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Bestseller, come si fa a scriverlo? Nessuno lo sa, ma forse a poterlo fare davvero è l’intelligenza artificiale

Pixabay

La scorsa settimana su “The Economist” è apparso un brioso e documentato servizio, “How to write a bestseller”, di cui l’editore fiorentino goWare ha predisposto un eccellente adattamento. Con il consueto stile del magazine, che ha inventato un genere a sé di giornalismo, si discute un tema che attraversa tutta l’industria editoriale come quella più latamente culturale.

Il tema è questo: c’è una formula o un modello riconoscibile e applicabile per confezionare un libro di successo, un prodotto cioè che possa diventare un bestseller e ripagare con un multiplo stratosferico lo sforzo dell’autore e del suo editore che hanno investito tempo e risorse nell’impresa?

Leggendo l’articolo si capisce che per questa formula bisognerebbe rivolgersi al laboratorio del Mago Merlino. Semplicemente non c’è una formula.

Nell’ultimo anno, però, è successo che qualcosa di inatteso. È arrivata un’innovazione à la Schumpeter, cioè di quelle che lasciano una bella cicatrice, la quale comincia a sagomare una risposta al nostro quesito. È l’intelligenza artificiale generativa generale.

Faccio io

Questa tecnologia non soltanto mostra la capacità di analizzare e raffinare dati non strutturati per tirare fuori dei trend di gusto e di comportamento del pubblico, ma anche palesa una abilità sorprendente nella scrittura, nello sviluppare plot, personaggi, ambientazioni anche nei differenti stili del canone occidentale.

Con la naturalezza di un abile mestierante riesce anche a capire e ad applicare quei pochi accorgimenti che, nell’oscurità generale, riteniamo necessari nella costruzione di un bestseller.

Non c’è da meravigliarsi che tre scrittori di successo come John Grisham, Jonathan Franzen e George G.G. Martin si siano coalizzati per portare in tribunale OpenAI con l’accusa di aver violato il diritto d’autore nell’aver istruito ChatGPT a scrivere nel loro stile dopo averlo addomesticato con i loro scritti protetti da diritto di copia e utilizzo.

Adesso però vi lasciamo alle considerazioni dell’”Economist” che naturalmente si riferiscono allo scenario anglosassone. Si può tranquillamente pensare che la situazione dell’industria del libro e degli scrittori in Italia e anche in Europa, nella dovuta scala, non sia molto diversa da quella descritta nel testo che segue.

Il miliardo di copie vendute

I libri di Danielle Steel trattano di “Famiglia. Coraggio. Fedeltà”, come illustra la copertina di uno di essi. Trattano anche di “Ricchezza. Paura. Vendetta. Amore”, come recita la copertina di un altro.

La stessa Steel ha dichiarato di scrivere di “cose che capitano a ognuno noi”. D’accordo ma si concentra un po’ troppo sul tipo di cose che riguardano la Ricchezza, Palazzi, Emozioni in lettere maiuscole. Un po’ meno sulle faccende che riguardano la dichiarazione dei redditi, o tagliarsi le unghie dei piedi o andare al supermercato.

Ma questo non ha importanza: i suoi libri vendono un numero impressionante di copie. La Steel ha scritto oltre 200 libri: l’ultimo, “Happiness”, è uscito in agosto e il prossimo, “Second Act”, uscirà in ottobre.

Con il suo miliardo di copie vendute è una delle autrici viventi di maggiore successo commerciale. I suoi romanzi sono una sorta di sedimento letterario che si deposita sugli scaffali dei villaggi turistici e dei club di tutto il mondo. Non ha creato semplicemente dei libri, ma un marchio: tutti, che li abbiano letti o meno (e la maggior parte dirà di no), sanno cos’è “una Danielle Steel”. Ovviamente, il mondo letterario la ignora.

L’attività editoriale

L’editoria è un’attività strana. Nel Regno Unito e in America vale circa 37 miliardi di dollari, ma questo valore non viene dalla letteratura come la studiamo all’università. Viene piuttosto ma da un’attività concepita per il mercato.

Un’autorevole storia della letteratura inglese ha sessanta citazioni di “Shakespeare”; dieci del termine “sublime”; otto volte si parla di versi sciolti, ma non contiene alcun concetto o occorrenza relativi a “mercato” o a “fatturato”.

In un’altra storia della letteratura, i romanzi popolari – cioè “crostate di marmellata per la mente”, come le chiamava William Thackeray, il romanziere inglesi autore de La fiera delle vanità – trovano un pertugio sotto il titolo: “Temi di cultura popolare”. Gore Vidal apre un articolo sui bestseller con l’osservazione trucida che “la merda ha una sua integrità”, e da lì in poi diviene sempre più sprezzante per affermare che di quella “qualità” ce n’è zero nei bestseller.

