X

Berta: “Fca-Renault, le nozze sono una buona scelta ma occhio alla governance”

Giuseppe Berta

Una svolta positiva in una situazione che continua a presentare molte incertezze. Giuseppe Berta, alla vigilia del consiglio di Renault che martedì dovrebbe accogliere, salvo contestazioni sul prezzo, l’offerta di alleanza in arrivo da Fiat Chrysler, promuove così la fusione tra eguali concordata dai vertici delle due case che entra nella sua fase decisiva.

John Elkann annuncia per settimana prossima un prossimo viaggio in Giappone per spiegare l’operazione ai vertici di Nissan e Mitsubishi e nel frattempo, già risponde picche a chi, in Francia, chiede un adeguamento di prezzo per Renault, ai minimi da 5 anni: è così, si manda a dire da Torino, perché l’alleanza Parigi-Tokyo oggi non funziona. Ma, a giudicare dalle prime reazioni, Nissan sembra più che disponibile a riaprire il dialogo dopo l’arrivo di Fca. Insomma, dopo il “miracolo” di Sergio Marchionne a Detroit, Fiat Chrysler può mettere a segno una seconda fusione positiva, un fenomeno raro nel mondo dell’auto dove i matrimoni ben riusciti sono pochi. Le premesse, insomma, sono positive. Ma, ammonisce Berta, lo storico dell’economia che alle spalle vanta la guida dell’archivio storico Fiat, la strada per assicurare un futuro all’altezza della sua storia all’industria italiana a quattro ruote, è ancora in salita. 

Professor Berta, come giudica le nozze di Fca con Renault? Ci sono più luci che ombre oppure, dietro i numeri della nuova società, cioè 8,7 milioni di vetture vendute nel 2018, non è tutto oro quel che luccica? 

“E’ senz’altro un’ottima operazione per Exor, seppur dettata dalle debolezze dei due gruppi. E’ una mossa difensiva, necessaria per resistere in una situazione sempre più complicata. Ma questa non vuol essere una critica: la necessità può essere un buon collante”. 

Esistevano alternative? 

“Nonostante le dichiarazioni in senso contrario, non c’erano i margini per un futuro stand alone del gruppo. La congiuntura difficile del mercato in vista dell’arrivo della recessione, probabilmente accelerata dallo scontro sui dazi, ha consigliato di anticipare i tempi delle scelte. L’alternativa, perciò, correva tra la scelta di un’alleanza o una vendita secca. Exor ha deciso per la fusione”. 

Ma chi poteva essere interessata a Fca? 

“I coreani. Fino ad un paio d’anni fa si poteva pensare ai cinesi. Ma, di questi tempi, non è nemmeno immaginabile che Trump permetta alla Cina di metter le mani su Jeep che lui considera un bene di interesse nazionale. Probabilmente c’è stato un contatto con Hunday, ma alla fine è spuntata Renault, alle prese con una situazione estremamente delicata con il socio giapponese dopo le disgrazie di Ghosn”. 

C’è uno strano destino che accomuna Fca e Renault. Un anno fa i due gruppi erano guidati dai due personaggi più carismatici del mondo dell’auto, cioè Sergio Marchionne e Carlos Ghosn. 

“Una cosa è certa: Marchionne non avrebbe mai condiviso una fusione con Ghosn. Una volta, parlando con Marchionne, ho avuto modo di chiedergli un’opinione sul rivale. “Chi – mi rispose – il Re Sole? A stargli vicino rischi di scottarti”. Oggi FCA e Renault si assomigliano nel ritrovarsi orfane di due manager dalla fortissima personalità e dalla fortissima capacità di direzione”. 

Non sia ingeneroso con Manley e con Senard, i due successori. 

“Sono personaggi che hanno una storia ben diversa, non so quanto adeguata ad una missione così complessa. Non escluderei novità in futuro, in questo senso. Senard ha già 66 anni ed ha alle spalle una vita nei ranghi di Michelin. Non credo abbia le qualità o nemmeno la voglia di sfoderare la grinta del leader: più che altro è un uomo d’ordine capace di affrontare con profitto le missioni che gli vengono affidate. 

Mike Manley, peraltro, ha venduto azioni Fca per 3,5 milioni di dollari a ridosso dell’affare. Marchionne l’avrebbe ammazzato. 

