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Blanchard (ex Fmi): “Draghi ha salvato l’Europa, ma ora basta austerità”

Intervenendo al Festival dell’Economia di Trento, l’ex capo economista dell’Fmi ha risposto a FIRSTonline sul futuro dell’Ue: “D’accordo con Tria su un nuovo piano di investimenti europeo, ma non finanziato dalla Bce emettendo moneta”.

Blanchard (ex Fmi): “Draghi ha salvato l’Europa, ma ora basta austerità”

Mario Draghi? Ha salvato l’Europa. Il super ministro europeo dell’Economia? Può essere un’idea, per coordinare le politiche di bilancio. Il Fisco? Serve un accordo internazionale contro i paradisi fiscali. Olivier Blanchard, economista francese, ex chief economist dell’Fmi dal 2008 al 2015, rilascia un’intervista a 360 gradi a FIRSTonline, in cui non risparmia critiche al ministro Giovanni Tria ma allo stesso tempo ammette: “Per l’Europa il tempo dell’austerità è finito. Le regole budgetarie sono complicate e superate: vanno ripensate”.

Dott. Blanchard, il ministro Tria a Trento ha parlato di rilanciare gli investimenti pubblici a livello europeo, e perché no di farlo emettendo moneta. Questa ricetta la convince?

“Non del tutto. Siamo d’accordo sul fatto che un rilancio degli investimenti pubblici, sia a livello europeo che dei singoli Paesi, sia necessario, ma stampare nuova moneta non è un’operazione indolore. Gli investimenti in Europa sono effettivamente diminuiti a causa delle politiche di austerità, penso sia giusto che vengano rilanciati, meglio se a livello comunitario, con la regia di Bruxelles, ma è importante che questa operazione venga fatta dalla commissione e non finanziata dalla Bce, perché è una scelta politica ed è giusto che la banca centrale resti indipendente. E’ noto che per finanziare gli investimenti ci sono due strade: emettere nuova moneta o fare altro debito. Con i tassi d’interesse bassi che ci sono adesso potrebbe sembrare conveniente emettere moneta, ma cosa accadrà quando i tassi risaliranno? Quella moneta emessa in più diventerebbe debito e questo comporterebbe grandi pericoli”.

A proposito di tassi d’interesse, come giudica il mandato di Mario Draghi, che volge al termine quest’anno, e la sua scelta di blindare tassi bassissimi fino almeno al 2020?

“Draghi ha letteralmente salvato l’Europa, è stato pragmatico e ha condotto una politica che ha rassicurato i mercati. Ha fatto un lavoro straordinario, quello che ha fatto sarà ricordato come lo sono i grandi momenti della storia del nostro continente. L’unica cosa che andrebbe ancora fatta è una maggior protezione, da parte della Bce, dei singoli Paesi: gli investitori devono sapere che, se attaccano un Paese senza motivi validi, come a volte può accadere, Francoforte è in grado di intervenire. Al momento, questo sistema è un po’ contorto e non funziona benissimo. A Trento ho fatto l’esempio del Giappone, che ha un debito più alto di qualsiasi Paese europeo (quello netto è del 160%), ma con tassi d’interesse negativi. Non c’è dunque lo spread. Invece sull’Italia, nonostante un debito più basso, ci sono dubbi sulle intenzioni del governo, sul pericolo d’insolvenza e su ciò che effettivamente la Bce sarebbe pronta a fare in caso di crisi di liquidità: il risultato è uno spread elevato e costoso. Quanto alla scelta sui tassi bassi, con lo scenario attuale mi pare corretta ed è giusto che rimanga tale finché necessario”.

Chi vedrebbe bene per la sua successione? La Germania scalpita…

“Non faccio nomi e non penso che il Paese di origine del prossimo presidente della Bce sia poi così importante. Serve una figura qualificata e pragmatica, come lo è stato Mario Draghi”.

Tornando alle questioni più politiche, le recenti elezioni europee hanno scongiurato una deriva populista al Parlamento. Tuttavia, è arrivato chiaro il segnale della necessità di un’inversione di rotta.

