La Quadriennale d’arte di Roma è stata da poco inaugurata e Franco Bernabè, manager di lungo corso che ne è diventato presidente nell’aprile del 2015, già guarda al futuro. “Quattro anni sono un tempo troppo lungo: l’obiettivo è di darle un ruolo importante per promuovere l’arte italiana contemporanea nel mondo”. Non solo un’esposizione quadriennale, dunque, ma un’istituzione attiva in modo permanente. Ce n’è bisogno, come spiega lui stesso in questa intervista a FIRSTonline, perché le altre capitali dell’arte, come Londra, Parigi, New York e Berlino sono una rampa di lancio per i giovani artisti e un luogo di riferimento per il mercato internazionale delle mostre e dei grandi collezionisti. Ma Roma, malgrado le vicissitudini politiche comunali, ha molte carte da giocare e un bacino di potenziali visitatori in costante e, per certi versi, sorprendente crescita. Si pensa dunque a creare un circuito di proposte che avrà la Quadriennale e il Palazzo delle Esposizioni come perno ma che potrà muoversi in sinergia con altri grandi musei pubblici come il Maxxi e la Galleria d’Arte Moderna, fresca di nuovo allestimento. E poi potranno arrivare apporti anche dalle gallerie private, come Gagosian per fare un’esempio.
Vietato quindi piangersi addosso. Si riparte dal “Q16” che non è una formula chimica e nemmeno un nuovo quoziente intellettivo ma la sintesi della Quadriennale sedicesima edizione, inaugurata il 13 ottobre per restare aperta fino all’8 gennaio 2017. Dopo otto anni di stallo, il 2016 è l’anno del rilancio, i cui numeri in sintesi sono questi: 11 curatori, 99 artisti, 150 opere, 2.000 metri quadrati di esposizione articolati in dieci sezioni. Le opere sono tutte successive al Duemila, molte sono state realizzate per l’occasione. Opere da osservare, da ascoltare, da proiettare e molti “eventi” e incontri per animare e comporre il mosaico dell’arte contemporanea italiana.
Dottor Bernabè, nella sua lunga carriera di manager, lei ha avuto modo di conoscere il mondo dell’arte in qualità di presidente della Biennale di Venezia dal 2001 al 2003 e di presidente di Palaexpo nel 2014. Cos’è la Quadriennale di Roma e qual è il panorama dell’arte contemporanea in Italia? Ci sono rischi di sovrapposizione con le altre grandi manifestazioni in giro per il Bel Paese?
“Non ci sono rischi di sovrapposizione alcuna. La Biennale di Venezia ha una vocazione internazionale, la Triennale di Milano – che pure è rimasta ferma per lungo tempo – è dedicata al design. La Quadriennale di Roma è nata nel 1927 per favorire la selezione degli artisti italiani e promuoverne l’attività. Al di là della retorica del Ventennio, ha conservato una motivazione di fondo ed è stata ripresa nel Dopoguerra. Il 2016 è stato un anno in cui abbiamo visto una vera esplosione di iniziative nel campo delle arti visive con la Biennale, la Triennale e la Quadriennale aperta poco più d’una settimana fa. Nell’ambito di questo rilancio delle iniziative in campo culturale, fortemente voluto dal ministro Dario Franceschini, è stato chiesto a me di rivitalizzare la Quadriennale per l’appunto. E’ un incarico che ho preso con molto impegno e interesse: il ministero ci ha rifinanziato con un milione di euro ma io ho recuperato un ulteriore milione di euro da partner privati. Senza il loro contributo la mostra non si sarebbe potuta fare”.
Eni, Terna, Bmw, Bper, Grandi Stazioni retail, Axa, Illy, Fondazione Allagammo, Hotel de Russie, Ferrovie dello Stato: prendo i nomi degli sponsor dal comunicato ufficiale. Cosa li lega all’arte?
“La Quadriennale è un’operazione sofisticata, con un pubblico qualificato, giovane e la partecipazione di opinion leaders. Tutto questo interessa chi ci ha sostenuto. E poi non abbiamo seguito la via di una sponsorizzazione generica ma quella di creare un progetto per ogni partner. E così Eni ha portato avanti un’iniziativa fortemente collegata con le scuole e rivolta a ragazzi da 16 a 25 anni, appoggiata da una campagna pubblicitaria e ha puntato sulla visibilità da parte del pubblico più giovane. BMW Italia è presente con l’Art Car creata da Sandro Chia. Axa ha avviato un percorso partito da Art Basel 2016 e terrà il suo Forum annuale tra pochi giorni al Palazzo delle Esposizioni. La ragione è che la Quadriennale proietta l’Italia nel futuro e il futuro interessa tutti”.
Eppure Roma non ha esattamente l’immagine di una città proiettata in avanti, anche dal punto di vista artistico-turistico si è parlato di sorpasso da parte di Milano…
“C’è stata ultimamente molta attenzione su Milano ma, al contrario, è soprattutto Roma che sta vivendo un forte rilancio sul piano dell’arte. La capitale è passata in dieci anni dai 9 milioni e mezzo del 2005 agli oltre 18 milioni di visitatori di oggi nei musei e siti archeologici statali. Un balzo impressionante. Inoltre, faccio osservare che Roma fa da sola tre volte il numero di visitatori di tutte le città d’arte italiane messe insieme. Checché se ne dica e nonostante la tendenza italiana di piangersi addosso è un grande successo. Inoltre, se prima a Roma venivano soprattutto per l’arte e i monumenti antichi, la Quadriennale ha contribuito a rivitalizzare l’attrattiva della città nell’arte contemporanea attirando non solo visitatori italiani ma anche stranieri, esperti e collezionisti di livello internazionale”.
Ma ha senso, in un mondo sempre più aperto e globalizzato, una rassegna dedicata solo agli artisti italiani?
“Assolutamente sì. Non solo perché l’attività artistica contemporanea si concentra in città come Londra, Parigi, Berlino e New York; ma anche perché lì mostre, collezionisti e mercato si incrociano in modo molto più dinamico. I nostri artisti, se vogliono avere un palcoscenico, devono andare fuori. La nostra missione è proprio quella di promuovere l’arte italiana e dare visibilità soprattutto ai più giovani, attirando qui gli investitori. Lo abbiamo visto la sera dell’opening: hanno partecipato 3.500 persone, con una grande quantità di esperti e collezionisti di livello internazionale. Ne siamo contenti e siamo i primi a stupirsi dell’affluenza di questi primi giorni”.
E’ troppo presto per dare qualche numero sui visitatori?
“Decisamente. In linea generale posso dire che noi non puntiamo sui grandi numeri delle esposizioni popolari ma su un pubblico molto selezionato, con una forte componente di opinion leaders. Tutti i curatori della mostra hanno fra i 30 e i 40 anni, hanno scelto artisti della stessa fascia dì età con opere realizzate dal Duemila in poi. E per questa ragione sono tutti proiettati nel futuro”.
Qual è il filo conduttore delle opere?
“Le dirò: mi aspettavo ci fosse nei giovani artisti un atteggiamento di ribellione e progetti orientati in chiave di contestazione. Tutto il contrario. Qui c’è una incredibile esplosione di vitalità e creatività, orientata in positivo. Lo stesso titolo della mostra –“Altri tempi, altri miti”, preso dallo scrittore Pier Vittorio Tondelli – è il simbolo di un Italia diffusa, con artisti che arrivano da tutte le aree del Paese e che esprimono una realtà in positivo. C’è veramente il senso di quello che l’Italia può fare nel futuro”.