Come è successo ad altri Paesi Emergenti (e non solo), anche la storia del Brasile è costellata da successi e insuccessi. A decenni di dittatura militare, elevati livelli d’inflazione, elevata povertà diffusa e alte disuguaglianze, sono seguiti governi democratici che sono stati in grado di migliorare anche la condizione finanziaria del Brasile.
Per capire quali sono i rischi a cui è esposto il Brasile e le possibili reazioni dei mercati finanziari è opportuno analizzare in breve l’evoluzione economica, sociale e politica che ha caratterizzato il Paese a partire dall’inizio del nuovo millennio.
PERIODO 2000-2010: LULA
Durante il governo Lula, nel decennio 2000-2010, l’economia brasiliana cresce del 4% all’anno. Misure sociali e la favorevole congiuntura economica contribuiscono a far uscire dallo stato di miseria decine di milioni di brasiliani e aumenta il livello di occupazione. Inoltre, l’espansione del sistema bancario concorre a migliorare le condizioni del Paese. Secondo la Banca Mondiale, il Brasile tra il 2004 e il 2012 avrebbe ridotto di tre quarti lo stato di povertà “cronica” in cui versava il Paese. Alla fine del decennio la situazione economica è la seguente:
– maggiore occupazione e bassi livelli d’inflazione;
– facile accesso al credito;
– bassa tassazione;
– basso deficit pubblico;
– mercati dei beni e dei servizi in espansione.
PERIODO 2011-2015: ROUSSEFF
Il Paese cambia volto. Al governo si installa Dilma Rousseff, riconfermata poi alle elezione nel 2014:
– il livello di sviluppo è molto più deludente;
– gli investimenti esteri sono ridimensionati;
– il mercato del lavoro minaccia di bloccarsi;
– il deficit pubblico è in aumento;
– l’indice dei prezzi al consumo secondo le ultime stime del FMI si aggira intorno al 7,8%.
Diverse le critiche da parte di ambienti economici e finanziari, che accusano il Governo di eccessivo interventismo pubblico e chiedono un ridimensionamento del ruolo dello Stato nell’economia. Il Governo, da parte sua, si difende attribuendo la colpa principalmente al cattivo andamento dell’economia internazionale. Se i benefici interventi pubblici nell’economia in passato erano stati finanziati con la crescita della domanda estera di materie prime (in particolare cinese) e di prodotti alimentari, oggi il crollo della materie prime legato anche al rallentamento dell’economia cinese sta condizionando negativamente l’economia del Paese.
QUALI RISCHI CORRE IL BRASILE?
In breve: una crisi fiscale e politica. Secondo il FMI, il Brasile presenta un deficit fiscale strutturale a causa di una spesa rigida che impedisce un equilibrio tra tagli alla spesa e aumenti delle tasse. La spese sociali e per le pensioni sono legate al salario minimo indicizzato al Pil. Di conseguenza l’aggiustamento fiscale è fortemente legato alle entrate di Bilancio, penalizzate dalla contrazione dell’attività economica e dal peggioramento demografico.
Il grafico in alto a sinistra mostra le stime di deficit fiscale strutturale del FMI e le proiezioni per un periodo di 15 anni. Tuttavia, i funzionari del governo smentiscono il rischio di una crisi fiscale. Il ministro delle finanze Levy ha annunciato un ambizioso programma fiscale per i prossimi 7 anni: un obiettivo di avanzo primario dell’1,2% rispetto al Pil nel 2015, seguito da avanzi fiscali del 2% nel medio periodo.
Ma i lavori sono in ritardo e i risultati non si sono visti molto. Non aiutano anche le inefficienze burocratiche e la corruzione (il caso Petrobras alla vigilia delle elezioni è un esempio). Il Brasile sembra entrato in una pericolosa e imprevedibile fase di trambusto politico con il rischio di downgrade del rating sovrano e di crisi politica (possibile entro fine anno).
INVESTIRE IN BRASILE?
Secondo le nostre analisi il mercato azionario del Brasile registra le peggiori valutazioni tra i paesi BRIC. Dal 2011, l’indice azionario brasiliano ha perso circa il 23%. Gli utili nell’ultimo trimestre sono stazionari. Se guardiamo al P/E alla Graham e Dodd (il rapporto tra quotazioni e la media degli utili generati a 5 anni) è superiore alla media di lungo periodo, sebbene in diminuzione.
Date le non entusiasmanti valutazioni dei mercati emergenti, abbiamo coscientemente già da qualche mese (giugno), ridotto l’esposizione verso i Mercati emergenti.