Nella galleria dei bestseller di autori italiani e non, ci concentriamo stavolta su uno scrittore sudafricano amatissimo dai lettori italiani che premiano generosamente ogni suo nuovo romanzo. Ci sono pochi dubbi che Wilbur Smith sia oggi uno degli scrittori più amati a livello mondiale, e ancora meno sul fatto che i lettori italiani contribuiscano alla sua fama in maniera notevolissima. A lui si devono al momento una quarantina di opere, e si può ragionevolmente supporre che crescano di numero in maniera anche significativa, dato che, nonostante i suoi 86 anni, gode di ottima salute e non ha alcuna intenzione di riporre la penna. Inoltre per rendere ancora più effettiva questa sua determinazione, negli ultimi tempi si è affiancato a dei collaboratori che gli consentano di portare a termine tanti altri romanzi.
Un successo planetario
Le sue opere sono tradotte in tutte le principali lingue del pianeta, e in buona parte delle secondarie. E fra queste, si diceva, quelle nella nostra lingua godono di altissime vendite.
E i numeri, come sempre, sono lì a dimostrarlo. Al momento gli si attribuiscono 130 milioni di copie vendute in tutto il mondo, e il numero è sicuramente in difetto, dato che cresce di giorno in giorno.
In Italia ha superato i 27 milioni, una tiratura che non sappiamo quali altri scrittori possano vantare nel nostro paese. Bene che vada, comunque, da contare sulle dita di una mano. Ripartita poi sui romanzi tradotti in italiano, fanno di ognuno un best seller dalle vendite elevatissime, per alcuni ben superiore al milione di copie. Diteci voi chi può accreditarsi in Italia, fra gli autori stranieri, di un simile palmares.
Il contributo dell’Italia al suo successo
Un buon quinto delle copie vendute a livello mondiale è dovuto dunque alle versioni in italiano: una percentuale altissima, che non trova riscontro in nessun altro caso. Solo per fare un raffronto con un altro narratore straordinariamente amato in Italia, Georges Simenon, il padre di Maigret, si vede che le copie da lui vendute nel nostro paese sono circa 25 milioni, una cifra simile, sia pur leggermente inferiore, a quella di Wilbur Smith.
Ma Simenon nel mondo ha superato i 700 milioni di copie vendute, cinque volte quelle di Smith. Per cui l’Italia contribuisce alle vendite di Simenon per un 3-4 per cento delle sue vendite complessive, mentre per Smith siamo a oltre il 20 per cento: un seguito altissimo di lettori italiani come per nessun altro narratore!
Libri di avventura
Il suo scenario narrativo non è quello dei dominanti settori del rosa o del giallo, coniugati poi nelle varie articolazioni interne, ma quello dell’avventura. Lo stesso che fece grande a suo tempo Emilio Salgari. Non che Wilbur Smith si possa considerare un suo epigono, numerose sono le differenze fra i due, ma se a un qualche autore della nostra tradizione letteraria dovessimo per forza accostarlo, non sapremmo a chi, meglio del padre di Sandokan.
Come lui, Smith raggruppa le sue storie in cicli, fra i quali quello predominante è senza dubbio quello dei Courtney, che assorbe quasi la metà della sua produzione, iniziato proprio con la sua prima opera, Il destino del leone. Seguono, nella misura molto ridotta di pochi titoli a ciclo, quello dei Ballantyne, quello degli antichi egizi e quello di Hector Cross. Infine concludono la sua produzione letteraria altri romanzi autonomi.
La terra d’Africa, suo scenario privilegiato
La sua narrativa si concentra per lo più sulla storia dell’Africa, dal Cinquecento in poi. Sono le tradizioni, le figure, la mentalità, la cultura, gli stili di vita, gli ambienti del continente che lo ha visto nascere e forgiarsi, in una parola la rude e fascinosa Africa meridionale, il piatto forte della sua produzione .
