Il 1° luglio 2020 è molto vicino ma i 19 milioni di clienti elettrici che ancora si sentono garantiti dalla cosiddetta Maggior Tutela, ovvero dal regime di bollette amministrate, non devono temere. Non ci sarà un D-day in cui, di colpo, dovranno tutti passare sul mercato libero. Ma è auspicabile, anche nel loro interesse, che non ci siano nuovi rinvii. Lo afferma in questa intervista a FIRSTonline, Stefano Besseghini, presidente dell’Arera, l’autorità che vigila sulle nostre bollette di luce e gas così come sul settore idrico e sui rifiuti. E’ con lui che cerchiamo di capire cosa ci attende e quali novità porterà il nuovo Collegio dell’Autorità da circa un anno entrato nel pieno della sue funzioni.
Il momento non è facile: l’energia attraversa una transizione epocale verso le fonti rinnovabili ma il mercato ha ancora bisogno del gas per stabilizzare il sistema. Le infrastrutture sono al centro dell’interesse dell’Arera perché solo con infrastrutture all’altezza dei bisogni degli italiani – ci dice Besseghini – si possono ottenere servizi adeguati e omogenei su tutto il territorio nazionale: e se il tema è meno allarmante per elettricità e gas, il divario su acqua e rifiuti è clamoroso. Il messaggio di Besseghini, che pochi giorni fa ha tenuto la sua relazione annuale, vuole essere pragmatico e rassicurante.
E mentre la maggioranza di governo si divide sulla nazionalizzazione dell’acqua – sì o no – l’Arera spiega che la regolamentazione fin qui attuata dall’Autorità ha portato, negli ultimi 7 anni, una crescita degli investimenti (riconosciuti nella tariffa e vigilati) da 1 miliardo al triplo, con il tasso di effettiva realizzazione degli impianti salito dal 50 all’80 per cento. E là dove le realtà locali operano ancora fuori dalla regolazione? In ballo per il prossimo quadriennio ci sono 9 miliardi di investimenti coperti da tariffa e altri 3, circa, coperti da fondi pubblici.
Che fare? La porta è aperta: ok ai fondi pubblici, ma nulla vieta di reindirizzarli per raggiungere i fini previsti dalla regolazione. Che poi equivale a dire monitorare gli investimenti, anche se pubblici, in modo che vengano completati. Insomma, il mondo dei servizi è variegato, sembra dire l’Arera, meglio una mediazione con “un sistema flessibile e asimmetrico”, se serve, che una rivoluzione dall’esito incerto.
Presidente Besseghini, partiamo dall’elettricità. La scadenza del 1° luglio 2020 è vicina e ancora 19 milioni di clienti sono legati alle tariffe dell’Authority. E’ stato calcolato che ci vorrebbero dieci anni, a questi ritmi, per una migrazione completa sul mercato libero. Cosa può concretamente fare l’Autorità per facilitare questo passaggio?
“Non dobbiamo dimenticare che il 2020 non è l’anno-zero. Siamo già in un contesto in cui il mercato libero esiste e i consumatori possono decidere liberamente tra più offerte sul mercato. Il Portale offerte, il Portale consumi, le offerte placet, la regolazione dei gruppi acquisto, sono strumenti che offrono una rete di tutela non economica che si può sviluppare e incrementare. Ciò potrebbe avere anche una spinta sulla dimensione inerziale del mercato. Nulla vieta di immaginare che mentre il meccanismo si struttura, si arricchisce di informazioni, le persone mettono a fuoco le opportunità e anche gli operatori riescono a fare un passaggio in più in termini di chiarezza dell’offerta, il tasso di migrazione possa aumentare e i tempi ridursi”.
Molti consumatori sembrano ancora impreparati. Il governo è in ritardo e non ha emanato il decreto che deve indicare come realizzare il passaggio alla piena liberalizzazione. Non si rischia di andare a sbattere?
“Il dato di fatto è che partendo da numeri così alti a solo un anno dalla scadenza, non bisogna essere grandi strateghi per immaginare che potremmo trovarci in situazione non ottimale. Per questo pensiamo sia preferibile immaginare che il 2020 – evitando nuovi rinvii – sia un percorso, un ulteriore step al superamento della Tutela, tracciando con coerenza i passaggi successivi. Non c’è una road map già definita. Ma questo è il momento in cui ragionarci e predisporla”.
Quali sono i vantaggi deIla piena liberalizzazione a suo giudizio? Non appaiono ancora del tutto chiari in termini di prezzo e di servizi…
“Il mercato evolve, è una prospettiva che si costruisce giorno per giorno, come è già successo per la telefonia d’altronde. Guardando all’oggi, gli spazi sul mercato libero per trovare offerte anche economicamente convenienti esistono e il 55% di utenti già usciti dalla Tutela dimostra che il mercato riesce ad esprimere elementi di convenienza. Le scelte dei consumatori che passano sul mercato libero risultano finora orientate per l’86-87% dal prezzo, fisso e stabile nel tempo.
