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Bialetti, la via crucis continua: posticipato ad aprile il rimborso dei prestiti ma la continuità aziendale è molto a rischio

FIRSTonline

L’avevamo scritto nell’articolo del 26 novembre, la lunga crisi della Industrie Bialetti è ormai all’epilogo e non sarà un epilogo tranquillo. I motivi sono parecchi e consistenti. Innanzitutto quelli di ordine finanziario. Ricordiamo che la società di revisione Kpmg ha dichiarato di mettere in dubbio la continuità aziendale non essendo in grado di esprimere un giudizio sul bilancio semestrale consolidato abbreviato al 30 giugno 2024. Una decisione che ha altri precedenti e che è un fatto molto grave per una società quotata quale è Industrie Bialetti. Il termine – il 28 novembre scorso – entro il quale l’azienda doveva rimborsare i prestiti che le avevano consentito di superare il periodo più nero, il 2018-2021, è stato ancora una volta posticipato al 30 aprile. Gran brutto segno perché nessuno sembra voler fornire i liquidi necessari a coprire un indebitamento che ha superato i 123 milioni di euro. E per investirne diverse decine per il necessario rilancio. I probabili compratori – e si sa che ci sono, compresi ricchissimi investitori cinesi – stanno solo aspettando che la situazioni si degradi del tutto auspicando anche, come hanno lasciato trapelare, bilanci trasparenti.

Bialetti, i tre fattori della crisi

Bialetti Industrie Spa ha comunicato il 18 dicembre che si è perfezionata la conversione di parte dei crediti finanziari vantati da Moka Bean Srl (società veicolo che serve per le cartolarizzazioni) nei confronti della società per 1,1 milioni di euro, in un pari importo di Sfp Junior contestualmente sottoscritti e liberati mediante compensazione legale. Ancora una dilazione, ancora qualche mese ma, come abbiamo documentato, il problema della società – di proprietà della famiglia bresciana Franzoni dal 1983 – è molto pesante, essendo il risultato di tre diversi fattori: le pluriennali e inadeguate scelte industriali e di marketing a partire dalla delocalizzazione, la massiccia concorrenza da parte della Gd con brutte copie cinesi di bassissima qualità e prezzo stracciato o fatte da “cantinari” italiani. Una valanga che dura tuttora e che ha travolto altri brand italiani. E, terzo fattore, le crisi dei mercati del 2008 e del periodo recente della pandemia. Altre azienda hanno superato le crisi e delocalizzato riuscendo a integrare produzione nazionale con quella importata. Il problema è che le caffettiere fatte in Cina e in Romania hanno poco a che fare con quelle che venivano fabbricate in Italia, quelle inventate a Crusinallo da Alfonso Bialetti con una serie di geniali innovazioni e che – secondo il motto caro al fondatore e al figlio – erano garantite “per tutta la vita”. Poiché erano il frutto di specializzazioni uniche di uno storico rinomato distretto, quello dei casalinghi del Verbano-Cusio, irripetibile nel livello qualitativo.

Bialetti, le tappe della delocalizzazione

Intanto la prima caduta dell’affidabilità è cominciata molto presto, nel 2006, quando la Bialetti inizia a importare i semilavorati a bassissimi prezzi e qualità dalla Cina. Nel 2008 vengono importate addirittura le caffettiere finite. E anche queste sono di livello “cinese”. Nel 2010 finisce la produzione nello stabilimento di Omegna con lo smantellamento del reparto fonderia e torneria e l’invio delle presse e dei torni nello stabilimento della acquisita Aeternum in Romania. Dove venivano fabbricate pentole… Tra il 2011 e il 2015 parte, in Romania, la produzione a step con supporto di semilavorati cinesi. Sono tools di qualità perlomeno inadeguata. 2017-2018: la crisi provoca la fine delle importazione dalla Cina per problemi di ordine finanziario. Dal 2015 a oggi si completa il totale trasferimento della produzione dei semilavorati e di alcune tipologie di caffettiere in Romania. Quale made in italy? Quello che arriva dalla Romania crea notevoli problemi e nel 2023 riprende l’importazione dalla Cina dopo la decisione più sbagliata, la chiusura dello stabilimento terzista di Ornavasso (ora Mokavit) che fabbricava circa 2-3 milioni di moka di ottimo livello. Le conseguenze sul distretto Cusio-Verbania con la chiusura di oltre un centinaio di terzisti sono disastrose. E parte l’importazione anche delle caffettiere colorate e personalizzate, come quelle firmate Dolce&Gabbana, che, essendo vendute a prezzi remunerativi, dovrebbero essere “protette” dai cloni. Accade l’inverso, vengono delocalizzate malamente anche queste. La Bialetti made in Italy non esiste più. Quello che comprerà uno dei probabili acquirenti è un brand ancora di alto valore che, se fabbricato in Romania, Cina o Vietnam, non vale gran che perché sempre più simile ai brutti cloni della Gd. Che i mercati esteri rifiutano.

