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Bialetti, la moka sull’orlo del baratro: andrà in liquidazione se non arriva un’offerta entro il 28 novembre

La notizia era nell’aria da tempo: per lo storico, celebre, quotato, brand del made in Italy, la moka Bialetti, più esattamente Industrie Bialetti, con un migliaio circa di dipendenti, è tempo ormai di liquidazione a meno che non arrivi un’offerta, entro il prossimo 28 novembre, che possa rilanciarla dopo decenni di crescenti crisi, industriali, strategiche, finanziarie. Ma soprattutto dopo una perdita secca di quella che avrebbe dovuto continuare a essere la sua caratteristica: la qualità duratura. In crollo da anni a causa di delocalizzazioni sbagliate quando non inutili, con indici pesanti di difettosità. In definitiva, si profila anche il rischio che il brand prenda la strada verso altri Paesi e soprattutto per la Cina, ad esempio.

Bialetti, bilanci non certificati

Per la Bialetti, che venne venduta nel 1983 dal figlio del fondatore, Renato Bialetti, al gruppo bresciano del pentolame, La Rondine della famiglia Ranzoni, e diventata poi Industrie Bialetti, la società di revisione Kpmg ha dichiarato infatti di mettere in dubbio la continuità aziendale non essendo in grado di esprimere un giudizio sul bilancio semestrale consolidato abbreviato al 30 giugno 2024. In parole meno felpate: si chiude. Una situazione che ha avuto altri precedenti con una mancata certificazione di precedenti bilanci – un fatto molto grave per una società quotata – e che Kpmg traduce in dati nettamente negativi. Innanzitutto una perdita di periodo di 3,8 milioni di euro, un patrimonio netto negativo di 24,1 milioni, e una posizione finanziaria netta negativa di 116,5 milioni. A fronte di questo pesantissimo quadro, il bilancio del semestre ha comunque registrato un aumento dei ricavi del 6,2 per cento, con un margine operativo lordo positivo per 8,6 milioni e un recupero di marginalità. All’origine, come abbiamo sottolineato la perdita progressiva di valore: le prime moka costavano circa diverse migliaia lire (ai tempi dell’inflazione) e ora se ne trovano nella Grande distribuzione (Gd) a pochi euro. Mentre una moka vintage supera i 800-1000 euro e funziona benissimo.

Bialetti, dov’è il presidente?

Che cosa dichiarano i vertici del gruppo di fronte ad una così preoccupante situazione? Niente, perché il presidente Francesco Ranzoni non è reperibile, essendo, a quanto pare, volato ai Caraibi. Ma quello che più inquieta è che le incertezze che stanno compromettendo la continuità dell’azienda hanno dei precedenti che risalgono addirittura al 2007, anno in cui la famiglia Ranzoni collocò Bialetti in Borsa ad un rapporto prezzo/utile dell’azione – come si scoprì – quattro volte superiore a quella che era la reale situazione aziendale. Una non trasparente caratteristica della gestione Ranzoni.

Bialetti, ecco cosa può succedere il 28 novembre

Secondo Kpmg non sembra si siano presentati probabili acquirenti. Strano, perché in realtà, qualche offerta si sa che dovrebbe arrivare. E questo pur essendo i conti decisamente disastrosi e pur essendo il gruppo Industrie Bialetti carico anche del gruppo La Rondine. Innanzitutto lo zampino francese del gigante dei piccoli elettrodomestici e del professionale, il Groupe Seb che aveva acquisito a suo tempo La Lagostina, che fa parte dello storico distretto piemontese dei casalinghi Verbania-Cusio-Ossola, sul Lago d’Orta. Proprio in questo distretto sono nati brand di grande fama come Alessi e Bialetti. Il gigante francese da alcuni anni rileva aziende europee del settore professionale, marchi italiani dell’espresso e specialisti delle attrezzature professionali di alta gamma. Rivale diretto è il gruppo De’ Longhi, tornato a correre con ottimi risultati nonostante le difficoltà dei mercati.

In realtà i gossip dell’area piemontese dei casalinghi indicano nella piccola Mokavit, fondata dal dinamico Gianni Bettoni – uno dei primi specialisti del settore – il pretendente che avrebbe più chances innanzitutto perché è l’unico ad avere le competenze industriali necessarie. Sino a due anni fa, infatti, fabbricava, nel distretto, oltre tre milioni delle moka Bialetti mentre il grosso delle Bialetti della famiglia Ranzoni, di bassa qualità, venivano prodotte in un sito in Romania, di oltre 70 anni di attività. Più una miriade di milioni di contraffazioni fatte in Cina, incontrollabili. Mokavit – che opera anche come hub logistico tra Lagostina e Seb – ha avviato, grazie a competenze industriali uniche a livello internazionale (lavorare i metalli con le stringenti normative e prestazioni italiane è difficilissimo) una propria produzione e vendita on line e off line di moka di speciale fattura, di prestazioni e estetiche particolarmente curate, mantenendo al contempo la tradizione artigianale che da sempre contraddistingue le lavorazioni di questo straordinario distretto. E fornisce anche importantissime catene, eventi sportivi mondiali e a breve anche il Vaticano con serie speciali per il Giubileo. E fabbrica inoltre le moka da induzione, ma quelle che realmente funzionano essendo il fondo per l’induzione elettromagnetica una tecnologia sofisticata e difficile da controllare bene.

Bialetti, quanto costa il rilancio?

Innanzitutto dovrebbe trattarsi di una cessione a costo zero per l’evidente pesantezza dei conti con debiti per 100 milioni con i fondi, e intorno ai 15-20 con lo Stato italiano oltre alle risorse da stanziare subito per il riavvio. L’impegno finanziario complessivo, secondo esperti del settore, dovrebbe aggirarsi intorno a circa 150-200 milioni di euro, dei quali 50 per il riavvio della produzione in Italia, necessità assoluta per tornare al valore originario del brand. Il vero centro della vicenda Bialetti infatti è che, a causa della dissennata politica di delocalizzazione condotta dai Ranzoni per fare concorrenza ai cinesi sul prezzo, è tornare al contenuto di valori della territorio di origine. E cioè materiali, finiture, innovazione e servizi realmente made in Italy. Gran parte delle macchinette che si trovano in giro nella Gd in tutto il mondo è infatti costruita in Cina e spesso inviata a “cantinari” italiani di tutte le risme per essere assemblata in modo da potersi fregiare del marchio made in Italy. Chi non conosce la realtà dei mercati mondiali, non è al corrente che, per esempio, chi in Cina, per censo, disponibilità e cultura, compra il made in Italy vuole essere sicuro che vi sia scritto sul prodotto il sito produttivo italiano con telefono e indirizzo, altrimenti “è fatto qui in Cina, è un made in Italy assemblato con qualche vite”.

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Categories: Economia e Imprese