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Big Pharma e brevetti, sistemi di protezione da rivedere ma non da abolire

Imagoeconomica

Come sempre Vincenzo Visco offre stimoli interessanti nel suo recente articolo sul Sole 24 Ore sui brevetti. Osserverei, nel merito, che:

  1. Non credo che i grandi squilibri prodotti nelle economie dei paesi avanzati dalla globalizzazione possano essere interamente addebitati ai sistemi di protezione brevettuale; molto più importante è stato l’effetto di poter aggirare le regole sociali, salariali e ambientali, e soprattutto ridurre gli oneri d’imposta.
  2. Come tutti i sistemi, la protezione brevettuale è invecchiata e andrebbe riordinata; certamente, si è ceduto troppo alle lobby, allungando i periodi di protezione a miglioramenti di processo (es. classico: gli algoritmi) che non dovrebbero rientrare nella protezione brevettuale. Ma che un sistema di protezione delle innovazioni serva, non mi sembra nessuno lo contesti, ne soffrirebbero quei miglioramenti dei prodotti che richiedono investimenti elevati con rendimenti incerti e distanti nel tempo.
  3. L’idea della Mazzucato secondo cui i brevetti proteggono perlopiù invenzioni pagate dai fondi pubblici a me pare poco fondata. Le traiettorie innovative nel campo della tecnologia IT ed elettronica non erano assolutamente prevedibili in base ai programmi originali di investimento pubblico. Se quegli sviluppi sono avvenuti in USAAA a non nell’UE, ci dobbiamo piuttosto chiedere perché là c’è un terreno fertile per lo sviluppo delle tecnologie prodotte dalla ricerca di base, e qui da noi, no. Se oggi molti di quei mercati sono diventati fonte di rendite ingiustificate, il regolatore pubblico può intervenire e rompere i monopoli o innalzare le imposte. La recente proposta di Biden sull’imposta minima sulle società apre la strada in quella direzione, anche attraverso nuovi accordi internazionali.
  4. Condivido i primi due criteri indicati da Visco per la revisione del sistema brevettuale (che peraltro non può che venire dagli USA e dall’UE, i singoli paesi europei non ce la farebbero). Rilutto tuttavia ad accettare che le revisione del sistema possa basarsi sulla protezione di una nozione di profitto normale, deciso ex-ante dal regolatore pubblico. Tra l’altro, il rendimento dell’innovazione è appunto legato alla rischiosità dell’investimento, non facilissima da valutare ex-ante. Il regolatore può però intervenire ex-post a correggere eventuali evidenti distorsioni.
  5. Big Pharma è l’industria più odiata del sistema capitalistico – ma è stata capace di trovare il vaccino anti-Covid in meno di un anno. E continua a risolvere problemi che la ricerca pubblica secondo me non saprebbe risolvere, inseguendo il profitto. Certo, se non opportunamente regolata e stimolata, non investirebbe nella cura di malattie rare. Certo, ha dovuto essere piegata da interventi pubblici per fornire i farmaci anti-AID ai paesi più poveri, ma alla fine gli strumenti si sono trovati.
  6. Né va dimenticato che in gran parte dell’Europa il maggior acquirente di medicinali è il settore pubblico (i sistema sanitari nazionali) – fonte a sua vola di molte distorsioni e probabilmente non poca corruzione. Quel potere può esser usato meglio.
  7. L’indisponibilità a pagare un prezzo adeguato e ad impegnarsi ad acquistare quantità predefinite spiega non poco delle difficoltà di approvvigionamento di vaccini dell’UE – come spiega di nuovo benissimo LBS sul Corsera. I paesi anglo-sassoni hanno perso maggiori rischi, pagando prezzi più alti, e ora hanno i vaccini. AstraZeneca non si è coperta di gloria, ma ha probabilmente cercato di sfruttare l’opzione di acquisto a suo favore “perché impresa europea” – le protezioni finiscono quasi sempre male. In ogni caso, le opportunità di buoni profitti stanno producendo un fiume di nuovi vaccini, aiutando a contenere gli extra-profitti dei primi arrivati.

Insomma, con tutti i suoi difetti il capitalismo non è male, perché può risolvere in maniera molto efficiente complessi problemi di coordinamento. Quando si comporta male i governi possono intervenire e correggere. I brevetti sono una parte indispensabile degli incentivi a innovare, anche se il sistema è diventato eccessivamente protettivo.

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