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Bestseller del passato: Liala, la regina dei libri d'evasione

Quasi il 70% della fiction scaricata attraverso il Kindle Store di Amazon è del genere romance.

Ancora più alta la quota nell’ambito degli autopubblicati, sfiora l’80%. 9 bestseller su 10 nelle classifiche del Kindle Store sono del genere rosa. Il pubblico ama leggere libri amore. Di tutto questo quello che ci piace è “leggere libri”, un’attività che pare sempre più in declino schiacciata da media con più capacità pavloviana delle cerebrale lettura.

La nostra Liala ha fatto leggere tantissimo, nonostante si sia attirata l’ironia e lo schermo dell’élite letteraria che non gli ha fatto mancare, non solo la propria disapprovazione, ma anche una buona dose di insulti. Non tutti però si sono accodati al coro degli “indignados”. Per esempio uno studioso di sociologia della letteratura sensibile e accorto come Vittorio Spinazzola, di cui si stanno ripubblicando le opere, ha colto il valore di questa produzione letteraria nella storia culturale del nostro paese. Che c’è di male nella lettura di evasione? Niente, come dimostra il successo stratosferico del romance tra le persone che frequentano il cyberspazio.

Nelle pagine che seguono Michele Giocondi ci racconta la storia di questa scrittrice bestseller. 5 minuti per superare un pregiudizio.

Una scrittrice “d’evasione”

Se c’è un nome che è sinonimo di scrittrice d’evasione, adatta solo a quelle che una volta venivano definite sartine, o, in tempi più recenti, manicure, come fece Camilla Cederna, racchiudendo in questi termini le innumerevoli signore e signorine che non potevano aspirare a letture più impegnative, questo non può che essere quello di Liala. E accanto a lei quello di Carolina Invernizio, che abbiamo già incontrato, o di qualche altro autore, sia italiano che straniero, come Delly, Barbara Cartland e pochi altri. Saltiamo invece a piè pari le tante anonime “scrittrici” di collane rosa, come Harmony, Blue moon e via dicendo.

Liala: termine ripreso oltre mezzo secolo fa anche dai membri del gruppo 63, per attribuirlo a scrittori, come Bassani, Cassola e Pratolini, ritenuti antiquati, incapaci di rinnovarsi, di scarso valore, e quindi da additare alla pubblica gogna. I rappresentanti di questo elitario e altezzoso gruppo sperimentale di avanguardia volevano infatti mostrare con aristocratico distacco a che livello di bassezza fossero giunte le patrie lettere, e ne marchiarono i più popolari interpreti come le “Liale” d’Italia.

Come sappiamo, la mamma dei cretini è sempre incinta, e definire in quel modo, sia pur con voluta e provocatoria enfasi polemica, gli autori del Giardino dei Finzi Contini o de La ragazza di Bube, la dice lunga su chi pronunciò la sentenza, anche se in seguito vi furono vari ripensamenti.

Liala, un fenomeno di sociologia della letteratura

Questo per dire quanto poco valesse in termini letterari quel nome che era stato coniato da D’Annunzio, al quale si era rivolta una giovane Liana Negretti, sposata Cambiasi, ma in via di separazione, offrendogli in lettura il suo primo romanzo.

Ne ricevette in cambio quel nome, nel quale il divino Gabriele volle che fosse presente un’ala, dato il contenuto del romanzo: un nome che a lei avrebbe portato fortuna. Ma probabilmente la cosa sarebbe accaduta anche con altro nome.

Liala! Ma lei è stata davvero quell’autrice di basso rango, priva di qualità letterarie e adatta a un pubblico di poche pretese per lo più, ma non esclusivamente, femminile? La risposta è in larga misura sì, quanto a doti letterarie, anche se non mancano, specie nelle opere più tarde, analisi più approfondite della psicologia femminile, tutto sommato per niente disprezzabili. Il fatto però che la si continui a indagare, che sia oggetto di studi e che si tengano ancora oggi convegni con fior di intellettuali sulla sua opera e sull’impatto straordinario che ha avuto su una platea sterminata di lettrici, sta a evidenziare che la sua fu una presenza significativa nel panorama letterario del paese. E della quale bisogna pur tener conto, anche se interessa più la sociologia della letteratura che la critica letteraria in sé. E comunque, come abbiamo già avuto modo di affermare, se un giudizio irrevocabilmente negativo su di lei si volesse pronunciare, si abbia il coraggio di estenderlo anche a tanti autori seriali, sia italiani che stranieri, che oggi vanno tanto di moda e che non hanno doti letterarie superiori alle sue.

