La domanda è questa: come mai in questi giorni una persona pacata e istintivamente moderata come il presidente del Consiglio Enrico Letta, si è mostrato quanto mai intransigente nell’affermare ad Angelino Alfano, e in ogni dichiarazione pubblica, che la questione dell’agibilità politica di Silvio Berlusconi dopo la nota sentenza della Cassazione, non è questione che riguarda il Governo e che lui non può chiedere nè al Pd nè ad altri di votare nella Giunta per le elezioni del Senato contro la decadenza dell’ex premier da senatore, perchè così si neutralizzarebbe una condanna definitiva?
Rilevato che questa impostazione intransigente è stata condivisa in privato e in pubblico dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha a cuore anche più di Letta la tenuta del Governo e del quadro politico, le risposte (perchè sono 2) paiono abbastanza semplici.
La prima è che il rispetto della Costituzione vuole che le sentenze definitive (anche quelle più discutibili e non è certo il caso della sentenza Mediaset) si possono anche criticare, ma prima di tutto si rispettano. Soprattutto da parte di altre istituzioni dello Stato: Senato e presidenza della Repubblica in testa. Premesso questo c’è una seconda risposta più politica. E riguarda le minacce di Berlusconi e consorteria di far cadere il Governo ritirando i ministri e la propria adesione alla maggioranza e, magari, facendo dimettere tutti i parlamentari del Pdl. Nonostante i toni durissimi, in alcuni casi al limite della contumelia, usati dai vari Brunetta, Santanchè, Bondi, e, persino dallo stesso Berlusconi in un’intervista ad un giornale vicino a “Comunione e liberazione” è probabile che la considerazione di Letta, magari condivisa anche dal Quirinale, è che quello del Cavaliere e dei suoi accoliti sia un bluff, o quanto meno un gioco al rialzo, destinato ad infrangersi alla fine contro la cruda realtà dei fatti.
Cruda realtà che si può riassumere così. Per Berlusconi far cadere il governo Letta vorrebbe dire perdere quel poco di peso politico, che ha ancora, nelle vicende che riguardano il Paese e le istituzioni, e presentarsi senza alcuno scudo alle incombenti e imminenti nuove personali vicende processuali: determinazione dei tempi di interdizione dai pubblici uffici (incandidabilità compresa), i processi Ruby, la compravendita dei parlamentari, le escort di Bari e quant’altro. Ma, si potrebbe obiettare, resterebbe la chance elettorale. Con le dimissioni dei parlamentari si determinerebbero comunque le condizioni per lo scioglimento delle Camere e le nuove elezioni. Percorso davvero accidentato, anche al netto delle vicende giudiziarie di Berlusconi. La legge elettorale non è stata ancora cambiata e Napolitano è ben deciso a non sciogliere le Camere finchè resterà in vita il Porcellum, con buona pace di Grillo, al quale ora quel sistema tanto vituperato va a fagiolo. Insomma si aprirebbe uno scenario nel quale le dimissioni di Napolitano, messe in bilancio all’accettazione della rielezione, potrebbero diventare realtà. A quel punto il primo passaggio parlamentare sarebbe l’elezione del nuovo capo dello Stato. E qui (è noto) i numeri non vanno certo incontro alle esigenze del Cavaliere. I favoriti potrebbero essere personaggi ancora più sgraditi alla destra. Per esempio Rodotà, o, nel migliore dei casi, Prodi.
Certo se si dimettessero tutti i parlamentari della destra…Ma questo è davvero uno scenario credibile? I miracolati eletti nell’inverno scorso abbandonerebbero davvero tutti i propri scanni a Camera e Senato? O qualcuno di loro, incerto sulla possibilità di essere prima ricandidato e poi rieletto, preferirebbe puntare sul certo per l’incerto, cercando magari una diversa collocazione politica? Si vedrà. Ma quel che è certo è che, nonostante lo strepitare di Santanchè e dintorni, la pistola messa sul tavolo dai berlusconiani puri e duri, rischia, al momento dell’uso, di rivelarsi scarica. E di questo probabilmente Letta, e non solo lui, ha piena contezza.
Peraltro nei suoi viaggi e impegni internazionali il presidente del Consiglio ha potuto verificare come nelle cancellerie europee, l’uscita di scena di Berlusconi non è assolutamente vista con sfavore. Anzi all’estero, anche da parte dei mercati e dagli operatori finanziari, la sua presenza è considerata spesso fattore di instabilità. Singificativo quanto detto in conferenza stampa, proprio dopo l’incontro con Letta a Vienna, dal Cancelliere austriaco Werner Faymann: “Berlusconi l’ho conosciuto bene e proprio non riesco a vederlo come un garante della stabilità”.
Naturalmente la rabbia di Berlusconi è evidente ed è alimentata dal fatto che si è accorto di essere sempre più con le spalle al muro. La tentazione di un “muoia Sansone con tutti i filistei” è evidente e riaffiora in continuazione. Ma Il Cavaliere è comunque persona se non sempre assennata, almeno molto attenta al proprio, e così sa che se dovesse decidere di tirar giù le colonne del tempio, sotto le macerie potrebbero finire anche le sue prospere aziende.
Una cosiderazione che riguarda il Pd. Molti sono meravigliati che non sia venuta ancora allo scoperto un’ala disposta dare una mano alle pressanti richieste del centro-destra, in nome della stabilità e della tenuta del Governo. Insomma: colombe cercasi. Se queste stentano a volare molto dipende dal percorso processualmente molto accidentato che è che è ancora dinanzi all’ex presidente del Consiglio. Facciamo il caso che anche il Pd si adattasse ad una logica di temporeggiamento per mantenere Berlusconi in Senato nel prossimo voto di Giunta, il problema si riproporrebbe comunque a distanza di settimane più che di mesi, con la determinazione dei tempi della pena accessoria del processo Mediaset. E successivamente con gli sviluppi degli altri processi di Milano, Bari e Napoli.
Naturalmente Berlusconi potrà comunque continuare a fare politica, anche da uno stato di cattività: in consegna ai servizi sociali o agli arresti domiciliari. Certo è prevedibile che la sua attività sarà un po’ più defilata. A meno che non preferisca atteggiarsi a novello Silvio Pellico. Ma le dimore di Arcore, di villa Certosa e persino di palazzo Grazioli ricordano poco le celle dei Piombi e dello Spielberg. Intanto la destra potrà cercare di riorganizzarsi e magari di trovare un successore o comunque di formare un nuovo gruppo dirigente. Potrebbe essere un’occasione. Alla quale credono in poco coloro che dal Pdl continuano a ripetere che è impensabile una destra senza Berlusconi. Può anche essere, ma a questo punto è da chiedersi se non sia proprio questo dell’assoluta dipendenza da Berlusconi, il problema della destra italiana.