Questo percorso si può arricchire su due fronti: da un lato con componenti non solo economiche ma di servizio; dall’altro facendo in modo che la serietà percepita dall’utente vada rafforzandosi. I venditori devono provare a mettere in campo strategie che li affranchino dall’approccio aggressivo al cliente come componente principale della strategia commerciale. L’Autorità sanziona e interviene per mettere i dovuti contenimenti a questi fenomeni quando degenerano ma anche gli operatori possono fare un po’ di “ordine” al loro interno, cercando di limitare quelle pratiche – come quelle affidate a strutture esterne che puntano a massimizzare i contrati finalizzati – e spostando l’attenzione su comportamenti orientati a mantenere e fidelizzare il cliente nel tempo”.
Quali sono invece i problemi che si avrebbero rinviando la liberalizzazione?
“Da un punto di vista strutturale il settore elettrico, in generale, va verso percorsi di sempre maggiore liberalizzazione anche a monte: con la generazione distribuita, con i servizi extra e non di sola fornitura di energia, con le aggregazioni libere e diversificate dei consumatori. Tutto ciò è in contraddizione con il fatto di tenere fermo un meccanismo di tutela basato sull’aggiornamento trimestrale delle tariffe. Oltre a questo, c’è anche un aspetto operativo. I mercati all’ingrosso stanno evolvendo e dimostrano maggiore dinamicità: che non venga sfruttata, trasferendo il vantaggio rapidamente al consumatore finale, sarebbe un paradosso.
Infine, l’assetto del sistema: non ho modo di dimostrarlo ma questo proliferare di venditori, cui stiamo assistendo, probabilmente ha anche una sua ragione nell’incertezza del momento. Non essendoci ancora una definizione chiara del percorso di uscita dalla Tutela, l’impressione è che si consideri l’ingresso sul mercato come una mossa utile per trovarsi al nastro di partenza al momento opportuno. E ciò non favorisce le aggregazioni e processi di razionalizzazione del mercato. Nel caso del gas, per esempio, gli operatori stanno lentamente diminuendo ed ora siamo poco sopra 400: il percorso di convergenza c’è stato e cercheremo di intensificarlo ulteriormente”.
L’Italia soffre di un’insufficienza nelle infrastrutture e di un forte divario nella qualità dei servizi sul territorio, il presidente Mattarella e lei stesso nella sua relazione annuale avete richiamato l’attenzione su questo punto. Come si può affrontare questo gap?
“Certamente la qualità del servizio passa in buona parte dalle disponibilità infrastrutturali.
Nel settore elettrico, ad esempio, il tema è legato al settore della distribuzione. Nel 2017-18 abbiamo osservato un peggioramento delle interruzioni, un piccolo segnale, niente di allarmante, ma è meglio affrontarlo subito. Come? Con il meccanismo basato su premi/penalità si può lavorare perché ci sia maggiore attenzione da parte dei distributori per ridurre le interruzioni o accelerare i programmi di miglioramento già avviati.
Nel settore idrico, il rinnovo delle tubature, è un indicatore importante: assistiamo a un progressivo aumento degli investimenti coperti dalla tariffa con un tasso di realizzazione degli interventi passato dal 50 all’80 per cento. La spesa per investimenti idrici ammonta a 3,5 miliardi nel 2018 e 3,4 miliardi nel 2019 con un + 14% dell’ammontare coperto da tariffa rispetto a quello inizialmente programmata. Continueremo a monitorare l’implementazione dei piani di investimento.
Questi interventi però riguardano zone in cui la regolazione funziona: c’è l’operatore, ci sono gli enti di governo di ambito (Ato), ci sono i meccanismi di governance che hanno permesso di allineare l’attività del gestore con i desiderata della regolazione. Purtroppo ci sono aree del Paese in cui, soprattutto al Sud, questo modello non è ancora implementato correttamente. Serve da un lato che la regolazione predisposta da Arera, sia applicata appieno, e dall’altro la possibilità di intervenire con fondi pubblici a fondo perduto”.
Un doppio binario, in pratica. Come vi muovete in queste situazioni?
“Da un anno abbiamo intensificato l’attenzione anche su questi meccanismi di investimento pubblico cercando di creare un accordo virtuoso con gli enti interessati. Va bene l’investimento pubblico fuori tariffa ma cerchiamo di coinvolgere le realtà locali verso un percorso di progressivo raggiungimento degli obiettivi di regolazione Arera”.