La vita

Liala, pseudonimo di Amalia Negretti, nasce a Carate Lario in provincia di Como nel 1897. Il padre è un farmacista e la famiglia vive in condizioni agiate, ma non particolarmente ricche. La nonna materna appartiene alla nobile famiglia degli Odescalchi, quella che nella seconda metà del ‘600 ha dato un papa alla Chiesa, Innocenzo XI, proclamato beato da Pio XII nel 1956. Per cui il cognome aristocratico della nonna viene inserito talvolta accanto a quello della nipote, a sancirne le radici nobiliari.

La bambina rimane orfana di padre ad appena due anni, e allora cresce sotto la guida della madre, e ancor più della nonna, molto severa quanto a educazione, regole da rispettare e buone maniere, come si addice a un membro di una prestigiosa famiglia. Compie regolarmente gli studi e terminato il liceo si iscrive alla facoltà di farmacia, per seguire le orme paterne, ma non raggiunge la laurea, perché si sposa giovane con il marchese Pompeo Cambiasi, tenente di marina, che ha quasi il doppio dei suoi anni.

Nel 1924 ha la prima figlia, Primavera, ma il rapporto tra i due coniugi comincia ad incrinarsi, e poco dopo Liala lascia il marito e intreccia una relazione con un altro aristocratico, anche lui ufficiale, ma di aviazione: Vittorio Centurione Scotto. È il grande amore della sua vita, quello in grado di dare davvero un colpo d’ala all’esistenza della futura scrittrice. La loro storia, però, dura pochissimo, perché nel 1926 il compagno precipita col suo aereo nel lago di Varese durante un’esercitazione di volo e perde la vita.

Liala allora, ma questo non è ancora il suo nome, si riavvicina al marito e nel 1929 ha la seconda figlia, Serenella. Questo riavvicinamento però dura poco: i due non sono fatti per intendersi, e nel 1930 avviene il distacco definitivo. Liala inizia allora una nuova relazione con un altro ufficiale, pilota d’aviazione, Pietro Sordi, col quale convivrà sino al 1949, quando i due si lasceranno. Cerca anche di ottenere dalla Sacra Rota l’annullamento del precedente matrimonio per convolare a regolari nozze, ma i vari tentativi risultano vani, e nel 1932 il compagno di Liala è addirittura costretto a lasciare l’aeronautica per la convivenza con una donna separata.

Inizia l’attività di scrittrice

Nel frattempo Liala inizia a scrivere. La cosa avviene quasi per caso. Assiste a una collisione fra treni a Moneglia, vicino a Genova, dove risiede col marito, e le viene chiesto, in quanto testimone, di raccontare l’episodio per un giornale. Il pezzo piace, e su invito della direttrice del giornale, autrice di romanzi, compone alcuni racconti. In seguito vince anche un concorso letterario, ma rimane pur sempre una perfetta sconosciuta.

Nel 1931, Mondadori decide di pubblicare il suo primo romanzo in cui si tratteggia una storia d’amore con la successiva tragica morte della protagonista: una vicenda in larga parte ispirata alla sua breve relazione col tenente d’aviazione tragicamente scomparso. Il libro si intitola Signorsì, e deriva dalla risposta che il protagonista del romanzo, Furio, dà al suo superiore che gli ha appena ordinato di partire per una missione, subito dopo la morte della compagna.

Poco prima dell’uscita del romanzo, in visita a D’Annunzio, la giovane scrittrice colpisce la fantasia senile del celeberrimo poeta e scrittore, residente stabilmente da una decina d’anni al Vittoriale. A lui piace il tipo di donna, le risposte pronte e taglienti, la verve, il carattere tutt’altro che indomito, la sicura bellezza, i capelli biondi con sfumature di rosso tiziano, e per far sì che “ci sia sempre un’ala nel tuo nome”, conia per lei quello pseudonimo col quale è nota universalmente: Liala.

Dopo tre settimane dall’uscita del libro, Arnoldo Mondadori le invia un telegramma entusiasta annunciandole che la prima edizione è già esaurita. Iniziano le ristampe per un insieme di copie mai conosciuto ufficialmente, ma si parla, ad oggi, di una cifra oscillante dal milione ai tre milioni di copie: cifra altissima sia allora che oggi, sufficiente a porre il romanzo ai vertici del mercato librario.

Arriva il successo

Il gioco sembra fatto: Liala è oramai una scrittrice affermata. Tre anni dopo esce, sempre per Mondadori, il seguito di Signorsì, Sette corna, poi altri romanzi, sia con Mondadori, che con Rizzoli, Del Duca, Cappelli, ma soprattutto con Sonzogno.

