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Bilancio Ue, i cinque casi più scottanti

E’ uno dei vertici Ue più complicati degli ultimi tempi quello che si sta tenendo da ieri sera a Bruxelles tra i 27 Paesi dell’Europa unificata. Il tema, delicatissimo, è quello del bilancio 2012, di quello a grandi linee del 2013 e soprattutto del patto per il periodo 2014-2020.

BILANCIO 2014-2020 – La Commissione ha sparato molto alto: vuole un bilancio in attivo di oltre 1.000 miliardi di euro (1.047 per la precisione) nel periodo 2014-2020, il che ovviamente mette spavento a quasi tutti i Paesi membri, che vorrebbero scendere sotto la fatidica soglia dei mille miliardi. Tra questi ci sono i tanti Stati che stanno stringendo la cinghia, altri, come la Germania, che stanno entrando in campagna elettorale, ma soprattutto Gran Bretagna e Finlandia, dove al momento al potere ci sono governi di coalizione sempre più euroscettici. In prima linea su questo tema c’è proprio David Cameron, che ha giudicato inaccettabile la proposta Ue di ridurre di 75 miliardi il tetto, auspicando un taglio di almeno il doppio della cifra.

AGRICOLTURA – Altro tema di grande tensione sul tavolo dei 27 è quello dell’agricoltura, pilastro storico della comunità (ne rappresenta un terzo del Pil): Herman van Rompuy sta infatti procedendo a un drastico ridimensionamento del budget della Pac (politica agricola comunitaria). In questo caso invece è proprio la Gran Bretagna ad approvare la scelta, che invece inquieta non poco Paesi a forte tradizione agricola come la Francia e la Polonia.

INFRASTRUTTURE – L’alternativa ai tagli all’agricoltura è quella, per esclusione, di intervenire sui finanziamenti per la rete di collegamenti e infrastrutture: questa ipotesi però mette sul piede di guerra soprattutto i Paesi più “giovani” dell’Ue, che tutto vorrebbero tranne che la beffa di vedersi ridurre la loro porzione di torta proprio nel momento dell’ingresso nell’Unione. Il problema a dire il vero è sentito anche più a Occidente, in particolare sul versante Mediterraneo, dove Spagna e Italia hanno fortissimo bisogno di quel tipo di aiuti. La soluzione, spinta da molti Stati membri, potrebbe in ogni caso essere quella del “better spending”. Ma anche lì: come? Con quali criteri?

IL CASO GRAN BRETAGNA – Tutto ebbe origine con l’indimenticabile “I want my money back” della Lady di ferro Margaret Thatcher: da allora, l’intransigenza del Primo Ministro britannico è stata premiata con un regime speciale per il Regno Unito, che ottenne che il suo contributo al budget comunitario fosse ridotto. Un regime particolare che dura dunque da 30 anni, e che nel 2011 per esempio ha consentito a Londra di risparmiare 3,5 miliardi di euro. Anche altri Paesi, a dire il vero, hanno degli sgravi (Germania, Olanda, Svezia, Austria), ma la posizione degli inglese è da sempre più delicata, soprattutto adesso che con David Cameron, spinto da un Parlamento palesemente euroscettico, il Paese non solo è fuori dalla moneta unica, ma anche dal Trattato per l’unione finanziaria e bancaria (Fiscal compact) firmato un anno fa e dall’accordo per la tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin tax).

CASO GRECIA – La questione sull’ennesima tranche di aiuti alla Grecia sarà al vaglio dell’Eurogruppo di lunedì, ma è inevitabile che venga comunque affrontata dai capi di governo presenti a Bruxelles. Le due domande che dovrebbero maggiormente percorrere i corridoi del Palazzo nella capitale belga sono: bisogna sì o no dare altro tempo ad Atene? E’ percorribile o no cancellare parte del suo debito pubblico per renderlo maggiormente sostenibile? Angela Merkel è già sul piede di guerra.

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