In seguito lo Smith si è allargato ad altri ambienti, ed ha attraversato il mondo dell’antico Egitto, incentrato sulla ben costruita figura di Taita, il servo eunuco, scriba e praticamente governante del paese del Nilo, nel quale lo scrittore riversa molti caratteri della sua personalità. O quello dell’Europa del ‘900, con i suoi infiniti drammi, descritti sempre in maniera assai attrattiva per il pubblico. Ma è indubbio che il suo punto di partenza rimanga quello legato al mondo africano.
La vita
Ed è lì, infatti, che Wilbur Smith nasce nel 1933, in particolare nella ex Rodhesia del Nord, oggi Zambia, in una famiglia bianca di allevatori e proprietari terrieri. Trascorre l’ infanzia nella fattoria paterna, all’aria aperta, in mezzo alla natura, fra campi e piantagioni, fra foresta e savana, popolate dagli animali favolosi che tutti conosciamo e amiamo: leoni, elefanti, giraffe, zebre, coccodrilli, leopardi e via dicendo. E lì ha vissuto in compagnia di amici, sia neri, figli di coloro che lavoravano per il padre, che bianchi delle famiglie dei vicini.
Compie gli studi superiori e poi universitari in Sud Africa, si laurea in scienze commerciali, ma manifesta sin da piccolo una grande passione per la lettura, spronato in questo dalla madre e poi da un insegnante del college. Per il padre, invece, il rude proprietario della sterminata fattoria di 12.000 ettari, tagliato si potrebbe dire col coltello, quello dedicato alla lettura è tutto tempo perso, sottratto ad occupazioni ben più importanti.
Terminati gli studi Wilbur si impiega in una società fiscale, senza rinunciare però alla passione per la lettura, che lo porta, con il trascorrere del tempo, a quella parallela per la scrittura. Le prime cose, tuttavia, come capita spesso agli esordienti, ricevono una sequela di rifiuti da parte degli editori cui vengono proposti. Tutta roba da buttare. Al momento le sue performances letterarie sono un fallimento totale.
Una vita coniugale assai intensa
Nel frattempo si sposa e ha due figli, ma il matrimonio va rapidamente a rotoli, e a 24 anni ha già divorziato. Lo stesso scenario si ripete con la seconda moglie. Con entrambe non mancheranno in futuro, una volta pervenuto al successo e constatata la straordinaria ampiezza delle sue royalties, diatribe e scontri legali. Ma al momento siamo a zero e per guadagnarsi da vivere deve lavorare nell’odiata agenzia delle tasse.
Il successo
La passione per la scrittura lo porta a effettuare un altro tentativo, incoraggiato anche da qualche racconto che comincia ad essere finalmente apprezzato. Abbandona i propositi di narrare cose più grandi di lui, come aveva fatto sino ad allora, e si concentra sul mondo che conosce davvero profondamente: quello della sua terra, con la sua natura spettacolare, gli animali feroci, i personaggi dal carattere forte. E poi c’è la caccia, la pesca, le battaglie, i sogni realizzati e quelli rimasti tali, il successo e il fallimento, la dura lotta per la vita e per la ricchezza: gli elementi, in sostanza, che caratterizzano la vita di tutti, ma che nell’Africa meridionale lo fanno ancora di più.
L’editore londinese al quale il suo agente letterario invia il romanzo coglie subito le potenzialità del libro, vede nel giovane un sicuro talento e nel 1964 effettua a tambur battente la pubblicazione de, Il destino del leone. Il libro ottiene subito uno straordinario successo di pubblico e diverrà uno dei suoi maggiori, se non addirittura il suo principale, best seller.
A questo punto Wilbur Smith abbandona il grigio lavoro di contabile all’agenzia delle tasse e si dedica alla sua passione. Inizia a pubblicare, anno dopo anno, la serie di romanzi, quasi un titolo l’anno.