Bialetti, le moka con fondi crepati

Una esemplare tesi di laurea magistrale – “Analisi della crisi finanziaria del gruppo Bialetti Industrie” – del Politecnico di Torino del 2018 elenca con una precisione quasi chirurgica la serie di errori e di oggettivi ostacoli che hanno segnato il percorso della società. Una lettura di questo documento tuttora attuale servirà a molti per chiarire i tre fattori della pesante crisi della Bialetti. E come aggiornamento possiamo documentare con foto e informazioni il degrado di quello che era un gioiello del made in Italy. L’irraggiungibile presidente della società, Francesco Franzoni ha affermato che le vendite delle collezioni D&G supporterebbero gli introiti con positivi risultati. Le foto in nostro possesso, fornite dai clienti, dicono ben altro, sono infatti risultate difettose le collezioni di fascia alta – made in Romania – che sono state ritirate in grandi quantità. Sono le moka D&G con crepature e fori sul fondo. Altra documentazione riguarda le caffettiere tradizionali, con buchi e falli di vario genere.

Bialetti, solo il distretto dà la qualità

Non c’è alcun dubbio che le manifatture cinesi, dopo molti decenni, abbiano copiato molto bene lavorazioni, design, brevetti. Ma vi sono settori e tipologie dove è impossibile anche per i copiatori cinesi, fornire prodotti di design, livello e affidabilità italiane. E questo è ancor meno possibile in Romania. Uno di questi settori è proprio la meccanica, e in particolare i casalinghi di metallo, con tutte le lavorazioni connesse in rete, e realizzabili solo in serie personalizzabili, particolarmente curate, solo con personale super specializzato, supportate da logistiche corte, pronte per rispondere a mercati frammentati e volubili. Tutti obiettivi impossibili da mantenere con le gigantesche mass-production asiatiche.

E anche in questo caso, per la prima volta documentiamo con precisione cosa significava il distretto della moka Bialetti, su quali specializzazioni basava la sua unicità, a partire da una rete-filiera molto corta e perciò molto rapida per il time-to-market. Da sottolineare che alle fabbriche cinesi occorrono molti mesi di pre-ordini e prenotazioni, con tempi mai certi per il peggioramento delle filiere marittime. Lo stampaggio dell’alluminio, la tornitura, la smerigliatura e la lucidatura, la produzione dei dischi bimetallo e la verniciatura avvenivano in diversi laboratori di Gravellona Toce. Lo stampaggio della plastica a Oleggio, la fornitura delle scatole a Verbania, l’assemblaggio, il confezionamento, la gestione della logistica, e gli uffici direzionali erano presso la sede dello stabilimento di Ornavasso.

Chi comprerà la Bialetti non potrà non tener conto di queste condizioni. Tanto più che il proprietario dello stabilimento di Ornavasso, Gianni Vittoni, sino a due anni fa, grazie al distretto, consegnava tre milioni di moka alla Bialetti, costruite – le uniche – secondo i principi dell’innovazione e dell’affidabilità. E qui ha avviato una società, la Mokavit, che realizza moka progettate ex novo, di lusso, solo customerizzate (è sua la serie del Giubileo) che seguono i principi fondatori del successo delle Bialetti originali. Una risposta clamorosa alle strategie della produzione di un gioiello – le Bialetti – che non è più da anni made in Italy.

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Categories: Economia e Imprese