Condividi

Bio-on e la plastica 100% solubile: un caso fantastico all’Aim

Bio-on è una fucina di brevetti. Quotata in Borsa nel 2014, in un anno ha segnato un rialzo del 248%. Ha clienti famosi come Kartell, Gima, Maire Technimont. Produce plastica biodegradabile da scarti alimentari: ecco come fa e come ha costruito il suo successo

Bio-on e la plastica 100% solubile: un caso fantastico all’Aim

Un capitale sociale di poco superiore ai 188 mila euro; ricavi consolidati 2017 vicini agli 11 milioni; una capitalizzazione di 1,3 miliardi circa; una performance di +46,15% nell’ultimo mese; +127,07% negli ultimi sei mesi; +248,25% in un anno. E le percentuali sono in ribasso a causa delle vendite prevalenti nelle ultime sedute: è il fenomeno Bio-on in Borsa, dopo l’ammissione all’Aim il 22 ottobre 2014 al prezzo di collocamento di 5 euro per azione. L’azienda bolognese guidata da Marco Astorri e Guy Cicognani negli ultimi tempi è arrivata a superare i 71 euro per azione e al momento ne vale circa 64.

Ma chi è Bio-on? Sul sito di Borsa Italiana si può leggere il suo profilo, che racconta, tra l’altro che “Bio-on è una società di proprietà intellettuale e fornisce le tecnologie necessarie a produrre o a utilizzare i poliidrossialcanoati-PHA attraverso licenze che ne limitano i diritti a un particolare territorio o a una specifica area di business. Bio-on ha progettato e brevettato la prima plastica PHA al mondo completamente bio-based (certificato nel 2014 dal Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti) ed al 100% biodegradabile naturalmente in acqua e nel suolo (certificato nel 2008 da Vincotte) senza l’utilizzo di solventi chimici”. In sostanza è una fucina di brevetti, per plastiche completamente bio. che ha aperto il suo primo sito produttivo poche settimane fa. Un polo in provincia di Bologna che si sviluppa su un area di 30.000 mq, con 3.700 mq coperti e 6.000 mq edificabili e presenta una capacità produttiva di circa 1.000 tonnellate all’anno che potrà salire a 2.000 tonnellate annue.

E cosa rende così attraente una piccola impresa, che ha avuto una grande accelerazione nell’ultimo anno? Sicuramente le partnership con dei player importanti e affidabili della scena industriale: Kartell, Gima, Maire Tecnimont. E poi, o meglio, prima ancora l’idea. Bio-on nasce nel 2007 con l’obiettivo di trovare un’alternativa alla plastica tradizionale derivante dagli idrocarburi e a questo fine si aggiudica una serie di brevetti in giro per il mondo. In particolare si concentra sull’utilizzo di residui di lavorazioni agro alimentari come i melassi o i sughi che rimangono dalla produzione dello zucchero di canna o barbabietola, patate, glicerolo, estratti di scarti di frutta e verdura. Lo scarto diventa una risorsa perché viene usato per nutrire colonie di batteri definiti “buoni” che crescendo in volume producono al loro interno PHAs. La bioplastica nasce in modo naturale durante un processo di fermentazione (fermentation) che avviene all’interno di grandi cisterne chiamate fermentato. Una volta che i batteri sono “ingrassati” e hanno prodotto al loro interno la bioplastica si passa alla fase di estrazione o recupero (recovery). I ricercatori di Bio-on hanno messo a punto un sistema per il recupero che permette loro, dicono, di essere gli unici al mondo a non utilizzare solventi organici o prodotti chimici costosi ed inquinanti, ma solo sistemi meccanici e vapore. Tutto il processo quindi sarebbe sostenibile ed ecologico.

La società lavora fino al 2016 solo con un modello di business cosiddetto IP Based, in sostanza commercializza le licenze d’uso del proprio brevetto affiancando le industrie di vari settori nella messa a punto dei processi per la produzione dei propri prodotti, utilizzando il bio polimero Minerv PHAs di Bio-on.
È infatti soprattutto il “Minerv PHA” che rivela il proprio potenziale di sviluppo, come prodotto piattaforma in grado di funzionare in tantissime applicazioni per diversi settori (dai giochi al packaging all’arredamento alla cosmesi, alla bio medicina, all’elettronica organica).

Un ulteriore salto viene fatto nel novembre 2016 quando Bio-on decide che è il momento di produrre in proprio. Obiettivo sostituire con un prodotto bio degradabile le micro plastiche (dette microbeads) contenute nei cosmetici. Queste sono inquinanti per i mari e risultano ormai vietate in Paesi come Stati Uniti, Canada e UK. “Un mercato enorme – sostiene l’azienda in una nota – che Bio-on prevede di coprire attraverso le licenze d’uso, ma anche con uno stabilimento per definire uno standard di produzione a cui tutti gli operatori del mercato (siano grandi brand della cosmetica o produttori delle “basi” dei cosmetici loro fornitori) possano rifarsi. In questa sorta di laboratorio di prototipi, si faranno prodotti anche per il bio medicale e per ripulire il mare dall’inquinamento da idrocarburi. L’inizio di queste altre produzioni è prevista dopo il 2020.

In attesa di conoscere l’andamento 2018, i numeri del 2017 ci dicono che Bio On ha registrato ricavi consolidati di 10,8 milioni di euro, contro 5 milioni nel 2016; Ebitda 6,7 milioni contro 0,8 milioni; Ebit 6,4 milioni, erano 0,4 milioni l’anno prima; utile netto 5,2 milioni contro 0,4 milioni al 31/12/2016; posizione finanziaria netta positiva (disponibilità) pari a 24,2 milioni a fronte di 3,3 milioni del 2016 e patrimonio netto di 47,4 milioni rispetto a 14,4 milioni al 31/12/2016.

Commenta