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Berenson, il più grande esempio della critica d’arte

In un momento della storia dove sempre più spesso ci si trova a sentire che l’arte è un’opinione, spesso conflittuale tra diversi esperti, mercanti, critici, curatori che esprimono giudizi che ci portano ad un autore piuttosto che ad un altro, per poi essere smentiti da un’altra opinione, quella forse più meritevole; meglio se offerta della persona che conosce la storia dell’arte nei suoi minimi particolari, colui che ha trascorso la vita – e continua – nel cercare di vivere dentro alla vita dell’opera e del suo autore. In tutto questo moto perpetuo, ecco che possono emergere i dubbi e le incertezze che possono minare il mercato dell’arte, già così difficile da tutelare anche dal punto legislativo.

Nella storia ci sono state diverse persone degne di essere ricordate e ne ricordiamo uno – Bernard Berenson – colui che non accettò di riconoscere la “mano” del Giorgione in un dipinto proposto dal mercante Mellon, in quanto era convinto che non poteva che essere di “mano” del Tiziano. Due autori decisamente importanti ma con valori completamente diversi.

Berenson nacque in Lituania, nel 1865, da una famiglia di rabbini. A dieci anni si trasferì con i suoi genitori negli Stati Uniti dove dovette sottostare ad una buona dose di puritanesimo. Iscrittosi ad Harvard imparò la lingua greca e il sanscrito. La cosa che fece più notizia è che i suoi compagni di Università, contribuirono a sottoscrivere economicamente per lui un viaggio che lo avrebbe portato in Europa.

Girovagò per tutta Europa alla ricerca di opere d’arte, delle quali era incantato, spese anche tutto il denaro e i suoi amici sostenitori cominciarono a pensare che non fosse stato un buon investimento ad aiutarlo.

Ha sollevare il giovane intervenne anche una ricca e affascinante donna americana, Isabella Stewart Gardner, salottiera e decisamente spregiudicata, che donò alla città di Boston un museo con capolavori per un valore di milioni di dollari. Berenson già nel periodo di Harvad ne era frequentatore e con lei condivideva la passione di osservare i quadri per imparare a conoscerli. Ed è così che pagò a Bernard, i mezzi finanziari per trascorrere ancora un anno in Europa, egli la ricompensò assistendola nella scelta dei nuovi dipinti per il museo. Mentre quando era in Italia, per arrotondare, faceva da cicerone ai turisti nelle gallerie e chiese di Firenze, per il prezzo di una lira a persona.

Da lì poi intraprese un periodo di studio e di ricerca, scoprire opere nuove, identificare, catalogare, classificare, i disegni dei grandi maestri fiorentini di tre secoli per farne uno studio critico.

L’impegno gli chiese oltre dieci anni e si concluse con la pubblicazione di due enormi volumi, stampati in 355 esemplari che vennero venduti per una cifra che gli consentì di poter proseguire come storico dell’arte. 

Cominciò a lavorare a quella opera, in quattro volumi, la più grande guida dedicata alle grandi scuole della pittura italiana del Duecento al Cinquecento. Volumi che poi vennero riuniti in un unica opera intitolata Pittori italiani del Rinascimento, legando per sempre il suo nome allo studio della pittura del Rinascimento. I suoi libri, oltre ai diritti d’autore, gli consentirono di avere un cammino sempre più di successo.

Un’altra persona contribuì alla fortuna di Berenson, Joseph Duveen, un mercante di quadri particolarmente mondano e astuto. Conosceva tutto dei collezionisti americani, dal gusto a quanto avrebbero potuto spendere per un dipinto. Lo stesso J.P. Morgan e Henry Frick lo ricordavano come un “simpatico filibustiere” che davanti ai soldi ogni opera scompariva della sua unicità e bellezza.  Berenson conobbe Duveen nel 1906 e proseguì nella collaborazione per circa 25 anni, aiutando il mercante a scegliere e autenticare le opere. Il rapporto cessò quando Berenson, per la sua integrità, si oppose a certificare un dipinto, avendo lui stesso dei dubbi. Per lui l’arte non era un’opinione di chi crede di identificare un maestro piuttosto che un altro, ma è frutto di ricerca e conoscenza che non sempre porta al risultato sperato.

Ricordando il fatto, Duven sapendo che il banchiere Andrew Mellon cercava un Giorgione – e si sa benissimo che di lui essendo morto giovane, ci sono poche opere – acquistò per 500 mila dollari un dipinto “attribuito” al Giorgione, ma che per Berenson era un Tiziano di prima maniera. Maestri entrambi veneti. Duven chiese a Berenson di studiarlo ancora, ma l’esito fu quello iniziale, si trattava di un’opera di Tiziano. Duven si offese e troncò la collaborazione.

B.B. (Bibi) come venne poi chiamato dagli amici, quando era chiamato per vedere un dipinto, aveva la consuetudine di mettersi sulle spalle uno scialle, come fosse preso da un onda di freddo. La sua partecipazione era totale, esaminava il dipinto con una lente di ingrandimento, ma era il sentimento a decidere. Il suo giudizio dipendeva da una rara facoltà di percezione.

Visse per molti anni in una villa costruita da una nobile famiglia fiorentina nel 1724, circondata da un giardino all’italiana e dove erano custodite opere e oltre 50 mila libri e una montagna di riproduzioni fotografiche.  

Aveva l’abitudine di alzarsi alle 6 per fare colazione e poi rimanere a letto fino alle dieci, immerso in carte, libri e fotografie, tutto sparso sopra il copriletto. Amava ogni pomeriggio fare una passeggiata, ricevere amici purchè se ne andassero presto e la musica quando questa non faceva troppo rumore.  Berenson offrì la sua casa , con tutto quello che conteneva, all’Università di Harvard.
 
Quando passeggio nel mio giardino, osservo i fiori, gli alberi, i cespugli, e scopro una squisitezza di contorno, un’intensità di spicco, un’infinita varietà di colore che nessun’artefizio ch’io abbia mai veduto può eguagliare“. Berenson non temette mai di dire che la natura può superare l’arte.

L’esempio di Berenson ha sviluppato un senso più critico nei confronti delle opere d’arte e maggiore cura in ogni passo che può garantire l’unicità di un’opera d’arte e fortunatamente ci sono persone – meglio con cultura da storici dell’arte e conservazione dei beni culturali – che proseguono con capacità e umiltà questo lavoro di mera passione.

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