamento organizzativo insegnano che lo stipendio influisce sia sull’impegno profuso al lavoro, sia sulla performance, sebbene in modo mediato dalla passione per quello che si fa (tecnicamente: la motivazione intrinseca). Pertanto, i bassi salari reali hanno un impatto negativo sulla “voglia di lavorare”.

Le cause della bassa produttività del lavoro in Italia

1. Bassi investimenti e innovazione

Il centro studi Impresa Lavoro, sulla scorta di dati dell’Istat nota che dal 1980 gli investimenti sono calati lentamente ma inesorabilmente: lo stock di capitale lordo è passato dal 3% a meno dell’1%.

Il basso livello di investimenti si traduce in un basso livello di innovazione: siamo 18mi su 28 in Europa per spese di Ricerca e Sviluppo (R&S), coperte per metà dallo Stato e per l’altra metà dalle imprese (fonte: Eurostat). Il basso livello di innovazione e investimenti sono entrambe figlie dell’assenza di una politica industriale che, a sua volta, ha portato con sé un progressivo calo della domanda, in particolare con la crisi.

2. Mala gestione delle risorse

Gli economisti Ottaviano e Hassan sostengono che l’Italia utilizza male le sue risorse, sia umane che economiche: fra il 1995 e il 2006 ha infatti investito di più nei settori a minore produttività.

Queste scelte sbagliate sono a loro volta il risultato di bassi investimenti in ICT e di una pessima gestione del personale. Nello specifico, in Italia:

  • le promozioni non avvengono sulla base del merito, ma dell’anzianità;
  • premi ai dipendenti non sono legati né alle performance, né al raggiungimento degli obiettivi aziendali;
  • i lavoratori meno capaci sono difficilmente rimossi dalla loro posizione;
  • quadri e dirigenti non vedono l’attrazione e lo sviluppo di giovani talenti come una priorità.

3. Mercato del lavoro inefficiente

Infine, gli economisti Thomas Manfredi e Paolo Manasse hanno approfondito il problema dell’errata allocazione delle risorse nel mercato del lavoro. Secondo loro, il problema non è tanto la flessibilità, quanto gli incentivi.

Confrontando Germania e Italia, notano che i salari in Italia sono rigidi: nel breve periodo non riflettono le variazioni di produttività, mentre nel lungo periodo, paradossalmente, gli stipendi crescono nei settori dove la produttività scende. E sono proprio questi settori quelli che attirano i maggiori flussi di occupati. Insomma, i problemi dell’Italia sono vecchi e radicati. Sarà la “volta buona” per nuove soluzioni?

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