In tutto sono oltre 80 i suoi romanzi, frutto di un’attività continua ed intensa, che vedono la nostra protagonista trionfare sia nelle librerie, che nelle edicole. Sì, perché vedendo quanto la sua opera sia attrattiva per i lettori, ma soprattutto per le lettrici, Rizzoli non esita a offrirle di scrivere anche nelle sue riviste, come Annabella, e altre. E lei non si tira mai indietro.

Nel 1946, a guerra appena finita, Mondadori lancia addirittura una rivista studiata e tagliata apposta per lei: “Le confidenze di Liala”, poi trasformata in “Confidenze”, una rivista ancora oggi in vita e con grandi tirature.

Un successo universale in libreria e in edicola

“Lalla che torna” è il romanzo dove Liala riporta in vita Lalla Acquaviva che aveva fatto morire in un libro precedente. Tale fu la reazione del pubblico che la scrittrice si vide costretta a resuscitare la protagonista. Non è certo in poca compagnia: la stessa Agatha Christie fu spinta a riportare in vita l’antipatico Hercule Poirot dopo le proteste indignate dei lettori. Alle volte gli scrittori restano prigionieri dei loro personaggi.

Liala diventa, tra libri e riviste, la scrittrice più popolare del paese. Si contano a milioni le sue affezionate lettrici, per le quali pubblica per lo meno un libro l’anno, a volte molti di più. Nel 1944 sono addirittura cinque. È talmente seguita che le indicazioni e i suggerimenti che trapelano dai romanzi e dalle riviste diventano di tendenza, fanno moda e non tanto nel settore dell’abbigliamento, quanto in quello del comportamento, nella sfera sentimentale, nel rapporto con l’altro sesso, nei dettagli della vita sociale e affettiva. I romanzi con le copertine colorate e accattivanti, sotto al titolo che preannuncia un’appassionante storia d’amore, si trovano in vendita anche nelle piccole cartolerie dei paesini più sperduti. Alcune madri battezzano la figlia col suo nome, e quando lei lo viene a sapere invia alla bambina una medaglietta d’oro con la scritta: da Liala a Liala.

La fortuna dei suoi personaggi è tale che avendone fatta morire una, Lalla, le lettrici la inondano di lettere e lei trova il modo di riportarla in vita, non diversamente da come aveva fatto Collodi nella prima stesura di Pinocchio, e la rende protagonista della sua più celebre trilogia, La Trilogia di Lalla Acquaviva. Nei primi anni Ottanta, il regista Duccio Tessari porta nello schermo questa trilogia nello sceneggiato Nata d’amore.

Le sue storie fanno sognare, consentono all’immaginario delle lettrici di vivere quei sogni che nella realtà sono loro negati. Le protagoniste, sempre appartenenti alla società aristocratica o comunque benestante, sono eleganti e affascinanti, hanno nomi non comuni, ma studiati apposta per colpire. Intorno a loro si muovono personaggi del bel mondo dotati di indiscusso charme, e danno luogo a storie romantiche, a intrecci amorosi nei quali alla fine trionfano sempre i personaggi più amati dai lettori.

Le critiche al suo mondo dalla stagione del68 in poi

Negli anni Sessanta, nei quali prosegue regolarmente la sua attività sempre seguita da stuoli di lettrici, iniziano a piovere anche le critiche, specie dopo i rivolgimenti del ’68. Emergono nella società nuovi ideali, nuovi modelli di comportamento, diametralmente opposti a quelli di cui lei era la beniamina. Dal fronte femminista piovono critiche contro il tipo di donna troppo remissiva e sottomessa all’uomo da lei incarnato.

La Cederna, come si è visto, la definisce “scrittrice da manicure”, e il coro diventa sempre più numeroso, senza che Liala si scomponga più di tanto. Del resto critiche ne riceveva anche dal versante opposto, da parte della Chiesa, per gli atteggiamenti disinvolti e disdicevoli delle sue eroine, non adatti alle letture delle giovani. Ma lei continua imperterrita a scrivere sino a metà anni Ottanta, quando ha ben 88 anni. La assiste e collabora con lei la figlia, cui si deve anche il completamento di alcune opere, effettuato da altre autrici, ma secondo le intenzioni della scrittrice.

Il favore delle lettrici comunque continua ad accompagnarla a lungo, poi si riduce progressivamente col passare del tempo, fin quasi a scomparire. Ma fino a poco tempo fa pare che complessivamente dei suoi romanzi si vendessero ancora un milione di copie l’anno.

Muore a Varese nel 1995, alla bell’età di 98 anni.

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