Insomma, l’Autorità segue una linea di mediazione. La vostra visione sulla regolamentazione per l’acqua sembra andare in direzione diversa da quella che il Parlamento sembra avere imboccato con la riforma voluta dal M5S (meno dalla Lega) che vuole riportare le competenze al ministero Ambiente e tornare ad una “nazionalizzazione” dell’acqua. Come si possono conciliare?
“Il parlamento è sovrano e la legge che dovesse approvare sovrascriverà la regolazione dell’Autorità, ovviamente. La nostra indicazione, nell’attesa che Camera e Senato compiano i propri passi, è che negli ultimi 6-7 anni il settore ha fatto importanti passi avanti, recuperato gli investimenti, gli operatori si vanno aggregando. Già in audizione alla commissione Ambiente abbiamo fatto rilevare che il settore più che di una rivoluzione può beneficiare di una buona manutenzione. Un’ampia platea di operatori e stakeholders in audizione ha confermato che l’attuale meccanismo regolatorio ha portato stabilità. Nelle aree su cui è necessario ancora intervenire si può puntare ad un approccio flessibile e anche asimmetrico ma all’interno di un percorso chiaro e definito anche per il gestore pubblico là dove è presente”.
In tema di infrastrutture l’altra “gamba” è quella dei rifiuti, con i disastri che abbiamo sotto gli occhi a Roma.
“Nel settore dei rifiuti l’esperienza dell’Arera è agli albori, essendo arrivate le nuove competenze lo scorso anno. Ci troviamo di fronte a due aspetti: da un lato la governance che è molto variegata e lo verifichiamo anche adesso nella discussione in atto tra la Regione Lazio e il Comune di Roma dove si fronteggia una crisi pesante. L’Autorità è disponibile a dare il suo contributo per costruire in modo più chiaro i modelli di governance da adottare.
L’altro aspetto è la situazione degli impianti, e qui torniamo al tema infrastrutturale: C’è bisogno di completare il processo del riciclo. Gli stessi operatori hanno segnalato che la stabilità della regolamentazione sul ritorno degli investimenti è un fattore importante. Ma tutti hanno sottolineato che il problema maggiore da affrontare è quello del livello di accettazione degli impianti da realizzare da parte dei residenti. Per questo pensiamo di inserire nella tariffa anche le spese da affrontare per le campagne di informazione alla cittadinanza, per migliorare la trasparenza e favorire l’accettabilità. Non sono sicuro che l’Autorità possa farcela da sola, ma ce la metteremo tutta”.
Indubbiamente è difficile sostenere la necessità di realizzare gli investimenti per superare le emergenze, migliorare la qualità del servizio, favorire gli accorpamenti tra gestori e creale dimensioni necessarie per favorire l’efficienza della spesa, quando i governi locali soffiano contro e lo stesso governo centrale è spaccato su questi temi. La via dei raffronti sui costi e sulle prestazioni può incentivare un meccanismo virtuoso?
“La regolazione sunshine, soprattutto quando non c’è concorrenza di mercato ma per il mercato, aiuta a rendere visibili gli elementi di comparabilità tra territori, anche tenendo conto delle complessità che esistono: è evidente che non si possa paragonare la raccolta rifiuti in un paesino di montagna con quella di un grande agglomerato urbano. Ma si tratta di tecnicalità che si risolvono. L’importante è mettere in moto un meccanismo virtuoso. Inizieremo dal settore idrico, per quello dei rifiuti siamo ancora all’inizio e mi sembra prematuro parlare ora di comparabilità, ma ci arriveremo. Intanto pochi giorni fa abbiamo impresso una prima accelerazione per avere entro fine anno il primo metodo tariffario e fissando i tempi per consentire ad Enti Locali e gestori dei servizi ambientali di includere il metodo nei piani finanziari della prossima TARI, con effetto da gennaio 2020″.
Risposte di Besseghini quantomeno azzardate.
Besseghini: “la regolamentazione fin qui attuata dall’Autorità ha portato, negli ultimi 7 anni, una crescita degli investimenti (riconosciuti nella tariffa e vigilati) da 1 miliardo al triplo”.
Osservazione: la crescita degli investimenti nel settore elettrico è fortemente pagata dagli utenti, soprattutto i più deboli.
Un single, un pensionato con basso reddito in austerity energetica (1200 kWh/anno) ha oggi un costo medio dell’elettricità di 0,241 €/kWh (2º trimestre 2019 Tutela). Dieci anni fa (2º trimestre 2009 Tutela) pagava 0,156 €/kWh. Un aumento del 54% in dieci anni. Tutto caricato sulle voci “trasporto e gestione”, “oneri di sistema”, “imposte e IVA”. Il costo della sola energia invece è calato, ma l’esito sul portafogli è stato opposto.
