L’azionario statunitense ha chiuso in calo per il quinto giorno consecutivo, è il ciclo negativo più lungo da quasi un anno per lo Standard&Poor’s 500. Una seduta partita bene è terminata con il segno meno in seguito ad un discorso ad una conferenza bancaria ad Atlanta del presidente Fed, Ben Bernanke, che non ha fatto alcun cenno ad un nuovo pacchetto di stimoli per l’economia Usa, pur riconoscendo che la ripresa è piuttosto accidentata. Le parole di Bernanke hanno fatto invertire la tendenza dei listini, che hanno chiuso tutti in leggero calo cancellando il robusto rimbalzo di metà seduta. L’idea che non ci sia in autunno una nuova manovra di alleggerimento (il cosiddetto Quantitative Easing 3), a fronte di un ciclo debole, preoccupa il mercato.
In Europa i listini si sono mostrati più tonici, ma le preoccupazioni non mancano, non fanno riferimento al QE3 bensì ai timori per un possibile default di Atene. Preoccupazioni condivise dallo stesso Presidente Barack Obama che dopo un incontro a Washington con il cancelliere tedesco Angela Merkel ha rivolto un appello ai paesi europei per impedire un “disastroso” default greco e ha assicurato il sostegno statunitense per contribuire a risolvere la crisi debitoria di Atene. Obama ha riconosciuto l’importanza della leadership tedesca nella gestione del problema e ha sottolineato che una crisi dell’eurozona potrebbe tramutarsi in un “vento contrario” in grado di danneggiare l’economia Usa. E’ fiducioso che la Grecia tornerà a crescere, anche se serviranno tempo e pazienza per uscire dalle attuali secche. Il quadro generale continua insomma a preoccupare e i listini asiatici ne risentono, tutti in flessione a metà seduta, anche se con perdite di qualche decimale. Si salva solo lo yen, al suo massimo da un mese contro il dollaro, che viene visto come una moneta rifugio visti i mal di pancia sulle due rive dell’Atlantico. Il clima in questo momento non consente molto di più.
La necessità di un sostanzioso nuovo pacchetto di aiuti ad Atene da parte della zona euro viene ammessa oggi dal ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble in un articolo sul quotidiano Die Welt. A suo parere è reale il rischio del primo default di un paese all’interno della zona euro. Schaeuble sostiene la necessità di un nuovo pacchetto di salvataggio con una “sostanziale” espansione dell’aiuto europeo e il coinvolgimento dei creditori privati e lo scrive in una lettera inviata anche al presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet.
Secondo l’agenzia Bloomberg, l’eventuale default aumenterebbe il rischio contagio, amplificando la crisi dell’Eurozona, e in ogni caso non sarebbe sostenibile dalle banche europee. Stando alle stime della Banca dei regolamenti internazionali (Bri), l’esposizione complessiva degli istituti europei ammonta a poco più di 136 miliardi, quattro dei quali detenuti da banche italiane, e questo carico non sarebbe sostenibile da un settore in condizioni di salute precarie. Il grosso del pacchetto è in mano a Francia e a Germania. Secondo Goldman Sachs sono sei le banche europee maggiormente coinvolte: Bnp Paribas, la belga Dexia, e Commerzbank, Societé Geenerale, l’olandese Ing, e Deutsche Bank.
Riunione Opec oggi a Vienna, probabile aumento offerta greggio
L’Opec tornano a riunirsi oggi in un clima di forte incertezza. A Vienna si dovrebbe discutere di un aumento dell’offerta. Gli analisti concordano nel diagnosticare un incremento, almeno di un milione di barili. Resterebbe il nodo della partecipazione dei singoli Paesi alla crescita visto che la produzione di tutti i Paesi membri, fatta eccezione per la Libia, è maggiore della rispettiva quota e solo Arabia Saudita, Kuwait e Emirati Arabi sono in grado di incrementare la produzione. Contrario invece il rappresentante iraniano Muhammad Ali Khatibi, secondo il quale il mercato è in equilibrio, e l’Iran è l’attuale presidente di turno dell’Opec. Diversi produttori sono preoccupati dalla possibilità che i rincari abbiano contribuito a innescare un rallentamento della ripresa globale. E una frenata della crescita finirebbe per compromettere la domanda di petrolio. Proprio la situazione in Libia ha ampiamente contribuito alla crescita del prezzo: la produzione del paese è scesa a 200 mila barili rispetto a 1,4 milioni che esportava, creando quel deficit di offerta che ha permesso ai prezzi di salire oltre i 100 dollari.
C’è poi il rischio che faccia irruzione al vertice il conflitto libico. L’esponente di Tripoli nel cartello, Shokri Ghanem, ha abbandonato il paese. Il nuovo rappresentante della Libia potrebbe ritrovarsi accanto un delegato dei ribelli. Già il mese scorso infatti, l’amministrazione provvisoria aveva fatto sapere di voler inviare una delegazione al vertice Opec, e diversi paesi del Golfo si sono detti pronti a collaborare con i ribelli per consentire loro di commercializzare greggio. I delegati dell’Opec rischiano di trovarsi di fronte tutte le tensioni del paese nord africano.
Banche, aumenti di capitale sempre più difficili?
Continua a piovere sull’aumento di capitale di Ubi Banca, ieri al secondo giorno. Dopo il ribasso del 3,97% di lunedì, il titolo ha registrato un ulteriore pesante caduta di oltre il 3%. A picco i diritti che hanno perso il 19,33%, restando sostanzialmente allineati al valore dell’azione. Si conferma che di questi tempi gli aumenti di capitale hanno spesso un esordio difficile. Chi non intende sottoscrivere tende a cedere i diritti nei primi giorni quando il prezzo delle opzioni è ancora quasi certo e i prezzi dei titoli si allineano. Il copione nelle ultime settimane è stato seguito con una certa regolarità. Ma non sarebbe questo l’unico motivo a rendere problematica la strada delle ricapitalizzazioni. Contribuirebbe anche la progressiva erosione delle quote di risparmio in capo alle famiglie italiane. Fare ricorso al mercato non sarà così facile come in passato, per cui la leva dell’aumento va manovrata con estrema attenzione. Questa almeno l’opinione di un banchiere, il presidente di Carige, Giovanni Bedeschi. Le banche in procinto di chiedere al mercato nuova liquidità sono avvertite.