“Assolutamente. Serve un nuovo corso, con politiche redistributive che diano risposte alle crescenti ineguaglianze sociali. Non deve essere un tabù parlare di maggiori imposte sul capitale e per le grandi aziende, purché venga fatto non solo a livello europeo ma con un grande accordo internazionale, che cancelli i paradisi fiscali. Ci sono vari modi per farlo: ad esempio, tassare maggiormente l’export di quei Paesi. E poi, l’Europa deve chiudere la stagione dell’austerità: oggi la priorità è la crescita, mentre il consolidamento dei bilanci non è più così essenziale, grazie ai tassi bassi. I vincoli di bilancio vanno ripensati, sono troppi complicati e la situazione non è più quella di dieci o venti anni fa”.

I paradisi fiscali però esistono anche in Europa: Irlanda, Lussemburgo, Svizzera. Ed è proprio in questi Paesi che le grandi multinazionali eleggono la loro sede fiscale, penalizzando i Paesi con regimi normali. La questione va affrontata e risolta a livello europeo?

“Sarebbe meglio farlo insieme, ma ogni Paese può farlo anche per conto suo, prevedendo che la tassazione della Google o della Facebook di turno sia proporzionata alle vendite che l’azienda fa in quel Paese, e che non paghi solo le tasse dove ha la residenza fiscale. Ad esempio, se l’azienda X fa il 10% dei suoi ricavi in Francia, pagherà il 10% dei suoi profitti allo Stato francese. Questo farà sì che per una multinazionale non sarà più così conveniente stabilire la propria sede in Irlanda o in Lussemburgo”.

A Trento si è parlato anche di welfare. In Italia il governo sta provando a lanciare il reddito di cittadinanza, una misura al momento confusa e che non sembra così adatta a risolvere i problemi della povertà e del lavoro. Lei che cosa ne pensa? Non sarebbe meglio dare sussidi per aumentare i salari, come è stato proposto qui al Festival dalla docente di Berkeley Hilary Hoynes?

“Serve una visione d’insieme. Le misure miracolose non esistono. Non le so dire se il reddito di cittadinanza funzionerà, ma secondo me una vera politica sociale dovrebbe mettere insieme quattro piani d’azione, per quanto possibile. Il primo, l’assistenza tout court per chi non è nemmeno in grado di lavorare, come le persone con disabilità. Il secondo, quello che chiamo ‘tassa negativa’ o, in inglese, ‘in-work benefit’, ossia la detassazione dei salari più bassi, per aumentare il potere d’acquisto. In questo caso il pericolo è una diminuzione dei salari, perché le aziende potrebbero abbassarli di proposito, annullando il beneficio del sussidio. Qui entra in gioco il terzo punto: il salario minimo, a questo punto importante per evitare che i salari scendano oltre una certa soglia. Infine, un sussidio di disoccupazione, che sia un aiuto ma non un disincentivo a rientrare nel mondo del lavoro. Queste quattro dimensioni mi sembrano necessarie, e aggiungerei anche una riforma della formazione professionale, sulla quale ci sono ancora molti progressi da fare”.

Frans Timmermans, il candidato del partito socialista europeo alla guida della Commissione, ha proposto un salario minimo a livello europeo, pari al 60% del salario medio di quel Paese. Lei sarebbe d’accordo?

“Il costo della vita cambia molto da Stato a Stato. Il salario minimo serve, ma ogni Paese deve stabilire il suo”.

Altra ipotesi sul tavolo, nel nuovo corso dell’Europa, l’eventualità dell’istituzione di un super ministro europeo all’Economia. Che cosa ne pensa?

“Potrebbe essere un’idea, ma più che un superministro per i 28 Paesi dell’Unione, vedrei meglio un superministro dell’area euro. A patto però che prima o poi ci sia un bilancio comune dell’Eurozona. Mi sembra questa la direzione in cui andare, anche perché mettere d’accordo tanti ministri di tanti Paesi si è rivelato difficile”.

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