Tuttavia, il settore dell’editoria libraria dipende da questi disprezzati bestseller. In genere nel mese di settembre le case editrici pubblicano i titoli sui quali puntano di più in termini di vendite. Succede però che la maggior parte dei libri non porterà un guadagno, ma una perdita.

Il miraggio delle 5.000 copie

Produrre, stampare e pubblicizzare un libro costa tra i 15.000 e i 20.000 dollari, stima Mark Richards di Swift Press, un editore indipendente (naturalmente per il mercato americano o britannico, per gli altri paesi occorre applicare un criterio di scala).

Secondo Richards sono necessarie almeno 5.000 copie per raggiungere il pareggio con i costi diretti e generali.

La maggior parte dei libri non ci arriva mai: secondo Nielsen BookData. Per esempio, nel Regno Unito, uno dei principali mercati mondiali del libro, nel 2022 solo lo 0,4% dei titoli ha superato le 5.000 copie vendute.

Quest’anno i libri di Danielle Steel, invece, hanno venduto 268.000 copie. Saranno pure crostate di marmellata, ma è questa la ragione per cui la gente li divora.

Sta di fatto che gli editori mostrano una quasi totale incapacità nel prevedere quali libri venderanno e quali no. Provano.

La casualità del bestseller

Come ha detto l’anno scorso Markus Dohle, allora alla guida di Penguin Random House, il più grande editore librario del mondo, “Il successo è casuale. I bestseller sono casuali. Ecco perché ci chiamiamo Random House”

Gli editori scelgono i potenziali bestseller come si acquistato i biglietti della lotteria, cioè con la speranza che vada per il meglio. Prendersi il merito di un bestseller è, secondo una espressione di Jonathan Karp (amministratore delegato di Simon & Schuster), “come prendersi il merito del tempo”.

La parola “best-seller” è apparsa per la prima volta nel 1890 e da allora sono iniziate a comparire le prime classifiche di vendita.

Un bestseller può anche essere un’opera di buonissima fattura, letteraria. I romanzi dello scrittore inglese H.G. Wells hanno scalato la vetta delle prime classifiche dei libri più venduti.

Non sempre i bestseller sono come i libri di Wells, anzi non è proprio necessario che lo siano. Il sesso vende bene, ma le celebrità vendono meglio. “Spare, il minore” del principe Harry, pubblicato a gennaio 2023, ha battuto il record del libro di saggistica diventato più rapidamente un bestseller.

Alcuni modelli generali

Nel 2018 un gruppo di ricercatori della Northeastern University ha analizzato quasi otto anni di classifiche della lista dei bestseller del New York Times e ha ricavato alcuni modelli generali. Alcuni ingredienti che rendono un libro un bestseller sono individuabili secondo Burcu Yucesoy, il coordinatore del gruppo.

Prima di tutto gli aspiranti scrittori che non mirano al premio Nobel dovrebbero considerare che la narrativa vende meglio della non narrativa; i thriller e le storie d’amore vendono più di tutti; la riconoscibilità del nome conta molto. Se si vuole scrivere di saggistica, che non vende, allora è bene orientarsi verso il genere della biografia, che invece incontra di più il gusto dei lettori.

Gli stesso scrittori spesso non sanno spiegare il proprio successo in modo da poterlo comunicare.

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Nel 1956 Ian Fleming, il creatore di James Bond, pubblicò un saggio sul modo di scrivere un libro di successo. E giunge a questa conclusione: “C’è una sola ricetta per un bestseller, ed è molto semplice. Basta che abbiano una qualità: spronare il lettore a girare una pagina dopo l’altra senza chiuderlo”.

Questo è vero, ma elude completamente la vexata questio.

Il parallelo con il cibo

Jo Nesbo, uno scrittore norvegese di thriller di successo, pensa che la prosa che fa scorrere le pagina somigli al buon cibo: “Non si riesce a dire quali siano gli ingredienti… ma li si scoprono assaggiandolo”.

Lionel Shriver, autore americano, è altrettanto scettico sulla modellizzazione del bestseller. Pensa che se tutto si riducesse a una procedura… allora chiunque scriverebbe un bestseller. “Nessuno – dice – si siede e inizia a creare una storia che appena cinque persone leggeranno”.

