L’esposizione fiorentina della Galleria torinese Caretto & Occhinegro vede l’eccezionale Paesaggio Litoraneo con Torre Saracena di Roelant Savery, una grande tavola circolare di 50 cm di altissimo pregio. L’opera, pubblicata sulla monografia di riferimento, è un esempio capitale dell’arte raggiunta da uno dei più celebri specialisti di paesaggio a cavallo tra ‘500 e ‘600 e costituisce un unicum nello scenario del mercato internazionale dell’arte.
Per un approfondimento storico e stilistico, resta fondamentale l’esauriente studio condotto dal Prof. Mullenmeister nella sua fondamentale monografia su RoelantSavery.
Secondo l’eminente studioso, l’opera che risulta assente dal mercato da più di venti anni, è un’importante testimonianza del lavoro collettivo di Roelant col nipote Hans II (conosciuto anche come Jan), che contribuì con i pesci ed i gamberi in primo piano e con il gruppo di pescatori nel mezzofondo.
Questo dipinto, assieme ad un ristretto numero di opere tutte fortemente accomunate da unitarietà compositiva e stilistica, fa parte del corpus attorno al quale ruota la questione del supposto viaggio in Italia dei Savery, che avrebbe avuto nella regione istriana il suo fulcro. Si era ipotizzata una loro breve permanenza in Tirolo, ma le prove desunte dai tipi di paesaggi raffigurati dai Savery negli anni 1612-1618, sembrano rendere molto più plausibile una loro presenza in Istra, dopo il loro ben documentato soggiorno a Praga per Rodolfo II e Mattia I.
In tale senso, la comparazione più importante è col Pesaggio Litoraneo conservato agli Uffizi e datato 1614, sulla base del quale il Mullenmesiter situa cronologicamente anche la nostra opera. Identiche nelle due opere sono le piante di cardo in primopiano sulla destra, così come le capanne dei pescatori e le barche descritte con minuzia tecnica (costruite col metodo delle assi incrociate). Anche la torre saracena illuminata dal sole compare in simile forma nel quadro fiorentino, così come identico è il colpo di luce che illumina da sinistra in alto i 4/5 della scena.
Del resto, al di là delle unanime consenso sulla paternità del dipinto che da antologia, a parlare per se stessa è la formidabile bellezza di questa grande tavola circolare, sia sul piano dell’inventiva che della sapienza tecnica.
L’opera, che nella circolarità è ancora memore del “paesaggio-mondo” così come lo avevano concepito Patinir ed Henri met de Bles, è intrisa di un respiro cosmico: le magnifiche nuvole, di perfetta esecuzione, lasciano penetrare sulla terra i raggi del sole, ora liberi di illuminare la terra e gli uomini, rientrati dopo le fatiche della pesca e finalmente al sicuro dai terribili Leviatani che il mare, cupo, abissale e minaccioso, ancora nasconde. Sull’altro versante, la costa è subito inghiottita da una foresta di conifere, lasciando all’Uomo il solo spazio vitale che, come una sottile linea, si estende tra il mare e la foresta. Gli animali e le piante sono riprodotti con un occhio in bilico tra attinenza scientifica e favola erudita, secondo il tipico approccio di Hans Savery (suo il celebre dipinto che raffigura il Dodo, ancora non estinto nel XVII secolo). Con un’epicità degna di Bruegel il Vecchio, l’Artista tratta il tema tipico della paesaggistica fiamminga dell’epoca del rapporto tra Uomo e Natura inteso come riflessione esistenziale sul limiti del primo e sul significato della seconda: le ridotte dimensioni degli esseri umani ritratti, pur nel virtuoso esercizio delle loro abilità tecniche (la pesca e l’architettura come coercizione e dominio del mondo), li riduce a creature biblicamente impotenti, soggiogate da un ciclo meccanico e naturale dal quale non si possono liberare, inconsapevoli burattini di un disegno più grande di loro, forse giocato da forze fisiche di cui non si conosce il funzionamento o da entità metafisiche che si manifestano attraverso fenomeni naturali, siano essi tempeste, bagliori di luce tra le nuvole o l’impenetrabile -struggente- bellezza del mondo.
Tra le quindici opere esposte segnaliamo anche un’opera particolarmente curiosa ma altrettanto bella: la così detta singerie (parola letteralmente traducibile con “giochi di scimmie”), firmata Frans Francken e considerata dall’esperta di riferimento un raro documento di strepitoso livello qualitativo: non si conoscono, infatti, altri dipinti con questo soggetto recanti la firma dell’autore.