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Big Data, datacrazia e il caso di Singapore

Per descrivere la rivoluzione digitale, quella che trasferisce miliardi di dati dagli uomini alle macchine condizionando la vita e l’autonomia degli esseri umani, il professor Derrick De Kerckhove, docente all’Università di Napoli e esperto di cultura digitale, utilizza un grande classico della letteratura italiana:

“Pensate a Pinocchio, un burattino che nel famoso romanzo diventa un ragazzo in carne ed ossa. Cioè una macchina che diventa umano, che è quello che sta accadendo adesso nella società dei big data e di quello che io chiamo rovesciamento: l’interconnettività dà origine alla datacrazia, ovvero al potere dato ai dati, che rappresentano l’inconscio digitale delle persone e ne condizionano l’autonomia. L’uomo per la prima volta nella storia non è più padrone del proprio pensiero”.

Ha smesso di esserlo quando, dopo una lunghissima fase di scrittura manuale, culminata con l’invenzione della stampa, è stata inventata l’elettricità e si è passati alla comunicazione elettronica e poi a tutto quello che sappiamo: internet, big data e quello che il sociologo canadese definisce datacrazia ma che è anche dataismo, ovvero un nuovo sistema economico che sostituisce il capitalismo e che consente alle società in possesso di dati personali di fatturare dieci volte più dei colossi industriali, sfruttando conoscenze e algoritmi. E che pone come temi sempre più attuali quelli della privacy, del diritto all’oblio: “E’ bene che se ne parli, ma le cose non stanno cambiando. Siamo già in balia della datacrazia. Io sostengo che il diritto all’accesso ai propri dati dovrebbe essere garantito dalla Costituzione”.

Molti di questi dati, probabilmente la stragrande maggioranza, vengono trasferiti all’intelligenza artificiale in modo inconsapevole, o quantomeno distratto, attraverso Internet, Google, i social network ma anche Amazon e tutto ciò che viaggia, vende e comunica attraverso la rete. Questo ci rende dunque schiavi delle macchine? “Sicuramente ci pone in una posizione diversa: prima l’uomo era abituato a cercare e a dare risposte, ora le risposte le dà la macchina che è in grado di immagazzinare molti più dati di quelli di cui noi semplicemente ci accorgiamo di consegnargli (da qui l’inconscio digitale). Adesso l’uomo deve imparare casomai a fare le domande, perché il valore dei big data è nullo se non ci sono domande da fargli. L’uomo deve imparare a interagire con l’intelligenza artificiale”.

Altrimenti sarà lei a orientare la sua vita, come già accade attraverso fenomeni che vanno persino oltre i big data ma che sono strettamente collegati, come il deep learning e la predictive analysis, capace di leggere nel pensiero e dunque di condizionarlo: “La predictive analysis mette a rischio la nostra autonomia, la nostra memoria e anche la nostra reputazione”. Si pensi per esempio a chi utilizza in maniera negativa i social: oltre a far girare dei contenuti compromettenti che chiunque potrà leggere, consegnerà alla macchina la propria personalità e la macchina la farà sua, proponendogli argomenti, prodotti commerciali o situazioni coerenti con quell’aspetto e che difficilmente glielo faranno cambiare. “Torneremo a provare la vergogna – sostiene il docente canadese -. Anzi qualcuno di noi sta già usando i social in modo diverso, proprio per la vergogna”.

Il primo caso, e anche il più eclatante, di società datacratica, è quello di Singapore. Quella che De Kerckhove chiama anche democratura, cioè dittatura democratica, perché il governo è eletto dal popolo ma lo sottopone poi a sistemi di sorveglianza massiccia ultra-invasivi, attraverso l’utilizzo di qualsiasi tecnologia, dai big data ai sensori, alle telecamere collocate anche negli spazi privati. “Si può parlare anche di governo di algoritmo: tutta la popolazione è mappata e costantemente controllata. Il tutto serve a far rispettare regole rigidissime, che hanno sì aiutato Singapore a diventare un luogo civile ed evoluto rispetto a soli 40 anni fa, ma a completo discapito della privacy”.

Pochi infatti lo sanno ma a Singapore, tra le tante cose, viene severamente punito chi: si dimentica di tirare l’acqua in un bagno pubblico, disegna graffiti o commette atti vandalici, sputa per terra nelle strade, pratica sesso con una persona dello stesso sesso (fino a 2 anni di reclusione), e addirittura cammina nudo per casa in una stanza che non sia il bagno. Tutto questo significa che la vita delle persone è completamente in mano alla tecnologia, è un grande fratello sociale: “Si può parlare anche di despotismo illuminato, o ancora meglio di fascismo elettronico”, aggiunge De Kerckhove.

Ma il fascismo elettronico, o datacrazia o governo di algoritmo che dir si voglia, è davvero il futuro? Anche le città europee finiranno così? E soprattutto, avranno scelta? “Questo non si può dire, ma di certo si può dire che oltre agli aspetti ampiamente negativi, se non inquietanti come l’impossibilità di controllare l’inconscio digitale e la perdita di autonomia e di riservatezza degli esseri umani, ci sono anche aspetti che definirei positivi: penso ad esempio alla trasparenza e dunque al senso di sicurezza che il continuo accesso ai dati può trasmettere, al transculturalismo, alla sharing economy e alla diffusione di modelli sociali di condivisione”.

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