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Bitcoin, Trump vuole la criptovaluta nelle riserve strategiche nazionali: le quotazioni si infiammano oltre i 70.000 dollari

Il tycoon ha anche detto di voler licenziare il presidente della Sec, pur non essendo tra le sue facoltà. Ora dice che gli Usa saranno “la capitale delle criptovalute”. Ma nel 2021 le definiva “aria fritta”. Le mosse di Kamala Harris

Bitcoin, Trump vuole la criptovaluta nelle riserve strategiche nazionali: le quotazioni si infiammano oltre i 70.000 dollari

Che Donald Trump, almeno negli ultimi anni, avesse un debole per le criptovalute non era affatto un mistero, anche se ha cambiato pensiero rispetto a quando era in carica come presidente. Ma nell’atteso meeting dello scorso weekend il candidato alla presidenza Usa ha calato un nuovo asso sul tavolo crypto infiammando il mercato. “Se sarò eletto, i bitcoin costituiranno la base per la riserva strategica nazionale” ha detto Trump alla Bitcoin Conference di Nashville. Il mercato delle criptovalute aveva già allungato il passo quando, all’indomani dell’attentato, le possibilità che il tycoon venisse eletto alle presidenziali del prossimo novembre erano aumentate.

Già allora le criptovalute avevano iniziato salire, ma le dichiarazioni del weekend hanno dato ulteriore carburante al mercato. La Bitcoin, criptovaluta numero uno al mondo, è arrivata a scambiare vicino ai 70.000 dollari (+3,5%), arrivata a superare i 71 mila dollari. Lo scorso 5 luglio aveva toccato i minimi degli ultimi sei mesi a 53.600 usd. Si sono mosse al rialzo anche le altre principali criptovalute: ethereum a 3.377,14 dollari (+4,8%) e solana a 193 dollari (+6%).

Trump: licenzierò Gary Gensler, presidente Sec

Trump nel week end ha inoltre annunciato la volontà di creare “il Consiglio presidenziale per il bitcoin e le criptovalute” e entro 100 giorni di riscrivere “le regole per la crypto industry, in collaborazione con gli esperti”. Non solo. Il tycoon ha poi detto che licenzierà l’attuale presidente della Sec, Gary Gensler, nominato da Joe Biden che aveva intrapreso un approccio regolatorio aggressivo verso le criptovalute. A Trump deve essere sfuggito che il presidente degli Stati Uniti ha il potere di nominare un nuovo capo della Sec ma non di licenziare i commissari. Quindi Genser resterebbe. A conclusione del suo intervento Trump ha stigmatizzato: “Farò degli Usa la cripto capitale del pianeta e la superpotenza bitcoin del mondo”.

L’appoggio a Trump dal mondo crypto

In questa campagna elettorale gli investitori hanno già speso 80 milioni di dollari per sostenere esponenti politici crypto-friendly, tendenzialmente repubblicani e dallo scorso maggio la campagna ha iniziato ad accettare donazioni in bitcoin, raccogliendo finora circa 4 milioni di dollari. Tra coloro che hanno scelto di investire nella causa trumpiana ci sono Andreessen e Horowitz, i gemelli Winklevoss, Thiel e non ultimo Elon Musk. I trader del settore tifano anche per il vice scelto da Trump, D.J.Vance che oltre a possedere molti bitcoin, ha sostenuto in più occasioni la possibilità di fare delle criptovalute uno strumento alternativo alla finanza tradizionale.

Trump nel 2021 giudicava i bitcoin aria fritta. I dem correggono il tiro

Nel discorso alla Bitcoin Conference non sono mancati gli attacchi a Biden e Harris: “Se loro vinceranno le elezioni ognuno di voi sarà spacciato. Sono malvagi e spietati, faranno cose che non potete immaginare” ha detto Trump . “La repressione della criptovaluta e del bitcoin da parte dell’amministrazione Biden-Harris è sbagliata e dannosa per il nostro Paese”. Eppure nel suo primo mandato presidenziale lo stesso Trump aveva duramente criticato la valuta del bitcoin, definendolo “altamente volatile, basata sull’aria fritta”, annunciando una “una catastrofe imminente”.

Ma i tempi cambiano e anche dal lato dem si elaborano nuove strategie. Mentre Biden tirava potenti freni a mano sul tema crypto, la vicepresidente in carica e candidata dei democratici Kamala Harris, tende una mano alle principali società di criptovalute. Come spiegato dal Financial Times, Harris ha offerto un “reset” delle relazioni per dimostrare che il partito democratico è “pro-business e responsible”.

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