Martedì notte Fox News, la rete televisiva di Rupert Murdoch, ha festeggiato le sue Idi di marzo, celebrando il primo regicidio tv della storia. In tarda sera, quando sembrava profilarsi una vittoria a sorpresa di Donald Trump dopo l’affermazione in Florida, il network che in questi anni è stato lo strumento più potente nelle mani del presidente, ha fatto lo scoop che non ti saresti aspettato annunciando per primo con largo anticipo che l’Arizona, a sorpresa, stava per passare ai Democratici.
Un colpo basso cui ne sarebbero seguiti altri perché la Bibbia dei conservatori Usa, di gran lunga l’emittente di news più seguita, non è certo stata in prima fila nel condannare i “brogli” degli scrutini. Il presidente, riferiscono le cronache, si è aspramente lamentato attraverso il genero Jares Kushner per poi confidare a Ruddy, proprietario del network conservatore News Max che “Rupert dice che sta sempre con me, ma nei fatti non è così”. All’origine dello strappo ci sarebbe l’intenzione di Trump di dar vita ad un network tutto suo, sfruttando così il suo straordinario talento per la tv. Ma la frattura, probabilmente, sta ad indicare che la destra già sta pianificando il dopo Trump, in cui sarà decisivo il ruolo di Mitch Mc Connell, l’attempato leader della maggioranza repubblicana uscente del Senato, oggi l’ago della bilancia del potere americano diviso tra una Casa Bianca debole, perché Biden non controllerà il Senato, ed un Senato che impedirà fughe in avanti della spesa pubblica.
Anche sull’altro fronte maturano novità importanti. Fino a pochi giorni fa il vero spauracchio della destra era il rischio dell’affermazione della sinistra radicale rappresentata da Bernie Sanders, Elizabeth Warren e dall’astro nascente Alexandria Ocasio Cortez, la vera forza d’urto democratica, decisa a sostenere una radicale riforma fiscale con il ritorno alle aliquote anni Settanta (imposte progressive fino al 70. Ma le urne, a partire dalla Florida, non hanno premiato questa linea con l’attesa onda blu. A salvare la riscossa democratica contro Trump è stata la “vecchia” rust belt, la provincia operaia del Michigan recuperata da Biden, un leader temprato al compromesso da una carriera parlamentare infinita. Insomma, per dirla con Alessandro Fugnoli, lo strategist del Rosso e Nero, “eravamo partiti con Sanders e la Warren, con visionari e temerari progetti di riforma radicale della società americana e di redistribuzione della ricchezza in un clima contrassegnato da scontri di piazza e poi devastato dalla pandemia e ci troviamo oggi una sorta di gestione commissariale concordata tra una Casa Bianca debole e un Senato forte in cui sono ancora presenti repubblicani centristi alla Romney più che disposti a dialogare con i democratici”.
E’ questa evoluzione che spiega in larga misura il rally delle Borse, arrivate al voto scariche di azioni come una città svuotata all’approssimarsi di un uragano. Ma adesso? Biden promette di sostare l’attenzione dai dazi al contenimento della crescita tecnologica cinese. A parole l’Europa sarà più apprezzata ma sarà sottoposta a pressioni ancora più forti affinché si schieri con l’America e contro la Cina, anche a rischio di perderne il mercato. Sul fronte della politica monetaria piena sintonia con il denaro “facile” della Fed per garantire la ripresa. Si può ipotizzare un dollaro più debole e borse meno brillanti perché orfane degli stimoli di Trump. Ma i grandi monopoli del web dovrebbero aver scampato il rischio di una stretta antitrust. E il rigore di Twitter o Facebook nel censurare le sparate truffaldine del tycoon che continua a gridare alla “vittoria tradita” dimostra che ai vari Mark Zuckerberg o Jeff Bezos va bene così.