Il mercato del biologico continua a crescere con percentuali a due cifre. E pur rappresentando solo il 6% dell’agricoltura, con circa 75mila operatori attivi lungo la filiera, chiede maggiori risorse pubbliche a sostegno del ruolo di “sentinella” dell’ambiente e della salute pubblica.
Nel periodo di programmazione 2013-2020 la Politica agricola comune (Pac) ha destinato al settore in Italia 963 milioni di euro, a fronte di 41,5 miliardi incassati dall’agricoltura convenzionale: neppure il 3% del budget complessivo. I dati, elaborati dall’Ufficio studi della Camera dei deputati, sono emersi oggi alla presentazione a Montecitorio del Rapporto Cambia la Terra 2018 “Chi inquina, non paghi!”, elaborato da FederBio con Isde-Medici per l’ambiente, Legambiente, Lipu e Wwf. Una coalizione che ha messo in campo un progetto con proposte indirizzate alla politica per “fermare il degrado dei suoli, delle acque, del clima e per produrre cibi più sani”. Un obiettivo da perseguire nel quadro della prossima Pac 2021-27, hanno sottolineato gli organizzatori, alla luce delle scarse risorse finanziarie a sostegno del settore, ma anche dei costi economici più elevati per produrre in maniera “pulita”. Il che significa più lavoro per produrre senza concimi e diserbanti di sintesi chimica, maggiori costi amministrativi e burocratici, costi aggiuntivi per difendersi dalla contaminazione accidentale e una produzione più contenuta in termini di volumi.
Per produrre con metodo biologico (gli additivi ammessi ad esempio dalle norme Ue sono solo 40, contro i 400 del convenzionale) il lavoro incide per il 30% in più sulla produzione lorda vendibile delle aziende. Da qui la necessità, secondo i sostenitori del bio, di incrementare le superfici coltivate dall’attuale 15,4% al 40% del totale entro il 2027, al termine del nuovo periodo di programmazione della Pac. Tra i “desiderata”, anche il divieto di utilizzo dei prodotti chimici più dannosi, come il glifosato, rimuovendolo da tutti i disciplinari di produzione che lo prevedono. Escludendo così dai premi Ue gli agricoltori che ne fanno uso.
“C’è chi è preoccupato e reagisce in malo modo perché il biologico e il biodinamico si stanno rapidamente affermando – ha detto Maria Grazia Mammuccini, di FederBio – E questo guadagnando posizioni sul mercato e mettendo sempre più in evidenza che il modello di agricoltura basato sull’uso intensivo della chimica di sintesi e sull’ingegneria genetica è ormai superato. Ma la realtà è questa, e oggi la vera innovazione anche in ambito scientifico è seguire l’approccio agroecologico per coltivare in armonia con la natura”.
“Stiamo lavorando alla legge nazionale sul settore, che a breve dovrebbe approdare in Aula”, ha ricordato Susanna Cenni, vicepresidente della commissione Agricoltura della Camera. Osservando che “non ho mai pensato che il bio sia la panacea di tutti i mali, ma anche la Pac, del resto, si pone l’obiettivo di produrre con minore impatto ambientale e un minore ricorso a sostanze chimiche di sintesi”.
“La crescita del biologico negli ultimi anni – ha aggiunto – non è frutto di una moda, ma di una generale presa di coscienza. In ogni caso serve più ricerca per incentivare pratiche agroecologiche”. Ma la ricerca costa. “Se l’obiettivo è produrre cibi sani – ha sintetizzato Filippo Gallinella, presidente della commissione Agricoltura – la riflessione che stiamo facendo è che la Pac ne tenga maggiormente conto”.