I costi fissi (accisa e IVA compresi) per un residente sono oggi 145 €/anno: il 50% del totale della bolletta per il pensionato da 1200 kWh/anno. Nel 2009 erano 33 €/anno. Aumento del 430% in valore assoluto.
La responsabilità di tutto ciò è anche di ARERA.
Per paragone: cosa diremmo se cominciassero a chiederci costi fissi alla pompa di benzina? “Ho fatto 15 euro”. Risposta: “Bene sono 20, 15 + 5 di costo fisso”. “Perché?”. “Beh, sa… costo del personale, rinnovo delle pompe, usura dei servizi, manutenzione, …”.
Come mai ciò lo troveremmo innammissibile, mentre per l’elettricità stiamo zitti?
Besseghini: “..contesto in cui il mercato libero esiste e i consumatori possono decidere liberamente… Il Portale offerte, il Portale consumi, le offerte placet,… sono strumenti che offrono una rete di tutela”
Errato.
Il Portale offerte non permette di verificare i totali del prezzo annuo esposti per le singole offerte. Perché sul Portale non è indicato quale prezzo energia viene utilizzato. E non è indicato su quali delle voci che assommano al totale si applicano o no “le perdite di rete”. L’utente pare volutamente lasciato all’oscuro dei meccanismi che concorrono alla formazione del prezzo finale. Non mi si dica che il documento “Regole di calcolo della spesa annua stimata” (di 55 pagine) è comprensibile.
Questa è chiarezza? Questo è strumento è tutela del consumatore?
Per paragone: chi accetterebbe un preventivo di un artigiano o di un professionista se privo dei prezzi unitari?
Il Portale offerte non controlla la veridicità delle singole offerte, che sono inserite dagli stessi operatori, unici responsabili (leggere la pagina “informazioni legali” del Portale, al colophon della home page).
La spesa elettrica annua stimata è in realtà “trina”. Fissata un’offerta elettrica e un profilo di consumo di un utente si ha:
Un importo “spesa annua stimata” sul Portale.
Un importo sulla “scheda di confrontabilità” obbligatoria, diverso da quello del Portale anche aggiungendovi i “pezzi” che mancano, ossia imposte e IVA.
Un importo delle condizioni tecnico-economiche in sede di contratto.
Questi tre importi spesso non collimano. Occorre istituire un meccanismo di controllo e uniformazione tra loro. Invece il Portale non ha neanche un form di feedback con cui un utente possa segnalare anomalie e incongruenze.
Parafrasando al contrario: “I consumatori possono decidere liberamente… ma a tutt’oggi decidono di non decidere. E fanno bene, vista la confusione che regna.”
Passiamo al Portale consumi. A che serve all’utente questo ulteriore portale se sulle bollette c’è già il totale consumi annuale? Che è l’unico dato che concorre alle stime dei costi. Non certo le letture quartorarie del Portale consumi.
Besseghini: “Non c’è una road map già definita.”
Detto in modo semplice: il Governo ha deciso da tempo che la tutela deve finire nel 2020. Non ha deciso il trattamento da riservare ai più vulnerabili. Ad esempio gli anziani che non sanno che fare e che (se non già accalappiati da venditori senza scrupoli) rimarranno in tutela sino all’ultimo.
Occorreranno misure coercitive? C’è da sentirsi come i passeggeri della Sea Watch. Ma qua non c’è un comandante coraggioso.
Besseghini: “Il mercato evolve,… si costruisce giorno per giorno, come è già successo per la telefonia”. E ancora: “Gli spazi sul mercato libero per trovare offerte anche economicamente convenienti esistono”.
Osservazione: Elettricità e telefonia non sono parenti. La telefonia mobile ha richiesto forti investimenti iniziali e ha ora costi di esercizio marginali e stabili, da cui il crollo dei prezzi. Il mercato elettrico è fortemente volubile, soggetto a capricci meteorologici e geopolitici. Tant’è che alcuni operatori falliscono. La rete elettrica è unica (al contrario della telefonia dove ognuno ha le sue linee e i suoi ripetitori). La rete elettrica deve fornire ogni istante la potenza che è assorbita nello stesso istante dalla somma di tutti gli utenti. Né più né meno. Il che vuol dire “accendere e spegnere” centrali a ritmo serrato. O fermare parte dell’eolico se a un dato momento c’è sovraproduzione. Il margine di manovra degli operatori è ridotto. Così come è ridotta la convenienza del mercato libero rispetto alla tutela, che non si è mai posta l’obiettivo di generare utili di gestione.
Non aspettiamoci per l’elettricità i miracoli della telefonia a basso prezzo, perché non ci saranno.