La situazione in Italia
In Italia Wilbur Smith viene agganciato a inizio anni Ottanta, una quindicina di anni dopo il suo esordio, dall’editore Longanesi, sigla editoriale nata nel 1946, un tempo prestigiosa e con un catalogo di tutto rispetto, ma all’epoca in stato comatoso, praticamente in agonia.
La casa editrice viene rilevata nel 1977 da Luciano Mauri, patron delle Messaggerie, che due anni dopo ne affida la direzione a Mario Spagnol, già manager Bompiani, Feltrinelli e Mondadori. In materia i due non hanno bisogno di presentazioni, conoscono come pochi il “mestiere” di editore e rilanciano alla grande la appannata sigla della Longanesi. Lo fanno puntando sulla narrativa straniera e l’autore sudafricano è il primo su cui scommettono, seguito poi da Michel Ende, Clive Cussler, Isaac Singer e altri.
La scommessa è vinta alla grande e contribuisce non poco al rilancio della casa editrice milanese.
L’ottimo livello della sua prosa
Accanto ai numeri nudi e freddi della sua fortuna, c’è però un altro elemento da tenere in considerazione allorché si parla di Wilbur Smith, ossia il valore artistico della sua prosa, perché bisogna riconoscere che la grande diffusione popolare non va a scapito della qualità dei suoi romanzi. Egli è capace sì di tenere avvinto il lettore in maniera continuativa e talvolta spasmodica, caratteristica prima, e potremmo aggiungere unica, di un best seller, ma lo fa con un tipo di scrittura di pregio.
Non sarà da premio Nobel, ma comunque non poniamo anche qui limiti alla provvidenza, dato che fra chi lo ha ricevuto qualche perplessità è più che lecita, ma sicuramente la sua è una prosa di valore, non piattamente commerciale.
Wilbur Smith riesce insomma a mantenere quell’accoppiata di qualità artistica e diffusione popolare, che vorremmo trovare sempre nei romanzi, e che pochissimi scrittori dal Novecento in poi, ma il discorso si ripropone negli stessi identici termini anche per il secolo precedente, possono garantire.
La collaborazione con altri autori
Negli ultimi tempi, stante la sua ferma determinazione di andare ancora avanti con la narrativa, da conciliare però con l’inesorabile scorrere del tempo, lo Smith ha preso ad avvalersi della collaborazione di autori più giovani. Pratica questa più diffusa di quanto si creda in certi scrittori, divenuti col tempo dei veri e propri marchi di fabbrica. A loro egli affida il completamento o la caratterizzazione delle sue storie. Altri ghost writer stanno nel frattempo adattando i suoi romanzi a un pubblico più giovane, grosso modo dai 12 anni ai 18, eliminando le scene troppo violente o troppo immorali e incrementando quelle da cui trapelino valori positivi ed eroici.
Buona parte del merito va al nuovo editore Harper Collins, che ha sostituito quello tradizionale inglese, e in larga misura anche alla quarta e ultima consorte, conosciuta e sposata nel Duemila, l’anno dopo la scomparsa per un tumore al cervello della terza amatissima moglie, con la quale aveva vissuto per 30 anni. La nuova compagna, una tagika di 39 anni più giovane di lui, si sta rivelando molto abile nel gestire la vita privata ma anche quella editoriale dello scrittore, e cerca di sfruttare al massimo le residue opportunità del marito.
In tal modo il suo nome continua ad attrarre masse di lettori, come si vede dal successo che arride alle ultime opere, come Grido di guerra, ambientato nella sua Africa dal primo Novecento all’ascesa della Germania nazista, o La guerra dei Courtney che descrive le vicende della II guerra mondiale, ivi compresa la tragedia della shoà, o L’ultimo faraone, ultimo episodio della saga dell’antico Egitto , o infine Re dei re, l’ultimo uscito, in cui le vicende dei Courtney e dei Ballantyne si intrecciano a fine Ottocento.
Tutto questo nell’attesa che escano nuovi titoli a tenere in alto ancora a lungo il nome di Wilbur Smith.