Ma se si esaminano i bestseller del New York Times, le tendenze diventano un po’ più chiare. Nell’ultima settimana tre dei primi dieci bestseller erano romanzi d’amore; uno un thriller; quattro erano di un’unica autrice, Colleen Hoover, una scrittrice di romanzi d’amore. La Hoover ha dovuto autopubblicarsi il primo libro, “Slammed”, a ulteriore riprova dell’imprevedibilità del successo.

Solo uno dei dieci titoli presenti nella lista, “The Covenant of Water”, è un testo che può dirsi letterario. Per il gusto imperante è troppo cupo, ci sono troppe similitudini come in Proust, e il lessico è molto elevato.

Arriva il sole

Le ambientazioni dei bestseller sono solari, esotiche, prestigiose. Fleming, per esempio, dice che nei suoi libri “splende sempre il sole”.

I libri di Danielle Steel hanno titoli come “Cinque giorni a Parigi” o “Tramonto a St. Tropez”, mica “Due settimane a Glasgow”. I personaggi femminili tendono a chiamarsi con nomi suadenti come “Lily” e dicono frasi del tipo “Voglio solo te”; quelli maschili pronunciano sentenze come “Abbiamo fucili e granate. Loro hanno calibro 50”. Di donne che lavorano in posti reali ce ne sono poche e sempre in posizioni subordinate.

Compaiono anche alcuni tratti stilistici: le frasi tendono a essere brevi. Molto brevi. E ripetitive. Molto ripetitive. Pensate a Hemingway. In vacanza.

Quasi tutti i bestseller sfruttano al massimo le ricerche effettuate su Google a proposito dei luoghi o delle tipologie dei personaggi della storia.

Un recente libro di Danielle Steel si apre con l’eroina che guarda Roma e cita “la Basilica di San Pietro e la Città del Vaticano, la cupola della Basilica di San Carlo al Corso e, a nord, Villa Medici e i Giardini Borghese”. Questo è un modo per aumentare senza sforzo cerebrale il numero delle parole evocando luoghi che ammaliano.

Anche “Il Codice Da Vinci” offre dei tour molto dettagliati di Parigi con l’effetto di spingere il lettore non tanto a leggere il libro, ma tirare fuori l’iPhone e aprire Google Maps per farsi un personale tour della città.

La prolificità

Forse la qualità più sorprendente degli autori di bestseller è la loro prolificità. James Patterson, scrittore americano di thriller, ha sfornato più di 340 libri (alcuni in collaborazione con altri scrittori o soggetti pubblici, tra i quali anche Bill Clinton).

Una tale velocità nello sfornare i libri, come disse una volta Truman Capote, non consiste tanto nello scrivere quanto nel battere sulla tastiera (Just Type. Not Write).

“Non preoccuparti di scrivere bene, scrivi e basta” è un refrain tra gli autori di bestseller. La signora Steel dice di battere sulla tastiera fino a farsi sanguinare le unghie.

Fleming raccomandava di scrivere 2.000 parole al giorno e di non “imbrattarle” con “troppa introspezione e autocritica”.

Alcuni periodi di questi libri avrebbero avuto bisogno di un po’ più di introspezione, o almeno di una seconda lettura.

Per esempio, un personaggio trova il suo amante a letto con un’altra e osserva “l’unica cosa che mi colpì fu che il suo viso era inespressivo come le sue natiche, che mi fissavano dal letto”. Verrebbe da dire, da lettori, tutti qui i suoi sentimenti? Forse si sarebbe potuto articolare un po’ meglio lo stato psicologico del personaggio.

I libri per bambini

Tuttavia, se si vuol davvero scrivere un bestseller, bisogna ignorare Danielle Steel e gli altri romanzieri della sua forgia.

In realtà il libro che ha venduto più copie in America negli ultimi dieci anni non è di nessun membro di quel circolo. Si tratta di “Oh, quante cose vedrai! (Oh, the Places You’ll Go!)” del Dr. Seuss, pubblicato in Italia da Mondadori.

Al terzo posto c’è un altro classico della letteratura per ragazzi e ragazze, “Il piccolissimo bruco maisazio (The Very Hungry Caterpillar) di Eric Carle, edito in Italia sempre da Mondadori. I libri per bambini non solo si vendono bene, ma continuano a vendere, anno dopo anno, creando fan di tutte le generazioni.

E, tra l’altro, obbediscono perfettamente alla formula del bestseller: frasi brevi alla Hemingway, ambientazioni piacevoli e, naturalmente, un tempo eccellente. O, come scrive Eric Carle: “Una domenica mattina spuntò il sole tiepido e… pop!”. Dal libro è uscito un successo mondiale, un bestseller.

Da: How to write a bestseller, “The Economist”, 25 agosto 2023

Categories: Cultura