“Manley ha dimostrato di essere un manager di grande valore sia alla guida di Jeep che di Ram, in grado di vanificare il tentativo di riscossa nei pick up avviata da Gm. Ma è un manager. Non so se possiede le qualità del leader a tutto campo. Non a caso Elkann ha voluto affiancargli il direttore finanziario Richard Palmer”. 

Insomma, Fca-Renault nasce con volumi eccellenti, per giunta ben distribuiti su scala globale, soprattutto se proseguirà l’asse con Nissan e Mitsubishi. Però, professore, lei non crede che sia il momento di cantar vittoria: perchè?

“Ripeto: l’operazione è positiva. Ma non commettiamo l’errore di trascurare il contesto, estremamente competitivo, in cui è maturata. Mi concedo un’osservazione personale. Sono reduce da un soggiorno a Detroit, città in piena ripresa. Tra le altre cose, davanti alla sede di Gm c’è il prototipo dell’auto a guida autonoma che verrà lanciato tra pochi mesi. E per finanziare l’operazione Mary Barra non ha esitato a vender la sede. Insomma, frenano le vendite di auto ma accelera lo sforzo dei produttori. La concorrenza promette di essere spietata, anche perché la crisi della globalizzazione ha riportato in primo piano la politica”. 

La politique d’abord, dunque. 

“Trump segue da vicino le vicende dell’auto americana fin dal giorno dell’elezione alla Casa Bianca. E’ scontato che le decisioni di Nissan nei confronti di Renault debbano tener conto del Miti, l’onnipotente ministero dell’economia di Tokyo. L’arresto di Ghosn nel novembre scorso non sarebbe stato possibile senza l’aiuto prestato dal vertice giapponese della Nissan alle autorità giudiziarie, che hanno accusato il manager cosmopolita di un uso improprio e personale delle risorse aziendali. A determinare l’imprigionamento di Ghosn è stata la rivolta del sistema giapponese contro un meccanismo di governance che valorizzava l’egemonia francese, a scapito della performance di Nissan e Mitsubishi”.

E quali sarà il ruolo che potrà giocare Fiat-Chrysler? 

“Sarà necessaria, innanzitutto una grande attenzione alla governance. Per il resto ci sono premesse positive. Fca porta in dote all’alleanza la sua forza nel Nord e anche nel Sud America, laddove Renault ha dalla sua le radici nel mercato europeo e, oggi, il presidio delle piattaforme elettriche, di cui Fca ha bisogno. John Elkann, il 13 maggio scorso, ha annunciato l’avvio della produzione della 500 elettrica in Italia, un progetto che rimarrà probabilmente in piedi, specie se potrà giovarsi delle competenze della Renault nelle piattaforme elettriche e magari su quelle di Nissan. Ma per il nostro Paese la situazione è complicata”. 

In che senso? 

“Alfa Romeo e Maserati richiedono investimenti consistenti allo scopo di arricchire la loro gamma d’offerta, che deve essere ampliata e rinnovata. Mi domando: il nuovo gruppo è il soggetto che può mobilitare le risorse indispensabili a questo scopo? L’Alfa può oggi contare in pratica solo su due punti di forza, Stelvio e Giulia, che non sono certo nuovissimi. Maserati conta solo su Levante ma ha bisogno di un forte investimento nella gamma e nelle tecnologie, a partire dall’ibrido plug-in”. 

Italia come Cenerentola del sistema? 

“Si parla sempre di cinque miliardi di investimenti, ma mentre a Detroit e in Brasile i soldi arrivano, qui vengono sempre evocati ma per ora non si vedono. Melfi, per ora, può contare sulla produzione destinata agli Usa, su cui pende la scure dei possibili dazi di Trump. Nel frattempo, la produzione italiana, in termini di volumi, si è ormai ridotta a valori modesti. La Seat, l’azienda del gruppo Volkswagen guidata da Luca De Meo, produce in un solo stabilimento presso Barcellona, quasi quanto in tutto gli impianti italiani di Fca. Il nostro paese ha oggi una produzione d’automobili ridotta, che per essere potenziata richiede azioni incisive. Il sistema avrebbe bisogno di iniziativa nella direzione della politica industriale del nostro Paese. Ma, purtroppo, questo discorso non riguarda solo Fca, che ha comunque trovato uno sbocco ai suoi problemi”.

Related Post
Categories: Interviste