Che sberla: in meno di una settimana 300 miliardi di dollari, più o meno la metà dell’intera Borsa italiana, sono andati in fumo per il crollo di valore delle criptovalute, un terremoto scatenato dalla crisi di TerraUSD fino a coinvolgere tutto il pianeta delle monete alternative, compreso il Bitcoin che ha lasciato sul terreno il 60% del suo valore prima di avviare stamane un timido rialzo.
Non è una novità: nel 2018 la valuta vIrtuale aveva perso l’80% prima di ripartire. Ma allora il Bitcoin era una specie di rarità, appannaggio di pochi corsari, spesso attivi al confine tra attività lecite e iniziative border line. Oggi, a giudicare dal rapporto di Pew Research riportato dal New York Times, il peso della cripto economia è ben diverso: il 15% degli americani che possiedono azioni quotate in Borsa hanno investito qualcosa in bitcoin, Tether o altre cripto valute. Un fenomeno che ha preso velocità con la pandemia grazie ai sostegni di Washington alle famiglie e all’esempio di Elon Musk o di altri miliardari che, con forti profitti personali, hanno fatto da testimonial a Dodgecoin o altre iniziative. Infine, si è radicata la convinzione che le criptovalute fossero una protezione efficace contro l’inflazione. Ahimè, la tesi non ha retto al confronto con il mondo reale: l’aumento dei tassi ha inciso sui livelli delle cripto così come su tutti gli asset rischiosi, a partire dal Nasdaq.
Terra Usd e fondazione Luna: cosa non ha funzionato
Ma queste valutazioni hanno poco da spartire con la drammatica caduta di TerraUsd, la stablecoin all’origine dell’incredibile tracollo scatenato, pare, da un bug, ovvero il baco di sistema più costoso della storia finanziaria. All’origine della stangata, infatti, c’è la parabola di Terra Usd (o Ust), la decima più grande al mondo, frutto del genio di Do Kwon, il suo creatore che aveva finalmente trovato la quadratura del cerchio;: garantire la stabilità della criptovaluta agganciandola al dollaro. A costo zero, per giunta perché la stabilità del sistema è garantita da una serie di algoritmi in grado di attivare la copertura quando necessario attraverso l’utilizzo di un token (un gettone di criptomoneta) chiamato Luna, posseduto da una fondazione. Insomma, chi vuol speculare sulle valute alternative può farlo con un paracadute, limitando il rischio. Ma non è andata così: la parità con il dollaro è andata in fumo, al punto che il TerraUsd è scivolato fino a 23 centesimi. Proviamo a capire perché.
Bitcoin incappato in una speculazione colossale
In sostanza, secondo le regole la Luna Foundation entra in campo solo quando è necessario, con il minor dispendio di forze: lunedì scorso la casa madre ha annunciato che avrebbe difeso l’aggancio con la valuta Usa con una serie di prestiti da 1,5 miliardi di dollari, a società di trading over the counter. Metà della cifra, peraltro, è stata girata in Bitcoin, il resto in TerraUsd. Ma così si è innescato un circolo vizioso, come spiega a Reuters Justin d’Anethan, analista di Amber Group: l’utilizzo del bitcoin come asset di riserva ha creato un “circolo vizioso” per TerraUSD, facendo sì che le vendite di entrambe le criptovalute favorissero il reciproco abbassamento del valore. Il tutto senza muovere un solo dollaro, per giunta. Una colossale speculazione favorita da alcuni azionisti della stable coin, come Anchor, che la settimana scorsa hanno raccolto più di 14 miliardi di dollari offrendo interessi al 20% a chi investiva nei prestiti a TerraUsd. Uno schema Ponzi che non ha retto nemmeno una settimana: sfruttando un baco del sistema, le vendite si sono accanite sui titoli di Luna precipitati da 119 dollari di una settimana fa a poco più di zero. Un disastro che ha coinvolto altre piattaforme generando un effetto domino che ha investito l’intero ecosistema dello stablecoin.
Un piccolo grande terremoto che, probabilmente, spiega in buona parte lo stop di Elon Musk all’acquisizione di Twitter. Non sarà l’unico effetto di una crisi appena iniziata (stamane Terra Usd è stata sospesa di nuovo dai promotori che cercano di capire la profondità dei danni). Facile prevedere che le ferite si faranno sentire per un bel po’.